A sciogliere i dubbi sulla formazione obbligatoria sul lavoro è intervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza 12790 del 10 maggio 2024.
La formazione obbligatoria è disciplinata dal Testo Unico sulla Sicurezza e dal Decreto Trasparenza, strumenti normativi che tutelano sia la salute sia i diritti contrattuali dei lavoratori, e ricalibrata dalla Corte di Cassazione con la sentenza 12790 del 10 maggio 2024. Secondo l'articolo 37 del decreto 81, la formazione in materia di prevenzione degli infortuni e protezione dei lavoratori deve avvenire durante l'orario di lavoro e deve essere interamente a carico del datore di lavoro, senza eccezioni.
La nozione di obbligatorietà si estende anche ai corsi imposti dai contratti collettivi nazionali o da normative di settore. Il percorso formativo è un obbligo giuridico e contrattuale e non una scelta discrezionale. Ma la realtà organizzativa delle aziende spesso si scontra con le esigenze di erogazione dei servizi, la reperibilità dei formatori e la flessibilità oraria. Ci domandiamo allora se sia legittimo organizzare la formazione obbligatoria al di fuori dell'orario di lavoro?
La Cassazione ha poi confermato che questo tempo deve essere retribuito con le stesse modalità del lavoro ordinario e, laddove si superi il monte ore previsto dal contratto collettivo, vanno applicate le maggiorazioni previste per gli straordinari. Questo approccio si fonda anche su una lettura evolutiva del diritto del lavoro, che riconosce la centralità della formazione come parte integrante della prestazione lavorativa.
Il caso da cui nasce la sentenza riguarda un dipendente che aveva rifiutato di partecipare a un corso di aggiornamento sulla sicurezza organizzato in orario serale, sostenendo che l'orario non fosse compatibile con la sua turnazione. L'azienda aveva sospeso il lavoratore e il giudice di merito aveva ritenuto legittimo il provvedimento. La Cassazione, pur riconoscendo il diritto del lavoratore alla retribuzione e alle maggiorazioni, ha affermato che non è lecito rifiutarsi di partecipare a un corso obbligatorio, salvo il caso in cui non siano garantite le tutele previste dalla legge.
Anche se la legge lascia aperta la possibilità di svolgere corsi fuori orario, vanno rispettati i criteri di legalità e correttezza. Il lavoratore ha il diritto di ricevere informazioni chiare sul contenuto e la durata della formazione, nonché la garanzia che essa sia gratuita. Nessun costo, diretto o indiretto, può essere riversato sul dipendente: vale per le iscrizioni ai corsi, per i materiali didattici, ma anche per eventuali trasferte o pasti connessi all'attività formativa.
Nel caso in cui l'azienda non riconosca la retribuzione dovuta per la formazione fuori orario o ometta di garantire le condizioni minime previste, il dipendente può rivolgersi al sindacato o a un legale del lavoro e impugnare l'obbligo. La mancata erogazione della formazione obbligatoria è una violazione grave che può avere ripercussioni penali e civili: in caso di incidente, l'assenza di adeguata preparazione può costituire colpa del datore di lavoro, con conseguente responsabilità per lesioni colpose o addirittura omicidio colposo, come già stabilito da numerose sentenze della giurisprudenza di merito e di legittimità.
Infine, anche se il lavoratore non è obbligato a frequentare corsi non previsti dal contratto o dalla legge, la sua collaborazione attiva è auspicabile ogni volta che la formazione sia un beneficio reciproco: per l'impresa, che migliora la qualità del servizio e riduce i rischi operativi; per il dipendente, che acquisisce competenze utili alla propria crescita professionale e all'occupabilità futura.