La Corte di Cassazione ha rafforzato le prerogative dell’Agenzia delle entrate nell'ambito del controllo fiscale. Spiegazioni e chiarimenti
La Corte di Cassazione ha conferito all'Agenzia delle entrate ampie facoltà di accesso ai dati dei conti correnti, sottolineando che l'obbligo di autorizzazione per indagini su questi ultimi ha una funzione meramente organizzativa. Questo significa che la mancanza di autorizzazione non pregiudica la validità degli atti finali di accertamento.
Questa sentenza stabilisce quindi dei precedenti importanti in termini di quando e come possono essere effettuati i controlli fiscali sui conti correnti senza necessità di autorizzazione esplicita.
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza numero 4853, ha rafforzato le prerogative dell'Agenzia delle entrate nell'ambito del controllo fiscale. L'analisi di conti correnti bancari è spesso uno strumento essenziale per identificare casi di evasione e elusione fiscale, contribuendo alla formulazione di atti di accertamento e al recupero di imposte dovute.
Secondo il decreto legislativo 600 del 1973, gli uffici dell'Agenzia delle entrate possono accedere ai dati bancari solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione da parte delle autorità competenti, come il direttore centrale dell'accertamento o il direttore regionale, e, nel caso della Guardia di finanza, dal comandante regionale.
In una recente controversia, l'Agenzia delle entrate, senza richiedere autorizzazione preventiva, aveva agito per recuperare somme Irpef non versate, basandosi su indagini finanziarie. Di fronte al ricorso presentato dal contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Taranto aveva parzialmente accolto la contestazione, riducendo l'importo dell'imponibile. Il caso era poi stato portato davanti alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, che aveva dichiarato la nullità dell'accertamento.
La Corte di Cassazione ha chiarito che, secondo il decreto legislativo, la mancata autorizzazione non rende automaticamente inutilizzabili i dati bancari ottenuti. Questo dettaglio è rilevante eccetto nei casi in cui l'assenza di autorizzazione causi un danno concreto al contribuente o impatti sui suoi diritti fondamentali, come la libertà personale o la privacy del domicilio.
In materia tributaria, a differenza del codice di procedura penale, non opera il principio di inutilizzabilità delle prove acquisite in modo irregolare. Questo principio, ha ribadito la Corte, è conforme a precedenti decisioni giurisprudenziali.
La Corte di Cassazione ha precisato che non è richiesta l'esibizione dell'autorizzazione per le verifiche fiscali sui conti correnti, come previsto dall'articolo 51 comma 2 del Dpr 633 del 1972. Questa autorizzazione, ha sottolineato la Corte, ha solo una funzione organizzativa interna agli uffici e non necessita di essere motivata né allegata agli atti condivisi con il contribuente.
Di conseguenza, la mancanza di questa documentazione non invalida gli avvisi di accertamento basati su dati bancari, a meno che non sia dimostrato un danno effettivo al contribuente causato dalla mancata autorizzazione. La sentenza stabilisce dunque che la validità degli accertamenti fiscali non dipende dall'autorizzazione alle indagini bancarie, rafforzando così la posizione dell'Agenzia delle entrate nel procedere con controlli anche in assenza di permesso.
L'Agenzia delle Entrate dispone di ampi poteri per effettuare verifiche sui conti correnti dei contribuenti italiani. Questi controlli sono finalizzati a verificare la correttezza delle dichiarazioni fiscali e a contrastare l'evasione fiscale.
Ogni istituto bancario e postale è tenuto per legge a comunicare all'Agenzia delle Entrate le informazioni relative ai conti correnti dei propri clienti. Queste informazioni confluiscono nel Registro dei Rapporti Finanziari, una sottosezione dell'Anagrafe tributaria, che consente all'amministrazione fiscale di accedere ai dati bancari senza necessità di un'autorizzazione specifica da parte dell'autorità giudiziaria.
I controlli sui conti correnti possono riguardare un periodo fino a 5 anni per i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi ma hanno omesso alcune voci, mentre per coloro che non hanno presentato alcuna dichiarazione, il periodo di controllo può estendersi fino a 7 anni.
Per garantire la tutela della privacy, l'Agenzia delle Entrate utilizza strumenti come l'anonimometro, un algoritmo che consente di analizzare i dati dei conti correnti in forma anonima. Solo in caso di rilevazione di anomalie vengono attivati controlli più approfonditi che portano all'identificazione del contribuente.
L'Agenzia delle Entrate ha accesso a una vasta gamma di informazioni relative ai conti correnti e ai rapporti finanziari dei contribuenti. Tra queste:
Sebbene l'Anagrafe Tributaria contenga principalmente informazioni relative ai conti bancari italiani, l'Agenzia delle Entrate può ottenere dati anche sui conti esteri grazie alla collaborazione internazionale in materia fiscale. L'Italia ha aderito al Common Reporting Standard (CRS), un accordo globale per lo scambio automatico di informazioni bancarie tra Stati, che consente all'amministrazione fiscale di ricevere dati sui conti detenuti dai contribuenti italiani in Paesi con cui esistono accordi di cooperazione.
Questo meccanismo di scambio internazionale di informazioni ha notevolmente ampliato la capacità di controllo dell'Agenzia delle Entrate, rendendo più difficile l'occultamento di capitali all'estero a fini di evasione fiscale.
Un aspetto rilevante delle indagini bancarie riguarda il loro valore probatorio. Secondo l'orientamento consolidato della Corte di Cassazione, le risultanze delle indagini bancarie costituiscono una presunzione legale relativa a favore dell'amministrazione fiscale.
Questo significa che, una volta che l'Agenzia delle Entrate ha identificato movimentazioni bancarie non giustificate, l'onere di dimostrare che tali operazioni non hanno rilevanza fiscale ricade sul contribuente. Non è sufficiente una giustificazione generica, ma è necessario fornire una prova analitica e dettagliata per ogni singola movimentazione contestata.
La Corte di Cassazione ha ribadito più volte questo principio, sottolineando che il contribuente deve dimostrare, per ogni singolo versamento bancario, che le somme non derivano da operazioni imponibili, sottolineando che la prova fornita non può essere generica, ma deve essere analitica e dettagliata.
Un aspetto particolarmente delicato riguarda l'estensione delle indagini bancarie ai conti correnti intestati a soggetti terzi, come familiari o soci di società. In questi casi, l'Agenzia delle Entrate deve dimostrare preventivamente che, pur in assenza di formale titolarità, il conto sia effettivamente nella disponibilità del contribuente sottoposto a verifica.
La Corte di Cassazione ha chiarito che, nel caso di controlli su conti di terzi, non si verifica una violazione del divieto di doppia presunzione. Questo perché si è in presenza di un rapporto tra una presunzione semplice (la disponibilità di fatto del conto) e una presunzione legale (quella derivante dalle indagini bancarie), e il divieto di doppia presunzione si applicherebbe solo nel caso di due presunzioni semplici concatenate.
La giurisprudenza ha individuato alcuni elementi che possono giustificare l'estensione dei controlli ai conti di terzi, tra cui:
Le principali strategie difensive che possono essere adottate includono: