La Generazione Z in Italia affronta un paradosso: giovani sempre più formati restano disoccupati o emigrano all'estero. Cause, dati e possibili soluzioni
Giovani altamente formati e dotati di competenze digitali avanzate incontrano grandi difficoltà nell'accedere a un lavoro stabile e soddisfacente. Questo scenario si manifesta in un contesto caratterizzato da rapide transizioni tecnologiche, crisi economiche ricorrenti e crescenti esigenze di innovazione, mentre le aspettative delle nuove generazioni si discostano notevolmente da quelle del passato. Al centro del dibattito non vi è solo la quantità di posti di lavoro, ma anche la qualità delle opportunità offerte, il rispetto dei valori individuali e la possibilità di un equilibrio tra vita lavorativa e personale. La mancata corrispondenza tra le competenze acquisite e la domanda del mercato, la fuga dei migliori talenti all’estero e un progressivo disincanto nei confronti dei modelli tradizionali di carriera rendono urgente una riflessione approfondita su trend, ostacoli e potenzialità della Gen Z nel mercato italiano.
La trasformazione demografica incide profondamente sulla struttura della forza lavoro italiana. Negli ultimi due decenni il numero di occupati tra i 15 e i 34 anni si è drasticamente ridotto di oltre due milioni, passando da oltre 7,6 milioni (2004) a circa 5,4 milioni (2024). Parallelamente, si è assistito a un progressivo invecchiamento della popolazione attiva, con gli occupati dai 50 ai 64 anni praticamente raddoppiati nello stesso periodo (oltre 9 milioni). Denatalità e ridotta partecipazione giovanile rappresentano fattori di debolezza competitiva. Il confronto internazionale evidenzia come la quota di giovani italiani tra i 25 e i 34 anni sia inferiore a quella dei coetanei di altri grandi Paesi europei, mentre l’occupazione nella fascia 55-64 supera quella delle classi più giovani. Questo squilibrio è acuito da una minore propensione all'innovazione delle generazioni più mature, proprio mentre il mercato richiede un forte impulso verso digitalizzazione e sostenibilità. A tutto ciò si aggiunge una diminuzione delle nascite (circa 380 mila nel 2023) e un sistema formativo che fatica a rispondere alle nuove dinamiche della domanda e dell’offerta, creando un ambiente meno attrattivo sia per i talenti domestici sia per quelli internazionali.
Nonostante livelli di istruzione mai raggiunti prima, la nuova generazione si trova disarmata di fronte alle difficoltà di inserimento lavorativo. L’Italia, pur registrando il 47% dei neoassunti tra i laureati, mostra chiare incongruenze tra il percorso formativo e le reali prospettive occupazionali. I giovani, spinti a investire anni nello studio, si scontrano con un mercato che premia spesso esperienza e praticità piuttosto che titoli accademici, e offre in larga parte contratti precari e poco retribuiti. Aspettative e realtà divergono su più piani:
Tra i principali nodi irrisolti, spicca il disallineamento tra formazione accademica e richieste professionali delle aziende. I dati Excelsior (marzo 2025) parlano di circa il 48% delle posizioni considerate "di difficile reperimento", una percentuale che supera il 60% in ambiti tecnici, informatici e di ricerca e sviluppo. Mentre il sistema universitario prepara profili teorici e multidisciplinari, il mercato richiede competenze pratiche e una maggiore capacità di adattamento.
Area lavorativa | Difficoltà di reperimento (%) |
Tecnici ingegneristici | 64 |
Operai specializzati costruzioni | 68 |
Installazione e manutenzione | 62 |
Il dato sulla difficoltà di reperimento riguarda anche diplomati ITS (69%) e laureati (51%), segnale di una scarsa aderenza tra domanda e offerta di lavoro che penalizza particolarmente la Gen Z.
Il mercato del lavoro attuale attribuisce un peso sempre maggiore alle competenze trasversali (soft skill), all’esperienza pratica e alla cura della reputazione digitale. Tra le maggiormente richieste figurano:
Investire nella formazione continua, inclusi corsi brevi in ambito digitale, consente di restare competitivi in un contesto dinamico, in cui la rapidità di apprendimento e l’auto aggiornamento acquisiscono un valore centrale.
Un indicatore rivelatore del paradosso occupazione Generazione Z è la crescita dei NEET, giovani che non studiano né lavorano. Nel 2024 si stimavano circa 1,34 milioni di NEET in Italia, con una riduzione rispetto all’anno precedente ma una persistente incidenza doppia nel Mezzogiorno rispetto al Nord. Questa condizione deriva da una molteplicità di cause:
L'identità lavorativa della Generazione Z si definisce attraverso la ricerca di benessere psicologico, equilibrio e significato. Gli under 30 pongono l'accento sulla qualità della vita oltre che sulla sicurezza economica. Studi e indagini mostrano che oltre un terzo di questa fascia preferirebbe la disoccupazione a un lavoro percepito come alienante. Tra le priorità emergono: