La trattativa sui dazi si è ufficialmente conclusa, ma man mano che passano i giorni si fa sempre più chiara la situazione complessa ancora in essere tra i tanti temi ancora da chiarire, le diciture non congrue sugli accordi tra Ue e Usa e il malcontento su più livelli, da quello delle singole nazioni fino ai lamenti e preoccupazioni delle filiere
Nell’ultimo scorcio di luglio, il panorama commerciale transatlantico assiste a una ridefinizione significativa dei rapporti tra Unione europea e Stati Uniti.
Il nuovo accordo introduce una tariffa doganale del 15% su gran parte dei prodotti europei esportati verso il mercato nordamericano, ponendo fine a mesi di incertezza e tensione tra le due principali economie occidentali.
L’intesa, emersa da intense negoziazioni tra le delegazioni guidate da Donald Trump e Ursula von der Leyen, offre il vantaggio di arginare scenari peggiori, come l’inasprimento dei dazi al 30% minacciato da Washington.
Tuttavia, la natura complessa del compromesso resta fonte di dibattito sia in ambito politico che economico, poiché diverse aree sensibili rimangono soggette a interpretazioni e ulteriori trattative.
E il compromesso, pur allontanando una guerra commerciale, lascia aperti numerosi interrogativi, tra cui diverse questioni tecniche legate ai cosiddetti "dazi i punti ancora da chiarire".
La tariffa uniforme del 15% segna una svolta rispetto al passato, quando i livelli variavano notevolmente a seconda delle categorie. L’intesa, ribattezzata “Patto di Turnberry”, introduce una nuova architettura tariffaria che interessa principalmente i beni manifatturieri, tra cui macchinari industriali, moda e alimentare, comparti cardine per i principali paesi esportatori europei, in particolare l’Italia e la Germania.
Tabella riepilogativa delle principali condizioni:
| Settore | Dazio dopo accordo | Note / Esenzioni |
| Automotive | 15% | Sconto rispetto al 27,5% precedente |
| Acciaio, alluminio | 50% | Possibile sistema di quote, in fase negoziale |
| Agroalimentare | 15% | Alcuni prodotti a dazio zero; focus su Made in Italy |
| Semiconduttori | 0 o 15% | Alcune apparecchiature escluse; status incerto |
| Farmaci | 0 o 15% | Generici esenti; molte incertezze per altri prodotti |
| Aerospazio | 0% | Aerei e componenti esclusi |
| Energia e materie prime | 0 o 15% | Dazi azzerati su determinati beni strategici |
Oltre all’applicazione del nuovo dazio uniforme, sono previste esenzioni per aeromobili, alcuni prodotti chimici, farmaci generici, componenti per semiconduttori, materie prime critiche e prodotti agricoli designati.
Da evidenziare la reciprocità del sistema: l’Unione europea si impegna a ridurre a zero i dazi su alcuni beni provenienti dagli Stati Uniti, tra cui frutta a guscio, aragoste, formaggi specifici, pesce lavorato e componenti automobilistiche selezionate.
La struttura incrementale del dazio, dal 10% attuale al 15%, inciderà, senza dubbio, sui prezzi finali e sulla competitività, ma rappresenta, secondo diversi analisti, una soluzione più sostenibile rispetto al rischio di escalation.
Da sottolineare che l’effettiva efficacia dell’accordo dipenderà dall’interpretazione di numerose clausole transitorie e dalle future delibere sui settori lasciati in sospeso.
Un’analisi approfondita rivela come diversi comparti strategici europei e italiani siano nell’attesa di chiarimenti concreti sugli aspetti tecnici e sulle modalità applicative del nuovo quadro tariffario.
Tra le principali criticità segnalate nel dossier “dazi i punti ancora da chiarire”, emergono soprattutto tre grandi aree:
Il comparto dei metalli, in particolare acciaio e alluminio, è escluso dalla riduzione tariffaria concordata per la maggior parte degli altri settori. La tariffa statunitense rimane infatti fissa al 50%, con la prospettiva di istituire un sistema di quote sulle quantità ammesse a una tariffa ridotta (25%), simile agli accordi precedenti con il Regno Unito.
Secondo rappresentanti del settore e fonti della Commissione, l’applicazione delle quote sarà agganciata ai livelli storici di scambio commerciale.
Tale incertezza penalizza soprattutto l’industria siderurgica europea, già provata dalla sovraccapacità globale e dai dazi introdotti a partire dal 2018.
La situazione resta fluida anche per il comparto farmaceutico e i semiconduttori, fondamentali per la bilancia commerciale italiana.
Attualmente, farmaci generici e specifiche apparecchiature elettroniche sarebbero esentati dai dazi (anche se la definizione dettagliata dei prodotti esclusi è ancora in corso). Tuttavia, sia Washington che Bruxelles mantengono aperta la possibilità di innalzare le tariffe fino al 15% su alcuni sottogruppi, in base alle risultanze delle indagini ai sensi della Sezione 232.
Questa ambiguità si riflette nell’incertezza per le imprese coinvolte, che attendono precisazioni sulle liste di esenzione e sulle condizioni per mantenere i benefici di tariffa zero, e rimanda ancora una volta ad ulteriori consultazioni nell’ambito dei lavori congiunti tra i due blocchi.
L’accordo riserva attenzioni particolari alle produzioni agroalimentari, per le quali è in corso un negoziato mirato a ridurre al minimo gli effetti negativi sulle eccellenze europee.
Alcuni prodotti – come frutta secca, determinati formaggi, pesce, e alcuni latticini – saranno soggetti a dazio zero negli Stati Uniti, secondo la lista in fase di definizione.
Resta invece incerta la posizione del vino italiano, che rischia un incremento dei costi all’esportazione: il settore, dal valore superiore ai 3 miliardi di euro solo per gli scambi con gli USA, attende una soluzione per esenzioni tariffarie estese anche ai principali distillati.
L’accordo prevede, in cambio della riduzione della minaccia tariffaria, una serie di impegni economici e politici rilevanti da parte dell’Unione europea. Questi includono:
Le reazioni al nuovo patto tariffario sono risultate articolate sia nel contesto istituzionale che tra le rappresentanze di categoria e sui mercati finanziari. Da parte delle autorità politiche europee emerge una posizione improntata alla cautela: il governo italiano, così come quello tedesco e spagnolo, ha sottolineato l'importanza di valutare attentamente i dettagli sul funzionamento delle soglie tariffarie e sulle compensazioni per i settori più sensibili.
All’interno delle associazioni industriali prevale un clima di attenzione preoccupazione. Il timore maggiore riguarda la perdita di competitività per le imprese esportatrici, soprattutto per quelle italiane che, secondo i dati di Confindustria, potrebbero registrare perdite per circa 22-23 miliardi di euro annui legate all’intervento tariffario e alla svalutazione del dollaro.
In questa fase, i possibili scenari aperti dal compromesso commerciale vedono l’Italia tra le economie con la maggiore esposizione ai rischi strutturali dell’accordo. La forte dipendenza dall’export manifatturiero e agroalimentare, oltre alla presenza di numerose PMI, rende particolarmente incisiva l’evoluzione delle trattative ancora in essere sui settori non completamente coperti dalle garanzie di esenzione.
L’orizzonte appare ancora segnato dall’incertezza ma anche dalla possibilità di adattamento competitivo, a patto che la governance europea sappia implementare rapidamente misure di sostegno e di riforma normativa.