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Danni da intelligenza artificiale, responsabilità e chi paga quando gli algoritmi sbagliano?

di Marcello Tansini pubblicato il
Quando gli algoritmi sbagliano

L'intelligenza artificiale ridefinisce responsabilità e confini giuridici. Tra bias, opacità degli algoritmi e sfide nella regolamentazione, emergono nuovi interrogativi su chi risponde dei danni e tutela i diritti dei cittadini.

L'intelligenza artificiale (AI) ha trasformato profondamente il modo in cui si prendono decisioni nei settori nevralgici della società moderna. Che si tratti di sistemi di diagnosi clinica, di piattaforme per la valutazione del rischio nei tribunali o di algoritmi che orientano le scelte finanziarie, la presenza dell'AI si è imposta come realtà ineludibile.

La digitalizzazione ha incrementato la complessità dei processi decisionali, delegando a macchine e algoritmi il compito di analizzare informazioni prima affidate solo all'essere umano. Questa pervasività solleva nuovi interrogativi su chi detenga il controllo e su quali meccanismi di tutela siano disponibili in caso di errore algoritmico.

L'introduzione di AI nei gangli vitali della collettività comporta la necessità di ridefinire il concetto di responsabilità. Un tempo le conseguenze di una decisione errata ricadevano su individui o entità chiaramente identificabili: oggi la situazione è ben più sfumata, e le ripercussioni possono riguardare società intere. Le nuove frontiere tecnologiche richiedono, quindi, una revisione profonda dei modelli di accountability tradizionali, sottoponendo a esame legislazioni e prassi consolidate.

In questo scenario, la domanda "quando AI sbaglia, chi paga?" non è solo un esercizio teorico, ma una questione urgente che coinvolge diritti, sicurezza e fiducia pubblica. L'evoluzione normativa tenta di tenere il passo, ma la velocità dell'innovazione pone la collettività davanti a sfide etiche e giuridiche inedite.

Errori degli algoritmi: bias, dati imperfetti e conseguenze concrete

Nonostante la percezione diffusa di oggettività, gli algoritmi sono spesso vulnerabili a errori sistematici, determinati soprattutto dalla qualità e dalla rappresentatività dei dati usati per il loro addestramento. Il rischio più insidioso risiede nella trasmissione di bias, ovvero pregiudizi impliciti o espliciti che possono riflettersi in decisioni discriminatorie e talvolta pericolose. In pratica:

  • Bias nei dati: sistemi evoluti apprendono da enormi quantità di informazioni. Se queste sono contenute, parziali o viziate da stereotipi storici, il risultato finale sarà inevitabilmente distorto.
  • I casi clinici (ad esempio, la dermatologia) hanno dimostrato come database squilibrati portino a performance predittive inferiori per determinati gruppi etnici, rafforzando disuguaglianze già esistenti.
  • Effetti sociali e individuali: algoritmi di selezione del personale o concessione di prestiti possono penalizzare minoranze etniche o di genere anche se queste variabili non sono esplicitamente inserite nei dati, a causa di correlazioni indirette (proxy variables).
Il problema si accentua quando la “correttezza statistica” si scontra con il valore dell'equità sociale: una previsione corretta per la media della popolazione può risultare profondamente ingiusta per i singoli. La consapevolezza dei limiti algoritmici comporta quindi un'analisi critica e un impegno costante nella revisione qualitativa dei dati, nella progettazione di sistemi più equi e nella formazione di operatori e cittadini.

Tali limiti riaffermano la necessità di mantenere alta l'attenzione su quando AI sbaglia, testando costantemente la correttezza ed equità degli strumenti adottati.

Opacità e spiegabilità: la sfida della black box e il diritto alla trasparenza

L'avanzamento delle tecnologie AI ha portato alla diffusione di modelli estremamente complessi, spesso definiti come "scatole nere" (black box). Questi sistemi generano decisioni efficaci, ma non necessariamente interpretabili, anche da parte degli stessi sviluppatori. Si tratta di:

  • Modelli deep learning e transformer rappresentano un'architettura matematica sofisticata, i cui passaggi logici interni rendono difficile spiegare il processo decisionale adottato.
  • Metodologie come LIME o SHAP cercano di offrire una parziale ricostruzione delle logiche algoritmiche, restando però strumenti limitati e spesso efficaci solo a posteriori.
L'insufficiente trasparenza alimenta la sfiducia, specialmente quando tali sistemi sono utilizzati in settori dove la posta in gioco è alta. La spiegabilità non è un semplice optional; si configura come un diritto per chi subisce decisioni automatizzate e una garanzia per le organizzazioni che desiderano preservare affidabilità e reputazione.

Le aziende sono spesso chiamate a una scelta: modelli interpretabili e sicuri o sistemi più performanti ma incomprensibili? La pressione normativa recente, soprattutto in Europa, va verso l'obbligo di tracciabilità e spiegabilità per i sistemi ad alto rischio. Tuttavia, la tensione tra rapidità d'implementazione e trasparenza rimane irrisolta.

Responsabilità distribuita: chi risponde dei danni da intelligenza artificiale?

L'intricata filiera di sviluppo e utilizzo di strumenti basati su AI determina una responsabilità distribuita e multilivello, che rende complicato individuare con precisione chi debba rispondere legalmente o moralmente in caso di danno.

Nel ciclo vitale delle soluzioni AI, soggetti diversi intervengono con ruoli distinti: sviluppatori, fornitori di dati, integratori di API, responsabili IT, utenti finali. L'attribuzione della colpa è raramente univoca: per esempio, in un errore giudiziario derivato dal software, la domanda resta aperta se la responsabilità spetti al produttore della tecnologia, all'operatore che la utilizza o all'ente che delibera l'adozione.

Sistemi come COMPAS nei tribunali USA sono emblematici: bias e decisioni errate hanno posto gravi problemi sull'accountability di software, giudici e amministrazioni pubbliche.

Nei trasporti autonomi, nelle piattaforme di sorveglianza e in altri contesti d'avanguardia, la mancanza di risposte definitive ha spinto giuristi, regolatori e operatori sociali verso la rivalutazione dei meccanismi di assicurazione, responsabilità oggettiva e obblighi di trasparenza. La difficoltà di dimostrare il nesso causale fra errore e attore responsabile richiede nuove soluzioni normative e assicurative.

Il percorso di costruzione di un sistema di garanzie condiviso è iniziato, ma la concreta applicazione nelle diverse giurisdizioni resta ancora frammentaria e in fase di elaborazione.

Giustizia algoritmica: casi studio tra discriminazione e parità di diritti

Il dibattito sulla cosiddetta giustizia algoritmica nasce dall'osservazione di una serie di casi studio emblematici, in cui l'AI ha contribuito a rafforzare disparità sociali preesistenti, a volte introducendo nuove forme di discriminazione. Facciamo due esempi:

  • COMPAS e la recidiva giudiziaria: più studi indipendenti hanno documentato valutazioni di rischio sistematicamente sfavorevoli per determinati gruppi etnici, con implicazioni sulle libertà personali e sull'uguaglianza davanti alla legge.
  • Selezione universitaria e lavorativa: algoritmi apparentemente "ciechi" rispetto a sesso o etnia hanno in realtà appreso ed esacerbato, in alcuni casi, gli stessi pregiudizi umani riflessi nei dati storici.
  • Riconoscimento facciale e minoranze: test su software di riconoscimento hanno mostrato tassi di errore più alti per donne e persone con carnagioni scure, generando pressioni per dataset più rappresentativi e sistemi di controllo etico.
L'esperienza di ricercatori come Joy Buolamwini e l'attività di organizzazioni come l'Algorithmic Justice League hanno contribuito a sensibilizzare il pubblico e i legislatori sull'urgenza di sviluppare AI etica, trasparente e responsabile. Le soluzioni auspicate puntano a promuovere audit indipendenti, revisioni periodiche e l'introduzione di indicatori di fairness nei processi di sviluppo e adozione degli algoritmi.

L'adozione dell'AI nelle aree più delicate della vita collettiva ha portato vantaggi innegabili ma anche rischi significativi in caso di errore o malfunzionamento. Tre casi sono illuminanti:

  • Sanità: algoritmi di supporto alla diagnosi hanno aumentato la rapidità delle valutazioni cliniche e consentito l'individuazione di pattern complessi. Tuttavia, bias nei dati o errori di sistema possono portare a diagnosi sbagliate o discriminazioni terapeutiche per classi di pazienti meno rappresentate nei dataset.
  • Giustizia: piattaforme decision support sono sempre più adottate nelle aule dei tribunali per valutare la pericolosità sociale, calcolare pene accessorie o gestire la sorveglianza elettronica. Permanendo, però, margini di errore e asimmetrie informative che rischiano di negare garanzie costituzionali o diritti di difesa.
  • Finanza: strumenti di scoring automatizzato sono attivi nella valutazione dell'affidabilità creditizia e nella gestione dei rischi di portafoglio. Un malfunzionamento o un errore algoritmico può escludere arbitrariamente individui o intere categorie sociali da servizi essenziali.
La crescente automazione delle decisioni impone perciò una continua attività di monitoraggio e la presenza di meccanismi correttivi, volti a prevenire abusi e danni derivanti dall'uso scorretto o indiscriminato dell'AI.

Governance e regolamentazione: AI Act, GDPR e prospettive future

L'Unione Europea ha compiuto passi decisivi per disciplinare lo sviluppo responsabile dell'AI, promuovendo un quadro normativo volto a garantire sicurezza, protezione dei dati e diritti civili.

Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) vieta, salvo eccezioni ben definite, le decisioni completamente automatizzate che incidano significativamente sui diritti delle persone, imponendo garanzie rafforzate come il diritto all'intervento umano.

L'AI Act, entrato in vigore nel 2024, segmenta i sistemi di intelligenza artificiale in base al rischio e impone requisiti stringenti per quelli ad alto impatto sociale, come la tracciabilità, la spiegabilità delle decisioni algoritmiche e l'obbligo di supervisione.

Altre importanti norme e framework, come il NIST AI Risk Management Framework negli USA e gli standard ISO/IEC, costituiscono riferimenti globali per la gestione etica, la valutazione e la mitigazione dei rischi associati all'AI.

L'approccio normativo europeo rappresenta un modello avanzato di regolamentazione, ma la cooperazione internazionale resta necessaria per armonizzare standard e prassi nell'adozione delle nuove tecnologie.

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