Negli ultimi anni, la tendenza delle aziende a intensificare i controlli sui dipendenti che svolgono attività fuori sede si è accentuata, spinta dalla necessità di prevenire comportamenti scorretti e tutelare il patrimonio aziendale. Tuttavia, la vigilanza non può mai sconfinare nella lesione della sfera privata della persona. I tribunali e gli esperti del settore riconoscono che la libertà di movimento e la dignità individuale sono valori inviolabili, anche durante l'esecuzione di incarichi lavorativi all'esterno dei locali aziendali.
Il progressivo ampliamento dei mezzi tecnologici rende il confine tra sorveglianza legittima e invasività sempre più sottile. Il tema, dunque, si gioca su un equilibrio fragile: da un lato le esigenze organizzative e difensive dell'impresa, dall'altro la protezione della privacy dei lavoratori. La sfida per aziende e legislatori è individuare strumenti e modalità che garantiscano trasparenza e proporzionalità, affinché il controllo non scivoli mai in una forma di sorveglianza costante e indiscriminata.
Normativa di riferimento: Statuto dei Lavoratori, GDPR e principi di giurisprudenza
La cornice normativa in cui si inserisce l'attività di verifica sui lavoratori all'esterno dell'azienda è definita principalmente dallo Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) e dal Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) sulla protezione dei dati personali. L'articolo 4 dello Statuto, riformulato nel 2015 dal D.Lgs. 151/2015, pone limiti all'utilizzo di impianti audiovisivi e strumenti atti al controllo a distanza; tali sistemi possono essere installati solo previa intesa con le rappresentanze sindacali o, in assenza, con autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro, esclusivamente per motivazioni produttive, di sicurezza o di tutela dei beni aziendali.
Il GDPR aggiunge ulteriori presidi, imponendo che la raccolta e l'utilizzo dei dati personali dei lavoratori sia trasparente, lecita, proporzionata e fondata su una base giuridica chiara. I dipendenti devono essere informati sulle modalità, finalità e strumenti di eventuali controlli. Un punto dirimente, costantemente richiamato dalla giurisprudenza, è la necessità di bilanciare le ragioni aziendali con i diritti individuali, assicurando sempre la minimizzazione dell'invasività e l'adozione di misure concrete per salvaguardare la riservatezza:
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Controlli sull'adempimento della prestazione lavorativa devono essere svolti dalla gerarchia interna o previa autorizzazione sindacale o amministrativa; l'uso di soggetti terzi (investigatori) è imposto solo nei casi di sospetto illecito, mai per sorvegliare la mera esecuzione del lavoro.
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L'articolo 8 dello Statuto vieta qualsiasi investigazione sulle opinioni personali, politiche, religiose o sindacali.
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La raccolta di prove tramite strumenti di lavoro (computer, email, smartphone) è legittima a patto che il lavoratore sia stato preventivamente informato e sussista un fondato sospetto di illecito.
Le
sentenze recenti della Corte di Cassazione hanno ulteriormente precisato che i cosiddetti controlli difensivi trovano spazio solo ex post, in presenza di indizi concreti di condotte illecite e laddove il controllo sia mirato, proporzionato e tracciabile, diventando dunque uno degli snodi più rilevanti nell'attuale panorama giurisprudenziale.
Controlli difensivi e ruolo dell'investigatore privato: quando sono ammessi
La differenza sostanziale tra controllo diretto e indagine difensiva emerge nei casi in cui il datore di lavoro, sospettando comportamenti lesivi degli interessi aziendali, si affidi a investigatori privati. Questi interventi non sono ammessi indiscriminatamente: la legge consente l'impiego di agenzie investigative solo per accertare ipotesi di illecito (ad esempio assenteismo fraudolento, doppio lavoro non autorizzato, abuso di permessi previsti dalla legge 104/1992, concorrenza sleale, furto di beni o di dati aziendali) e non per una generica verifica sull'esecuzione della prestazione lavorativa.
Le modalità operative dell'investigatore privato devono essere stringenti:
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L'indagine parte esclusivamente da un sospetto fondato e documentato, mai da mere percezioni soggettive
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Le attività di monitoraggio si devono limitare a luoghi pubblici o aperti al pubblico: pedinamenti, appostamenti e raccolta di materiale fotografico o video sono leciti solo se non invadono la sfera privata del lavoratore (ad esempio, non sono consentiti controlli nell'abitazione o in spazi di esclusiva pertinenza familiare)
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La raccolta di dichiarazioni da terzi (colleghi, vicini) è ammessa solo con il rispetto assoluto della riservatezza e senza tecniche ingannatorie
Nell'ambito giuridico, i
controlli difensivi sono riconosciuti legittimi in quanto strumento necessario per evitare la reiterazione di abusi e salvaguardare il patrimonio aziendale. Tuttavia, la Corte di Cassazione (Ordinanza 23578/2025 e altre) ha ricordato che le indagini devono essere mirate, temporaneamente limitate e proporzionate al rischio o alla gravità dei fatti da verificare.
Un controllo eccessivamente esteso, continuo o generico configura una violazione dei principi sanciti dallo Statuto dei lavoratori e del GDPR. In tal caso, le prove raccolte non possono essere utilizzate e l'azienda rischia conseguenze importanti sul piano sanzionatorio e risarcitorio.
I limiti dei controlli fuori azienda: proporzionalità, trasparenza e dignità dei lavoratori
La proporzionalità rappresenta il perno principale su cui deve fondarsi qualsiasi attività di controllo su dipendenti che operano all'esterno dei locali aziendali. Tale principio impone che ogni iniziativa di sorveglianza sia giustificata da esigenze concrete, ed eseguita con modalità che evitino di travalicare ciò che è necessario.
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Il controllo deve essere limitato nel tempo e circoscritto alle sole situazioni rilevanti rispetto al sospetto di illecito
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Il rispetto della dignità della persona resta inviolabile: anche in caso di fondati sospetti, le indagini non possono annullare la privacy o ledere la reputazione del lavoratore
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La trasparenza procedurale impone che i lavoratori siano a conoscenza, attraverso policy aziendali e informative, delle possibili modalità di verifica sul loro operato, fatte salve eccezioni documentate per non compromettere indagini già avviate
Il legislatore e la giurisprudenza hanno più volte ribadito che
non può mai giustificarsi un annullamento totale delle garanzie di riservatezza (Cassazione, Ord. 23578/2025). Anche i controlli difensivi, per quanto leciti nei casi strettamente previsti, devono costantemente bilanciare la tutela dell'impresa con le esigenze di protezione della sfera personale del dipendente.
Le modalità concrete di controllo: cosa può e non può fare il datore di lavoro
Le forme di controllo legittime variano in funzione del luogo e della natura dell'attività lavorativa e degli strumenti utilizzati. Le regole di seguito elencate aiutano a distinguerle:
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Le indagini tramite agenzie investigative sono ammesse esclusivamente all'esterno dell'azienda, per accertare comportamenti illeciti a carico del lavoratore (es. abuso permessi legge 104, attività lavorative in concorrenza sleale o false malattie). Non è invece consentito affidare a privati la verifica della mera esecuzione delle prestazioni ordinarie.
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L'impiego di strumenti tecnologici di tracciabilità (GPS, applicazioni, badge elettronici, software di controllo pc) è possibile solo dopo specifica informativa al lavoratore e, per alcuni dispositivi come la videosorveglianza, previa autorizzazione sindacale o amministrativa. I dati raccolti devono essere trattati secondo i principi di minimizzazione e non eccedere i limiti della finalità dichiarata.
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Le verifiche sulla posta elettronica, computer, e uso di smartphone forniti dall'azienda sono legittime a condizione che sussistano sospetti fondati di illecito e che esista una policy chiara, comunicata al dipendente (Cass. civ., Sez. lav., 13 gennaio 2025, n. 807).
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Le telecamere in azienda richiedono l'accordo con le rappresentanze sindacali o l'autorizzazione dell'Ispettorato e non possono essere utilizzate per monitorare costantemente i dipendenti, se non per ragioni di sicurezza o tutela del patrimonio.
Non sono mai consentite: indagini su vita privata estranea al rapporto lavorativo, intercettazioni telefoniche o ambientali senza mandato giudiziario, né controlli che siano continui o generalizzati. Ogni raccolta di dati deve sempre rispondere a criteri di pertinenza, legalità e trasparenza.
Prove raccolte e validità in sede disciplinare e giudiziaria
La validità delle prove raccolte durante i controlli esterni dipende dal rigoroso rispetto delle norme. La Cassazione e la giurisprudenza richiedono che:
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Le informazioni siano state acquisite dopo il sorgere di un fondato sospetto, non in modo preventivo o indiscriminato
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La raccolta abbia riguardato fatti rilevanti e connessi all'oggetto dell'indagine, mantenendo la proporzionalità dell'invasione nella vita privata
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Le relazioni degli investigatori possano essere riconosciute come prova a patto che siano corroborate da riscontri documentali o dalla testimonianza orale in sede giudiziaria
Le prove ottenute con modalità non conformi o per mezzo di strumenti non autorizzati sono considerate inutilizzabili sia nei procedimenti disciplinari che in tribunale. Può accadere che un licenziamento prenda le mosse da verifiche investigative, come in recenti casi di abuso di permessi o simulazione di malattia; ma laddove sia accertata una violazione procedurale, le sanzioni inflitte devono essere annullate, con possibili obblighi di reintegro e risarcimento per il lavoratore coinvolto.
I controlli illeciti espongono le imprese a gravi conseguenze sia sotto il profilo civile che amministrativo e penale. Fra i rischi per il datore di lavoro si annoverano:
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L'inutilizzabilità in giudizio delle prove raccolte in violazione delle regole (ad esempio tramite investigatori per il controllo della normale prestazione lavorativa)
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Il danno patrimoniale e morale che può essere richiesto dal lavoratore per la lesione della privacy o della reputazione
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La possibilità di essere soggetti a sanzioni amministrative da parte del Garante Privacy, ulteriori sanzioni disciplinari o sanzioni penali in caso di abuso di strumenti di sorveglianza
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La reintegra del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento riconosciuto come illegittimo
Il lavoratore ha inoltre la facoltà di agire sia in sede giurisdizionale sia presso i garanti istituzionali per ottenere la tutela dei propri diritti, inclusa la richiesta di risarcimento danni. La corretta applicazione delle regole, oltre a prevenire rischi legali per l'azienda, protegge anche il clima di fiducia all'interno dell'organizzazione e garantisce rapporti professionali trasparenti e leali.