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Conviene investire sulle società di calcio in Borsa? Andamento, statistiche e risultati in Italia e all'estero

di Marcello Tansini pubblicato il
Andamento, statistiche e risultati

Il problema di fondo del modello italiano resta la scarsa scalabilità: stadi obsoleti, ricavi da matchday limitati, sponsor in calo di appeal e un sistema calcistico che dipende in larga parte dai diritti TV domestici.

Il fascino di trasformare la passione calcistica in una strategia di investimento è sempre vivo tra piccoli risparmiatori e grandi fondi, ma la realtà dei mercati racconta una storia molto più complessa. A differenza di altri settori, le società calcistiche quotate non sono un universo solido e scalabile: il numero dei club presenti in Borsa è limitato, la liquidità ridotta e la dipendenza dai risultati sportivi fortissima.

L'assenza di un indice settoriale europeo - lo STOXX Europe Football è stato chiuso nel 2020 - ha tolto agli investitori uno strumento di riferimento, costringendoli a puntare su singoli titoli con rischi elevati. In questa cornice, l'interrogativo rimane: investire nel calcio in Borsa può essere redditizio oppure è più un'operazione emotiva che finanziaria?

Italia, il microcosmo Juventus e Lazio

In Italia l'universo azionario del calcio si riduce a due soli club, la Juventus e la Lazio. La prima, controllata dalla holding Exor della famiglia Agnelli-Elkann con una quota superiore al 60%, ha attraversato anni difficili segnati da vicende giudiziarie e dalla mancata qualificazione in Champions League. Nonostante questo, Exor ha confermato la propria disponibilità a sostenere economicamente la squadra con nuovi aumenti di capitale, segnale che la società madre considera il club un asset strategico anche se non redditizio nel breve periodo. Sul fronte commerciale, il ritorno di Jeep come main sponsor a valori più bassi del passato fotografa un mercato degli sponsor più selettivo e meno incline a valutazioni premium.

Il titolo Lazio, invece, ha avuto nel 2025 una crescita del 46% in dodici mesi, ma su volumi ridotti e con oscillazioni intraday violente. Il flottante limitato e la scarsa liquidità amplificano i movimenti, trasformando il titolo in un investimento ad alta volatilità e più simile a una scommessa che a un'azione value. A fare da catalizzatore sono spesso i risultati europei, le plusvalenze di mercato e la capacità di mantenere i conti in equilibrio con costi salariali relativamente più bassi rispetto alle big continentali.

Il problema di fondo del modello italiano resta la scarsa scalabilità: stadi obsoleti, ricavi da matchday limitati, sponsor in calo di appeal e un sistema calcistico che dipende in larga parte dai diritti TV domestici. Per questo motivo, la quotazione in Borsa di club italiani non è quasi mai stata sinonimo di crescita sostenibile, ma più spesso un canale per reperire capitali da parte di proprietà già indebitate.

Estero, luci e ombre tra Germania, Inghilterra e Portogallo

Sul piano internazionale, l'esempio più citato di sostenibilità è quello del Borussia Dortmund, che nel 2024 ha riportato ricavi consolidati oltre i 526 milioni di euro e una gestione oculata che ha reso il club un caso di studio. La regola tedesca del 50+1, che obbliga l'associazione sportiva a mantenere il controllo della maggioranza dei voti, ha impedito derive speculative e mantenuto una governance stabile, pur lasciando spazio a investitori e sponsor istituzionali come Evonik e Puma. Il risultato è un club quotato percepito come investibile, pur restando dipendente dai risultati sportivi e dal mercato dei giocatori.

All'opposto, il Manchester United, quotato al NYSE, è il titolo più noto e simbolico, ma anche uno dei più complessi. Le tensioni tra la famiglia Glazer e il nuovo azionista INEOS di Sir Jim Ratcliffe hanno ridefinito la governance, mentre i conti continuano a soffrire la mancata continuità sportiva. Il club ha comunque una forza globale nel merchandising e nel valore del brand, che lo rende un titolo unico ma non immune da cali bruschi quando i risultati sul campo non arrivano.

Nei mercati più periferici, come Portogallo e Turchia, le quotazioni di Benfica, Porto, Sporting, Fenerbahçe o Galatasaray registrano rally improvvisi e cadute altrettanto repentine. Qui il rischio non è solo legato al calcio ma anche al quadro macroeconomico: inflazione, volatilità valutaria e governance opaca rendono questi titoli appetibili solo a chi cerca operazioni speculative di brevissimo termine.

Statistiche, volatilità e correlazioni

Le analisi quantitative mostrano che i titoli calcistici hanno una caratteristica peculiare: alta volatilità individuale ma basso beta rispetto agli indici generali. Questo significa che possono muoversi violentemente senza seguire l'andamento complessivo del mercato, un tratto che li rende attraenti come piccole posizioni di diversificazione ma poco affidabili come pilastro di portafoglio.

L'impatto dei risultati sportivi sui prezzi è evidente: una qualificazione in Champions League può generare un'impennata, mentre una sconfitta decisiva può portare a crolli improvvisi. Tuttavia, gli studi mostrano che l'effetto si dissipa nel medio periodo: senza una struttura solida di ricavi e una governance trasparente, i rimbalzi legati alle partite restano fuochi di paglia.

L'assenza di un indice settoriale europeo dal 2020 ha reso più difficile monitorare le performance aggregate. L'investitore deve quindi seguire caso per caso, con un approccio “bottom-up” e un'attenzione particolare alle dinamiche regolamentari UEFA, in particolare al nuovo salary cap progressivo, che dal 2025 limiterà le spese per stipendi e ammortamenti al 70% dei ricavi.

Uno dei punti più critici per chi investe nel calcio è la governance. Molti club hanno un azionista di riferimento che controlla la maggioranza e lascia margini limitati ai piccoli investitori. È il caso di Juventus con Exor, di Manchester United con i Glazer e di Lazio con Claudio Lotito. Questa concentrazione rende il titolo poco contendibile e riduce la trasparenza decisionale.

Le nuove regole UEFA sul squad cost ratio puntano a evitare derive di spesa incontrollata, ma la loro applicazione riduce la libertà d'azione dei club e può limitare la crescita. Per l'azionista, significa dover valutare non solo il potenziale commerciale ma anche il rispetto di vincoli che, se violati, comportano multe o esclusioni dalle competizioni, con impatti immediati sui ricavi.

Infine, resta aperta la questione degli stadi. Dove i club hanno impianti moderni e di proprietà, i ricavi da matchday crescono stabilmente. Dove invece gli impianti sono datati o comunali, come in gran parte d'Italia, la possibilità di monetizzare la passione dei tifosi è limitata. Per questo, il tema infrastrutturale è decisivo per valutare la sostenibilità economica e il potenziale di crescita a lungo termine.

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