Nonostante l'introduzione dei dazi negli Stati Uniti, l'export italiano ha mantenuto la sua forza. Analisi di dati, settori coinvolti, impatti economici e strategie di resilienza delle imprese secondo Bankitalia.
Nell’ultimo triennio, lo scenario commerciale globale ha subito una profonda trasformazione per le imprese esportatrici italiane, a causa dell’introduzione di barriere tariffarie dagli Stati Uniti. L’Amministrazione statunitense ha fissato dal 2025 nuovi dazi medi al 15% sulle merci provenienti dall’Unione Europea, interessando direttamente la prima destinazione extra-Ue dell’export italiano.
In questo contesto caratterizzato da crescente protezionismo e rinegoziazione degli accordi multilaterali, le imprese italiane hanno dovuto rivedere strategie, supply chain e mercati di sbocco. Il fenomeno della “trade diversion” e la maggiore competizione internazionale, soprattutto da parte della Cina e altre economie emergenti, alimentano inoltre dinamiche di pressione sulle esportazioni. Lo studio condotto dalla Banca d’Italia mette in luce quanto la capacità di adattamento del tessuto produttivo nazionale sia stata determinante per preservare presenza e risultati commerciali sul mercato statunitense, nonostante il nuovo regime tariffario e la svalutazione del dollaro rispetto all’euro.
I dati raccolti da Istat e da analisi Bankitalia evidenziano una tenuta sorprendente dell’export verso gli USA, nonostante le restrizioni doganali e la volatilità valutaria. Nei primi undici mesi del 2025 le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono incrementate del 7,9% rispetto allo stesso periodo del 2024, a fronte di una contrazione mensile del 3% registrata nel solo mese di novembre, a dimostrazione della marcata discontinuità nelle performance tra i diversi trimestri.
L’evidenza empirica mostra come, pur in presenza di dazi più elevati, il valore delle esportazioni non abbia registrato cali strutturali nei comparti manifatturieri a maggior valore aggiunto. Nel 2025 si rileva tuttavia una crescente eterogeneità delle performance tra settori e territori, con alcune categorie merceologiche e distretti locali particolarmente esposti agli effetti delle nuove tariffe.
Le esportazioni dirette verso gli Stati Uniti rappresentano in media l’1,4% dei ricavi delle imprese italiane, ma la quota sale al 3,2% includendo anche le esposizioni indirette, ossia le componenti integrate nelle filiere domestiche e destinate al mercato statunitense tramite partner intermedi. Alcune province e aree specializzate, come Agordo (Veneto), Siena (Toscana), Copparo (Emilia-Romagna) e Canelli (Piemonte), registrano livelli di penetrazione ben superiori alla media nazionale.
L’export dei prodotti agroalimentari ha subito flessioni significative nel secondo semestre 2025, con cali a doppia cifra per settori come il vino e i formaggi, mentre altri comparti—come meccanica e farmaceutica—hanno mostrato maggiore capacità di ripresa e tenuta.
La risposta delle imprese italiane all’inasprimento dei dazi si è articolata tra resilienza produttiva ed esigenze di rapido adattamento strategico. Lo studio Bankitalia ha stimato che circa il 20% delle aziende ha già subito una flessione dei ricavi nei primi tre trimestri del 2025, con previsioni che tale quota raggiungerà il 25% nell’ultimo periodo dell’anno.
La vulnerabilità ai dazi non è uniforme sul territorio: il 2% dei sistemi locali del lavoro presenta un’esposizione superiore al 10% del fatturato verso gli USA. Ciò comporta che, in questi contesti, anche variazioni apparentemente contenute delle tariffe possono tradursi in effetti importanti su reddittività e occupazione.
Nonostante la pressione dei costi legati sia ai dazi che alla svalutazione del dollaro (stimata al 13% rispetto all’euro nel periodo di riferimento), la struttura dell’export nazionale—fortemente orientata ai segmenti di alta e media qualità—ha permesso di contenere le perdite. Molte imprese hanno privilegiato la riduzione dei margini di profitto per mantenere le quote di mercato, mentre quelle maggiormente esposte hanno attivato strategie di diversificazione su altri mercati di sbocco.
L’analisi delle filiere mostra come l’influenza dei dazi si trasmetta lungo tutta la catena di fornitura: le aziende con rete di subfornitura integrata nell’export diretto e indiretto hanno risentito degli effetti anche in modo indiretto, accelerando percorsi di riconversione e ricerca di nuova clientela internazionale.
Sulla base dei dati rilevati nel 2025, le regioni del Centro-Nord evidenziano la massima esposizione, sia in termini di ricavi generati sull’export diretto che di impatto su filiere produttive e occupazione. Toscana (5,3% dei ricavi complessivi da relazioni con il mercato statunitense), Emilia-Romagna (4,6%) e Basilicata (4,1%) guidano la graduatoria, grazie alla concentrazione di comparti come vino, cuoio, macchinari, energia e attività manifatturiere specializzate.
Il Piemonte, con un’esposizione del 3,8%, appare tra i territori più vulnerabili, soprattutto nel distretto vitivinicolo di Canelli e nell’area automotive e della meccanica strumentale.
Le aree territoriali con maggiore impatto si concentrano nei distretti dell’occhialeria bellunese (Agordo, Belluno, Longarone), nei poli della ceramica (Sassuolo, Modena e Urbino), nei comparti food & beverage delle Langhe e della Toscana, ma anche nel comparto energetico e farmaceutico di Basilicata e Lombardia.
Ecco una tabella di sintesi delle principali regioni e distretti italiani ad alta esposizione:
| Regione | Percentuale ricavi da export USA | Settori chiave |
| Toscana | 5,3% | Vino, cuoio, macchinari |
| Emilia-Romagna | 4,6% | Ceramica, motori, meccanica |
| Basilicata | 4,1% | Energia, manifattura specializzata |
| Piemonte | 3,8% | Vitivinicolo, automotive |
| Lombardia | 3,1% | Meccanica, metallurgia |
Il nuovo quadro doganale ha inciso in modo molto differenziato sulle filiere industriali italiane. Secondo le stime aggregate, i comparti più esposti comprendono:
L’inasprimento delle barriere tariffarie statunitensi ha provocato un innalzamento dei costi di esportazione stimabile tra 8,4 e 10,6 miliardi di euro, secondo le stime di ICE. Tali costi hanno eroso i margini operativi delle imprese esportatrici, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni.
L’impatto su ricavi e competitività si è manifestato in diversi modi:
Le imprese italiane hanno risposto ai nuovi scenari con diverse strategie di adattamento. Da un lato, si è assistito a una maggiore attenzione alla due diligence delle catene di fornitura, al fine di ridurre la ricaduta dei dazi sui costi finali.
Dall’altro lato, è emersa la necessità di diversificare i mercati di destinazione, sfruttando i numerosi accordi di libero scambio in vigore tra Unione Europea e Paesi terzi (attualmente oltre 45 accordi che coinvolgono 79 Paesi extra-UE). Gli attori economici hanno cercato di rafforzare l’export verso mercati ad alta crescita come ASEAN e India, considerate le aree più dinamiche nel medio termine.
Un altro elemento chiave è stata la focalizzazione sulla qualità, sull’innovazione di prodotto e sulla digitalizzazione delle strategie di promozione all’estero. L’evoluzione delle forme di export digitale ha consentito alle imprese di accrescere la resilienza e di mantenere una presenza continuativa anche a distanza.
L’attivazione di filiere collaborative tra aree produttive e la costruzione di partenariati internazionali per la co-produzione hanno rappresentato una valida risposta per mantenere, o addirittura espandere, segmenti di mercato nonostante misure protezionistiche sempre più diffuse.
L’esperienza maturata nel biennio 2024-2025 mostra la capacità del sistema industriale italiano di preservare la propria presenza negli Stati Uniti, nonostante scenari di crescente incertezza economica e un quadro normativo avverso.
Le imprese hanno dimostrato di saper reagire, adattando strategie e processi produttivi e valorizzando la qualità intrinseca del Made in Italy. Tuttavia, restano aperte importanti sfide legate al rischio di prolungamento delle barriere tariffarie, alla pressione dei competitor globali e alla necessità di accelerare la trasformazione digitale e la sostenibilità delle filiere.
Le prospettive dipendono anche dalla capacità di dialogo tra Unione europea e Stati Uniti e dalla conclusione di nuovi accordi commerciali multilaterali. In questo contesto l’Italia può trarre vantaggio dalla reputazione di affidabilità e dall’elevata specializzazione produttiva, ma sarà necessario continuare a investire su innovazione, competenze e apertura a nuovi mercati per mantenere la competitività sui mercati globali.