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Giovani iperformati ma disoccupati: il paradosso della Generazione Z in Italia. I giovani più preparati faticano a trovare lavoro

di Marcello Tansini pubblicato il
Giovani iperformati disoccupati

La Generazione Z in Italia affronta un paradosso: giovani sempre più formati restano disoccupati o emigrano all'estero. Cause, dati e possibili soluzioni

Giovani altamente formati e dotati di competenze digitali avanzate incontrano grandi difficoltà nell'accedere a un lavoro stabile e soddisfacente. Questo scenario si manifesta in un contesto caratterizzato da rapide transizioni tecnologiche, crisi economiche ricorrenti e crescenti esigenze di innovazione, mentre le aspettative delle nuove generazioni si discostano notevolmente da quelle del passato. Al centro del dibattito non vi è solo la quantità di posti di lavoro, ma anche la qualità delle opportunità offerte, il rispetto dei valori individuali e la possibilità di un equilibrio tra vita lavorativa e personale. La mancata corrispondenza tra le competenze acquisite e la domanda del mercato, la fuga dei migliori talenti all’estero e un progressivo disincanto nei confronti dei modelli tradizionali di carriera rendono urgente una riflessione approfondita su trend, ostacoli e potenzialità della Gen Z nel mercato italiano.

Trasformazione demografica e mercato del lavoro, una forza lavoro che invecchia

La trasformazione demografica incide profondamente sulla struttura della forza lavoro italiana. Negli ultimi due decenni il numero di occupati tra i 15 e i 34 anni si è drasticamente ridotto di oltre due milioni, passando da oltre 7,6 milioni (2004) a circa 5,4 milioni (2024). Parallelamente, si è assistito a un progressivo invecchiamento della popolazione attiva, con gli occupati dai 50 ai 64 anni praticamente raddoppiati nello stesso periodo (oltre 9 milioni). Denatalità e ridotta partecipazione giovanile rappresentano fattori di debolezza competitiva. Il confronto internazionale evidenzia come la quota di giovani italiani tra i 25 e i 34 anni sia inferiore a quella dei coetanei di altri grandi Paesi europei, mentre l’occupazione nella fascia 55-64 supera quella delle classi più giovani. Questo squilibrio è acuito da una minore propensione all'innovazione delle generazioni più mature, proprio mentre il mercato richiede un forte impulso verso digitalizzazione e sostenibilità. A tutto ciò si aggiunge una diminuzione delle nascite (circa 380 mila nel 2023) e un sistema formativo che fatica a rispondere alle nuove dinamiche della domanda e dell’offerta, creando un ambiente meno attrattivo sia per i talenti domestici sia per quelli internazionali.

Formazione e aspettative: perché l'iper-qualificazione non garantisce l'occupazione

Nonostante livelli di istruzione mai raggiunti prima, la nuova generazione si trova disarmata di fronte alle difficoltà di inserimento lavorativo. L’Italia, pur registrando il 47% dei neoassunti tra i laureati, mostra chiare incongruenze tra il percorso formativo e le reali prospettive occupazionali. I giovani, spinti a investire anni nello studio, si scontrano con un mercato che premia spesso esperienza e praticità piuttosto che titoli accademici, e offre in larga parte contratti precari e poco retribuiti. Aspettative e realtà divergono su più piani:

  • gli stipendi sono diminuiti in termini reali dal 1990, mentre l’inflazione e il costo della vita, in primis quello degli alloggi, sono cresciuti esponenzialmente;
  • il contratto a tempo indeterminato rimane una minoranza rispetto alle forme di lavoro temporaneo (oltre il 56% delle nuove assunzioni sono a termine);
  • si riscontra una diffusa insoddisfazione verso gli ambienti che non valorizzano talento e innovazione o che penalizzano il benessere psicologico.
Negli ultimi anni, molte università e istituti tecnici hanno cercato di rafforzare il collegamento con il mondo produttivo, ma le opportunità di tirocinio e inserimento rimangono troppo spesso insufficienti o limitate a pochi settori dinamici.

Il mismatch tra formazione accademica e richieste aziendali

Tra i principali nodi irrisolti, spicca il disallineamento tra formazione accademica e richieste professionali delle aziende. I dati Excelsior (marzo 2025) parlano di circa il 48% delle posizioni considerate "di difficile reperimento", una percentuale che supera il 60% in ambiti tecnici, informatici e di ricerca e sviluppo. Mentre il sistema universitario prepara profili teorici e multidisciplinari, il mercato richiede competenze pratiche e una maggiore capacità di adattamento.

  • La mancanza di esperienza rilevante è citata tra le principali criticità dai datori di lavoro. Spesso i giovani non hanno avuto opportunità di confronto reale in azienda.
  • Accanto alle conoscenze tecniche, mancano frequentemente abilità organizzative e capacità comunicative sviluppate tramite il lavoro di squadra o la gestione autonoma di progetti.
  • Le aziende segnalano anche la necessità di una migliore capacità di problem-solving, organizzazione e gestione del tempo.
Questo fenomeno, noto come mismatch, rischia di limitare sia la produttività delle imprese sia la realizzazione personale dei giovani laureati, generando frustrazione in entrambe le parti.
Area lavorativa Difficoltà di reperimento (%)
Tecnici ingegneristici 64
Operai specializzati costruzioni 68
Installazione e manutenzione 62

Il dato sulla difficoltà di reperimento riguarda anche diplomati ITS (69%) e laureati (51%), segnale di una scarsa aderenza tra domanda e offerta di lavoro che penalizza particolarmente la Gen Z.

Soft skill, esperienza pratica e presenza digitale: le nuove competenze richieste

Il mercato del lavoro attuale attribuisce un peso sempre maggiore alle competenze trasversali (soft skill), all’esperienza pratica e alla cura della reputazione digitale. Tra le maggiormente richieste figurano:

  • comunicazione efficace
  • problem-solving
  • lavoro di squadra
  • capacità di adattamento e flessibilità
Parallelamente, la presenza digitale, valutata anche attraverso i profili social, è diventata un vero e proprio biglietto da visita. L’80% dei recruiter considera la reputazione online un elemento per selezionare i candidati. Si richiede prudenza nella gestione dei contenuti pubblici e una coerenza tra immagine digitale e valori aziendali. Importante è anche il ricorso a tirocini, stage e collaborazioni durante il percorso formativo: esperienze di questo tipo colmano il gap tra istruzione e pratica e sono spesso decisive nella selezione.

Investire nella formazione continua, inclusi corsi brevi in ambito digitale, consente di restare competitivi in un contesto dinamico, in cui la rapidità di apprendimento e l’auto aggiornamento acquisiscono un valore centrale.

Il fenomeno NEET e la fuga dei cervelli: cause, dati e implicazioni

Un indicatore rivelatore del paradosso occupazione Generazione Z è la crescita dei NEET, giovani che non studiano né lavorano. Nel 2024 si stimavano circa 1,34 milioni di NEET in Italia, con una riduzione rispetto all’anno precedente ma una persistente incidenza doppia nel Mezzogiorno rispetto al Nord. Questa condizione deriva da una molteplicità di cause:

  • Sfida psicologica e motivazionale: il lavoro viene spesso vissuto come necessità e dovere più che come opportunità di crescita;
  • Disuguaglianze territoriali: le principali opportunità si concentrano nei territori più sviluppati del Nord Italia, mentre il Sud fatica ad attrarre investimenti e imprese innovative.
  • Debole transizione scuola-lavoro: scarso orientamento professionale porta molti giovani a percorsi scolastici e universitari non in linea con le richieste delle aziende.
  • Difficoltà familiari e sociali: condizioni economiche o culturali sfavorevoli possono ostacolare l’attivazione e la mobilità.
In parallelo, crescono le migrazioni verso l'estero: dal 2011 al 2023 oltre 550 mila giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’Italia, la maggioranza laureati, con un impatto socio-economico valutato intorno ai 134 miliardi di euro in capitale umano. Solo il 6% dei giovani che si muovono in Europa sceglie l’Italia come destinazione professionale, a fronte di valori molto più alti nei principali Paesi concorrenti. Un fenomeno che impoverisce competenze strategiche e limita il ricambio generazionale alla guida delle imprese.

Valori, benessere e nuove priorità: l'identità lavorativa della Gen Z

L'identità lavorativa della Generazione Z si definisce attraverso la ricerca di benessere psicologico, equilibrio e significato. Gli under 30 pongono l'accento sulla qualità della vita oltre che sulla sicurezza economica. Studi e indagini mostrano che oltre un terzo di questa fascia preferirebbe la disoccupazione a un lavoro percepito come alienante. Tra le priorità emergono:

  • ambiente inclusivo e rispettoso della persona;
  • possibilità di crescita personale e sviluppo di competenze;
  • allineamento tra valori personali e mission aziendale;
  • flessibilità e diritto alla disconnessione;
  • attenzione alla salute mentale.
Il benessere lavorativo viene vissuto come una condizione non negoziabile. Tali richieste spingono molte aziende innovatrici ad adottare strumenti come il Chief Happiness Officer o a rivedere la propria cultura organizzativa: un contesto che non ascolta e non valorizza rischia di perdere i talenti più formati. La ricerca di "scopo" e "passione" è diventata tanto determinante quanto lo stipendio, segnando una cesura con il modello tradizionale di lavoro che privilegiava stabilità e sacrificio rispetto all'autorealizzazione.