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Disoccupazione e intelligenza artificiale, siamo solo agli inizi. Milioni senza lavoro nei prossimi anni anche in Italia

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Disoccupazione e intelligenza artificial

L'IA potrebbe eliminare fino al 50% dei lavori impiegatizi entry-level nei prossimi cinque anni. Impatto devastante sul mercato del lavoro.

La rivoluzione tecnologica in atto, trainata dallo sviluppo dell'intelligenza artificiale, sta ridisegnando le mappe del mondo del lavoro. Se fino a qualche anno fa l'automazione sembrava minacciare soltanto le mansioni manuali, oggi anche professioni intellettuali e impieghi amministrativi sono sotto attacco. In Italia, uno dei Paesi europei più colpiti dalla disoccupazione giovanile, il fenomeno rischia di assumere proporzioni drammatiche.

I dati Istat aggiornati a marzo 2025 parlano chiaro: la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 19% e cresce di oltre un punto percentuale in pochi mesi. Un aumento che coincide con la diffusione delle prime suite aziendali di IA generativa, come quelle annunciate da Fastweb e Vodafone, pensate per svolgere compiti affidati a impiegati junior o a stagisti. In questa dinamica, mentre le aziende promettono di ottimizzare la produttività, per migliaia di neolaureati l'accesso al primo impiego diventa sempre più arduo.

Dario Amodei, CEO di Anthropic, ha lanciato un allarme: entro i prossimi cinque anni, uno su cinque giovani laureati rischia di non trovare occupazione, anche in settori che fino a ieri offrivano garanzie di assorbimento elevato, come quello tecnologico, legale, consulenziale e finanziario. La velocità con cui le aziende stanno integrando l'IA nei propri processi interni sta già riducendo la domanda di personale umano alle prime armi e creando una nuova disoccupazione invisibile:

  • Il divario tra competenze ed esigenze del mercato
  • Una trasformazione che può ancora essere diretta
  • Le strategie di adattamento

Il divario tra competenze ed esigenze del mercato

Il sistema formativo italiano si dimostra oggi inadeguato a preparare i giovani alle sfide di un mercato in cui l'aggiornamento continuo è fondamentale. Mentre le università insistono su programmi scollegati dalle esigenze delle imprese, le aziende cercano profili capaci di interagire con strumenti digitali avanzati, leggere modelli predittivi o supervisionare algoritmi decisionali.

L'ingresso dell'IA nei flussi di lavoro quotidiani ha creato una nuova tipologia di mansione: l'acceleratore umano di sistemi intelligenti. Si tratta di figure ibride, capaci di comprendere il linguaggio delle macchine ma anche di valorizzare il pensiero critico e l'interpretazione etica. Eppure pochissime scuole o corsi universitari in Italia preparano a questi ruoli.

Un giovane laureato deve oggi confrontarsi con uno scenario inedito, dove il proprio valore aggiunto risiede nella capacità di coesistere e collaborare con l'IA, nonché nel dimostrare flessibilità mentale, spirito critico e consapevolezza dei limiti degli algoritmi. L'alternativa è il progressivo svuotamento delle posizioni entry-level, sempre più sostituite da agenti intelligenti capaci di svolgere compiti in modo più rapido, preciso e senza interruzioni.

In Italia, il dibattito politico sull'impatto occupazionale dell'IA è ancora fragile, privo di una visione chiara e proiettata sul lungo termine. Mentre negli Stati Uniti si discute già di redditi universali condizionati e formazione garantita da parte dello Stato, nel nostro Paese prevale ancora una narrazione ottimistica, che tende a minimizzare i rischi connessi all'automazione intelligente. Il risultato è un vuoto normativo che lascia lavoratori e studenti senza strumenti per affrontare i cambiamenti.

Il timore di allarmare l'opinione pubblica ha finora impedito un'azione legislativa incisiva. Ma continuare a ignorare il problema può significare prepararsi a un'ondata di disoccupazione senza precedenti. Non si tratta solo di numeri: l'erosione dei posti di lavoro di fascia bassa e media porterà con sé tensioni sociali, impoverimento culturale, aumento delle disuguaglianze e frustrazione generazionale.

Una trasformazione che può ancora essere diretta

In Italia, nonostante il 47% delle aziende italiane dichiari di cercare competenze legate all'IA, la disoccupazione tra gli under 35 è continuata a crescere fino al 19%. Questo paradosso evidenzia un mismatch tra le competenze richieste dal mercato e quelle possedute dai giovani.

Molti giovani italiani, pur essendo digitalmente alfabetizzati, non possiedono le competenze specifiche richieste per i nuovi ruoli emergenti legati all'IA, come data analyst, sviluppatori di algoritmi o specialisti in machine learning. Questo gap formativo rende difficile l'inserimento nel mercato del lavoro, aumentando il rischio di esclusione professionale.

L'intelligenza artificiale è destinata a cambiare tutto, ma non significa che il suo effetto debba essere distruttivo. Molti analisti concordano sul fatto che la rivoluzione digitale può liberare risorse umane da compiti ripetitivi e alienanti. Ma per raggiungere questo obiettivo servono consapevolezza, coordinamento e investimenti mirati.

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