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In quali casi l'azienda può dare stipendi diversi a dipendenti con pari mansioni in base a sentenza Cassazione n. 17008/2025

di Marcello Tansini pubblicato il
Mansioni lavoro e Cassazione

Il tema degli stipendi differenti tra dipendenti con pari mansioni alla luce dei principi legali, della recente sentenza della Cassazione e dei divieti di discriminazione, con focus su limiti, esempi.

Nel contesto aziendale, capita che lavoratori che occupano lo stesso ruolo percepiscano compensi mensili differenti. Questa circostanza genera spesso senso di ingiustizia e interrogativi sulla legittimità del trattamento economico riservato ai dipendenti con mansioni identiche.

Sebbene l'assimilazione tra parità di funzioni e parità di retribuzione appaia intuitiva, l'ordinamento giuridico italiano, come chiarito di recente dalla Suprema Corte, si muove secondo dinamiche più complesse e talvolta controintuitive. È importante comprendere quali siano i confini tra libera negoziazione salariale, esigenze organizzative dell'impresa e garanzie di equità e trasparenza, soprattutto alla luce degli ultimi orientamenti giurisprudenziali e delle norme europee.

Il principio giuridico: quando lo stesso lavoro può essere retribuito diversamente

Il diritto del lavoro italiano, pur prevedendo una tutela generale del lavoratore, non stabilisce un automatismo tra identità di mansioni e perfetta uguaglianza salariale. Secondo l'art. 36 della Costituzione, la retribuzione deve essere proporzionata e sufficiente, assicurando così un compenso adeguato a chi presta la propria opera, senza tuttavia imporre la totale parità economica tra colleghi che svolgono le stesse attività:

  • Non esiste un diritto soggettivo all'identico stipendio per mansioni equivalenti, a meno che la disparità non sia dovuta a motivi vietati dalla legge.
  • La Cassazione ha sancito che la retribuzione può essere diversificata anche in presenza di compiti analoghi, purché si evitino discriminazioni sulla base di età, genere, convinzioni, razza o appartenenza sindacale.
  • Le differenze possono basarsi su criteri oggettivi come esperienza, anzianità, merito, negoziazione individuale o condizioni di mercato diverse al momento dell'assunzione.
Spesso la percezione di parità di mansioni e stesso stipendio deriva dal parallelismo tra mansioni e qualifiche, ma la norma differenzia nettamente tali concetti. Due dipendenti che rivestono la stessa funzione potrebbero ricevere riconoscimenti economici differenziati se, ad esempio, vantano competenze trasversali aggiuntive o hanno maturato livelli diversi di responsabilità. La legittimità della differenziazione salariale trova però il suo limite nel rispetto delle norme antidiscriminatorie dettate dal legislatore nazionale e comunitario e nella congruità della retribuzione rispetto alla qualità e quantità del lavoro svolto.

La sentenza Cassazione n. 17008/2025: condizioni e limiti della disparità salariale

La pronuncia della Cassazione, n. 17008/2025, fornisce un importante chiarimento in tema di rapporti di lavoro subordinato, sottolineando che la parità retributiva non è un diritto assoluto in favore di chi svolge attività simili ai propri colleghi. Il caso oggetto della sentenza vedeva coinvolto un dipendente che, avendo rilevato una disparità economica rispetto ad altri lavoratori con il medesimo ruolo, aveva chiesto un adeguamento della retribuzione e una ricostruzione del proprio percorso di carriera.

I giudici di merito, così come la Suprema Corte, hanno ribadito che la sola identità delle mansioni non implica necessariamente il diritto alla medesima busta paga. Ad esempio, un dipendente può ricevere un trattamento economico inferiore rispetto a un altro per una pluralità di motivi giustificabili, quali:

  • l'esito di una trattativa individuale differente al momento dell'assunzione;
  • una disparità di qualifiche o maggiore esperienza pregressa riconosciuta a uno dei lavoratori;
  • la presenza di particolari competenze, responsabilità aggiuntive o meriti specifici.
La Cassazione richiama tuttavia i limiti dettati dall'art. 36 della Costituzione e dall'art. 2103 del Codice civile, precisando che ogni retribuzione deve essere proporzionata al lavoro svolto e rispettosa delle regole previste dalla contrattazione collettiva. Resta poi tassativamente esclusa ogni giustificazione per differenze basate su motivi illeciti.

Differenze di stipendio e discriminazioni: obblighi e divieti per l'azienda

Le imprese godono di un apprezzabile margine di autonomia nella definizione dei livelli salariali, ma tale discrezionalità è vincolata da precise prescrizioni di legge che tutelano l'equità e vietano ogni forma di discriminazione. Le principali fonti normative di riferimento sono:

  • Codice delle pari opportunità (D.lgs. 198/2006) - Vietato qualsiasi divario retributivo fondato su sesso, orientamento sessuale, convinzioni personali, etnia, religione.
  • D.lgs. 216/2003 - Si estende il divieto di discriminazioni anche ad altri fattori protetti come età e appartenenza sindacale.
  • Articolo 36 Costituzione e contratti collettivi nazionali - Stabilisce il parametro della proporzionalità e sufficienza della retribuzione.
Quando una differenza stipendiale maschera una discriminazione proibita, il lavoratore può agire in giudizio, chiedendo il risarcimento del danno e la parificazione del trattamento. Tra gli obblighi dell'azienda figura quello di documentare e giustificare ogni disparità con elementi oggettivi, come anzianità di servizio o responsabilità specifiche, evitando situazioni che possano suggerire intenti discriminatori.

Si segnala inoltre che, sul fronte contrattuale, le differenze possono riguardare anche l'applicazione del CCNL. Tuttavia, la recente giurisprudenza ha stabilito che i lavoratori addetti alle stesse mansioni devono essere inquadrati nel medesimo contratto collettivo, salvo che si tratti di aree operative distinte e autonome all'interno dell'impresa.

Ruolo della direttiva UE 2023/970 e trasparenza salariale nella parità di trattamento

La direttiva UE 2023/970 ha dato un impulso determinante alla trasparenza delle politiche retributive, obbligando le aziende a fornire informazioni chiare e accessibili sulle retribuzioni. Gli elementi principali introdotti dal legislatore europeo includono:

  • accesso ai dati sui salari medi per categoria o livello professionale;
  • obbligo di fornire indicazioni sulle retribuzioni già in fase di assunzione;
  • sanzioni in presenza di discriminazioni salariali di genere;
L'obiettivo della regolamentazione comunitaria è di garantire la parità tra uomini e donne e favorire ambienti lavorativi più trasparenti, riducendo le disuguaglianze che derivano da una minore accessibilità alle informazioni. Tuttavia, la normativa si limita a contrastare le differenze basate su fattori illeciti, lasciando agli Stati membri la facoltà di mantenere margini di flessibilità interna nel definire le politiche salariali.

Rilevante anche la disciplina legata alla maturazione dell'anzianità e ai sistemi di inquadramento contrattuale. L'applicazione di un diverso CCNL per identiche attività è generalmente respinta dalla giurisprudenza, salvo il caso in cui l'azienda operi in settori distinti con attività autonome e separate:

Esempi ammessi

Casi vietati

  • Due lavoratori con le stesse mansioni e diverso livello di esperienza o anzianità di servizio: salari differenziati legittimi.
  • Compensi diversi per una migliore negoziazione individuale in sede di assunzione, purché non vi sia discriminazione protetta dalla legge.
  • Retribuzioni legate a responsabilità aggiuntive attribuite a uno solo dei lavoratori.
  • Divari basati sul genere o sull'appartenenza etnica.
  • Stipendi più bassi per ragioni sindacali, orientamento religioso o politico.
  • Differenziazione salariale senza giustificazione oggettiva e documentabile.

Quando il lavoratore può contestare la differenza di stipendio: onere della prova e rimedi giuridici

L'azione a tutela del diritto alla parità retributiva può essere promossa qualora il dipendente ritenga che la diversificazione salariale non sia giustificata da elementi oggettivi e si fondi su motivi discriminatori. Ai fini del giudizio:
  • Il lavoratore deve allegare - e in determinati casi anche provare - che la differenza di trattamento non trova giustificazione nelle mansioni o nell'inquadramento effettivo.
  • Spetta invece al datore dimostrare la presenza di motivazioni oggettive dietro la differenziazione.
Nel caso in cui venga accertata una violazione dell'art. 2103 del Codice civile (difformità tra mansioni svolte e livello attribuito), il ricorrente ha diritto non solo al riallineamento retributivo ma anche al risarcimento per l'eventuale danno subito. In presenza di discriminazione vietata, la legge impone la piena parità di trattamento e prevede meccanismi sanzionatori.