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Dimissioni ancora in crescita in Italia, ma sono cambiati i motivi rispetto alla Great Resignation

di Marcello Tansini pubblicato il
Motivi rispetto alla Great Resignation

Negli ultimi anni le dimissioni in Italia sono aumentate, ma le ragioni sono mutate rispetto al passato: emerge una nuova attenzione a benessere, smart working e differenze tra generazioni.

A seguito della cosiddetta Great Resignation globale, anche il mercato del lavoro italiano ha sperimentato un'impennata nei tassi di abbandono del posto di lavoro. Questo fenomeno, inizialmente attribuito allo shock pandemico e a una rinnovata ricerca di equilibrio tra vita professionale e personale, si è progressivamente radicato, generando una riflessione più ampia sulle motivazioni che spingono un numero crescente di persone a rimettere il proprio incarico. Oggi, parlare di dimissioni record in Italia significa interrogarsi su nuove priorità, aspirazioni e condizioni che caratterizzano il panorama occupazionale del paese.

I numeri delle dimissioni: tendenze dal 2021 al 2025

L'analisi statistica degli ultimi cinque anni mostra una crescita sia nel numero assoluto delle dimissioni sia nella frequenza con cui il tema viene affrontato dagli osservatori del lavoro. Secondo i dati comunicati da INPS e istituti di ricerca privati, il boom si è concentrato tra il 2021 e il 2022, con percentuali di crescita mai registrate prima in Italia. Nel 2021 si sono superati gli 1,9 milioni di casi, il 36% in più rispetto al 2020, mentre il picco massimo si è raggiunto nel 2022, con oltre 2,18 milioni di persone che hanno lasciato volontariamente il proprio impiego. Nel 2023 e nel 2024 le cifre hanno registrato una leggera diminuzione pur restando su livelli superiori a quelli pre-pandemici: 2.153.741 nel 2023 e oltre 2,1 milioni nel 2024, seguite da 465.044 solo nel primo trimestre del 2025.

Il seguente prospetto sintetizza l'andamento annuale:

Anni

Dimissioni volontarie (milioni)

2020

1,40

2021

1,90

2022

2,18

2023

2,15

2024

2,10*

Questo trend mostra una condizione di assestamento, confermando che dimissioni record in Italia non si configurano più come un episodio eccezionale, ma come una realtà consolidata. Tale dinamica deve essere letta insieme all'aumento del tasso di ricollocazione: oltre il 70% dei lavoratori che abbandona il proprio posto di lavoro trova una nuova occupazione in meno di tre mesi, indice di un mercato più fluido e orientato al job hopping.

I nuovi motivi delle dimissioni volontarie rispetto al passato

Rispetto agli anni precedenti, le ragioni che portano le persone a rassegnare le dimissioni sono decisamente mutate e si discostano dal semplice desiderio di abbandono in favore di una “nuova vita”:

  • La ricerca di maggiori opportunità di crescita professionale rappresenta una delle cause principali. In molti casi, il percorso di sviluppo all'interno delle aziende appare stagnante, costringendo chi desidera avanzare a valutare altre offerte.
  • Il benessere psicologico e la tutela della salute mentale risultano fattori determinanti, soprattutto per le generazioni più giovani.
  • L'insoddisfazione legata allo squilibrio tra vita privata e lavoro si è accentuata dopo il periodo pandemico, spingendo molti a rimettere il proprio incarico.
  • Condizioni economiche poco favorevoli e salari giudicati non commisurati alle competenze fanno crescere il turnover, con numerosi casi di dipendenti che ottengono aumenti solo abbandonando la propria azienda.
L'evoluzione non riguarda solo il settore privato: anche nel comparto pubblico si osservano dimissioni riconducibili a queste nuove motivazioni, dimostrando un cambiamento culturale trasversale nei rapporti tra lavoratori e organizzazioni.

Fattori chiave: equilibrio vita-lavoro, smart working e retribuzione

I più recenti sondaggi dimostrano come l'adozione di forme flessibili di lavoro, lo smart working in particolare, abbia inciso sull'aumento delle dimissioni volontarie. Dal 2020 la percentuale di lavoratori che considera irrinunciabile la possibilità di lavorare a distanza è cresciuta progressivamente, con incidenze più elevate nelle regioni del Nord. Lo smart working, oltre a semplificare la conciliazione tra lavoro e impegni personali, amplia il raggio di ricerca di opportunità lavorative, favorendo così la mobilità:

  • Retribuzione insufficiente e scarsa valorizzazione: molte persone indicano la mancanza di riconoscimento economico e di strumenti di welfare come principale leva di uscita dall'azienda.
  • Equilibrio vita-lavoro: richieste di orari più flessibili e modalità agili continuano a crescere, soprattutto tra i lavoratori delle grandi città e nei settori innovativi.
  • Carichi di lavoro e stress: anche l'aumento dello stress correlato alle mansioni influenza fortemente la scelta di dimettersi.
Il risultato è che le imprese più attrattive sono quelle in grado di proporre benefit concreti, sviluppo di carriera e un ambiente che pone al centro la persona, come evidenziato dai principali osservatori sulle dimissioni record in Italia.

Le dimissioni nel pubblico impiego: cause e implicazioni

Anche la pubblica amministrazione italiana sta sperimentando fenomeni di turnover senza precedenti. Se in passato il posto fisso era visto come un traguardo stabile e sicuro, oggi attrattività e tenuta del pubblico impiego sono in discussione:

  • Aspettative retributive non soddisfatte: stipendi iniziali giudicati non competitivi, specie nei settori IT, design o marketing.
  • Crescita professionale lenta: la carenza di meritocrazia e l'anzianità come unico criterio di avanzamento spinge molti giovani a preferire il privato o l'estero.
  • Flessibilità e orari: la rigidità organizzativa della PA è percepita come limitante, soprattutto dai più giovani.
  • Vincoli geografici ed elevato costo della vita: l'obbligo di trasferimento in sedi lontane dalla città di origine, specie nel Nord, porta a numerose rinunce fra i vincitori di concorso.
Tali dinamiche hanno contribuito a un calo del personale, con due dimissioni su dieci tra i vincitori di concorso e punte del 50% per i lavoratori con contratti a termine. Milano, ad esempio, ha visto 6mila abbandoni tra 2023 e 2024, in particolare nella sanità e nelle forze dell'ordine, legati a retribuzioni giudicate insufficienti rispetto al costo della vita.

Dimissioni e differenze generazionali e di genere

L'analisi delle dimissioni record in Italia evidenzia nette differenze a seconda della fascia d'età e del genere. La generazione più giovane, in particolare la Gen Z, si mostra la più propensa al cambiamento, oltre che la più stressata: il 49% dichiara l'intenzione di cambiare impiego:

  • Under 34: il 49% si è dimesso almeno una volta per ragioni legate al benessere psicologico.
  • Genitori: nel 2024 quasi 61mila hanno lasciato il lavoro nei primi tre anni di vita del figlio, principalmente per difficoltà nel conciliare famiglia e professione.
  • Donne: restano la componente più rappresentata fra i dimissionari per ragioni familiari, ma cresce anche la quota dei padri dimissionari, segnale di un progressivo cambiamento degli equilibri nell'ambito domestico.
  • Lavoratori maturi: la fascia over 50 ha registrato negli ultimi anni un incremento delle dimissioni, anche grazie a una crescente richiesta di profili esperti da parte delle aziende tramite smart working.
Tali dati confermano che la mobilità lavorativa in Italia non è più prerogativa esclusiva della popolazione giovane, ma coinvolge trasversalmente tutte le generazioni, pur con motivazioni e urgenze differenti.