Questa storia è la cartina di tornasole delle fragilità contrattuali, delle asimmetrie di potere e della necessità di tutele.
In un'azienda edile del comune di Formigine, in provincia di Modena, una giovane impiegata di 32 anni, assunta con contratto part-time, ha chiesto che le venissero riconosciute tre ore di lavoro straordinario accumulate. Il suo racconto è limpido: “Ho semplicemente chiesto di firmarmi le presenze del mese passato con tre ore di straordinario, perché succede che ci sia del lavoro in più, io ho un part time e quindi mi fermo per portare a termine le pratiche in lavorazione”. Il datore di lavoro avrebbe reagito in modo perentorio: “No, tu le devi togliere, non mi interessa, perché tu già non lavori abbastanza”. Per evitare tensioni - anche perché l'uomo ha “l'abitudine di urlare” - la lavoratrice ha deciso di rinunciare alle ore in più a patto che venisse semplicemente firmato il foglio-presenze.
Il conflitto è esploso all'atto del rifiuto della lavoratrice di restare oltre l'orario: alle ore 12.57, quando le era stato chiesto di completare ulteriori pratiche, lei ha dichiarato che avrebbe operato l'indomani, dato che il turno era concluso. A quel punto, secondo la versione sindacale e della stessa dipendente, il titolare si è infuriato, ha colpito con una manata la scapola, l'ha afferrata dal braccio e scaraventata fuori dall'ufficio gridando “vattene, sei licenziata!”. Sul posto sono intervenuti i carabinieri su chiamata della donna, che si è recata poi al pronto soccorso dell'ospedale di Sassuolo, ottenendo una prognosi di quattro giorni per infortunio. Il datore, dal canto suo, nega l'aggressione davanti alle forze dell'ordine.
Il quadro che emerge è quello di un rapporto di lavoro caratterizzato da una forte asimmetria di potere, in cui una richiesta semplice - tre ore di straordinario - viene trasformata in causa scatenante di un gesto di violenza fisica e verbale.
Dal punto di vista lavoristico, la vicenda pone l'attenzione sulla gestione del tempo di lavoro, in particolare nella realtà del part-time. Il contratto prevede che la prestazione avvenga entro un monte ore inferiore rispetto al full-time, e che eventuali supplementari o straordinari debbano rispettare criteri di volontarietà, maggiorazioni (ove previste), e forme di registrazione contrattuale. La lavoratrice ha chiesto, con legittimità, che le tre ore venissero annotate: la mancata accettazione di tale richiesta solleva questioni sulla corretta contabilizzazione della prestazione e sulla trasparenza della gestione delle ore.
Dal punto di vista penale e della salute e sicurezza sul lavoro, l'aggressione fisica - se accertata - configura possibili ipotesi di lesioni personali, violenza privata o altri reati contro la persona, oltre a far scattare obblighi di tutela per l'infortunio. Il fatto che la donna sia stata medicata e abbia avuto una prognosi certificata rafforza la rilevanza dell'episodio. La presenza del sindacato - in questo caso la Fillea CGIL di Modena - oltre a prestare assistenza legale, ha richiesto il riconoscimento di malattia per mobbing o stress da lavoro correlato, avviando un percorso di tutela che può includere risarcimenti, riassunzione o risoluzione del rapporto con indennità. Il sindacato segnala come l'episodio sia “l'ennesimo atto di violenza contro una donna, consumato in ambiente di lavoro”.
In aggiunta, emerge una dimensione discriminatoria: secondo la lavoratrice, il titolare le aveva in passato ripetuto che “come donna doveva essere grata di essere stata assunta a tempo indeterminato, che molti datori non assumono a tempo indeterminato le donne perché poi si devono dedicare alla famiglia e ai figli”. Questo passaggio introduce l'elemento della discriminazione di genere, potenzialmente rilevante anche sotto il profilo della normativa antidiscriminatoria.
Al di là della singola vicenda, questo episodio assume uno spessore esemplare perché tocca nodi cruciali: da un lato l'idea che poche ore di straordinario possano scatenare una spirale di conflitto e violenza illustra quanto fragile sia la frontiera tra gestione ordinaria del lavoro e abuso del potere datoriale.
Dall'altro lato, l'isolamento della lavoratrice - che denuncia di non avere ricevuto alcuna solidarietà concreta da parte dei colleghi, se non richieste di password o accesso ai computer - mette in luce il tema della vulnerabilità dei lavoratori in condizioni di debolezza contrattuale, sia per sesso, sia per tipologia di contratto part-time, sia per settore (edilizia). La cronaca locale riferisce che la lavoratrice ha scelto la malattia e l'uscita temporanea dall'azienda, affermando: “Non voglio più entrare nel luogo dove sono stata vittima della violenza del capo con la paura che l'uomo reiteri l'esplosione di rabbia, magari con esiti peggiori”. In questo senso, la vicenda diventa simbolo di un rischio più ampio: che il diritto al lavoro, al rispetto e alla sicurezza si trasformi in terreno sul quale si gioca la dignità dei lavoratori.
L'intervento sindacale e mediatico ha già posto l'episodio all'attenzione dell'opinione pubblica, suggerendo che la tolleranza verso comportamenti autoritari, e perfino violenti, in certi contesti aziendali non sia un fenomeno residuale. Dopodiché sottolinea la necessità che le imprese e gli organismi di controllo favoriscano ambienti di lavoro in cui le richieste di straordinario siano trasparenti e documentate, e in cui il rapporto gerarchico non degeneri in prevaricazione fisica o psicologica. La vicenda comporta quindi una riflessione su come la gestione del lavoro straordinario, la protezione dei contratti part-time e la prevenzione delle violenze sul lavoro, soprattutto a danno delle donne, richiedano attenzione e misure sistematiche.