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Numero massimo di pause caffè sul lavoro consentite prima del licenziamento secondo Cassazione

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Nessun numero massimo di pause

Il diritto al riposo e al ristoro è riconosciuto dal legislatore, ma deve sempre essere bilanciato con la correttezza dell'adempimento della prestazione.

La legge non prevede un numero massimo di pause caffè, ma regolamenta le pause obbligatorie nei turni di lavoro superiori alle sei ore. Una nuova sentenza della Corte di Cassazione (la numero 8707 del 2 aprile 2025) ha segnato un punto fermo nell'interpretazione del concetto di abuso, sottolineando che un comportamento sistematico, ripetuto e non autorizzato, può trasformarsi in inadempimento contrattuale grave, fino a giustificare il licenziamento per giusta causa.

Nel caso esaminato, il protagonista era un dipendente addetto alla raccolta dei rifiuti urbani che, durante l'orario di lavoro, si era reso responsabile di numerose soste non autorizzate presso bar ed esercizi pubblici, disattendendo il proprio dovere di diligenza. Il comportamento non solo violava le previsioni contrattuali, ma risultava anche lesivo della fiducia fiduciaria che il datore di lavoro ripone nel proprio collaboratore. Vediamo meglio:

  • Pause caffè sul lavoro, così il datore può agire legalmente
  • Nessun numero massimo di pause previsto per legge

Pause caffè sul lavoro, così il datore può agire legalmente

Uno degli aspetti della vicenda riguarda il tema del controllo del lavoratore. La Cassazione ha ribadito che, pur sussistendo limiti stringenti in merito al controllo diretto sull'attività lavorativa, il datore di lavoro può ricorrere a investigatori privati per accertare condotte fraudolente, purché ciò non si traduca in un monitoraggio sistematico e continuativo dell'attività professionale.

In questo caso, il quadro probatorio è risultato decisivo: l'azienda ha presentato una relazione investigativa dettagliata, supportata dai dati Gps installati sui mezzi aziendali e da testimonianze oculari che documentavano le pause prolungate e reiterate presso i bar dei comuni dove il lavoratore operava. L'intervento è stato ritenuto conforme alla giurisprudenza consolidata, secondo cui questi strumenti sono ammessi quando ci sia una ragionevole ipotesi di illecito in atto, con potenziali danni economici o reputazionali per l'impresa.

Il giudice ha valorizzato anche l'estensione concettuale del patrimonio aziendale, da intendersi non solo come l'insieme dei beni tangibili dell'azienda, ma anche come il suo valore reputazionale e la credibilità esterna presso clienti, enti pubblici e cittadini. Un comportamento scorretto da parte di un dipendente pubblico in servizio, come nel caso analizzato, può ledere l'immagine dell'intero ente committente, generando danno d'immagine oltre che danno operativo.

Un altro punto centrale della pronuncia riguarda la proporzionalità della sanzione. La Corte di Cassazione ha chiarito che il licenziamento per giusta causa si giustifica in presenza di comportamenti reiterati e consapevoli, non occasionali né frutto di mera disorganizzazione. Nella sentenza, si evidenzia come il lavoratore fosse già stato destinatario di precedenti provvedimenti disciplinari, oltre a essere stato richiamato formalmente dall'ente pubblico appaltante, segno di una condotta consapevole e intenzionale.

Nessun numero massimo di pause previsto per legge

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non esiste un numero prestabilito di pause caffè consentite prima di incorrere in sanzioni gravi. Il diritto al riposo e al ristoro è riconosciuto dal legislatore, ma deve sempre essere bilanciato con la correttezza dell'adempimento della prestazione. In altri termini, non è tanto il numero delle pause a costituire violazione, quanto la loro frequenza, durata, collocazione temporale e mancanza di autorizzazione, soprattutto se tali pause si svolgono fuori dai limiti concordati e interferiscono con l'organizzazione del lavoro.

La Cassazione non impone limiti ma invita alla valutazione caso per caso, facendo leva su un principio guida: l'inadempimento deve essere valutato in concreto sulla base delle circostanze oggettive e soggettive del rapporto. In presenza di prove inconfutabili, come quelle raccolte tramite GPS, investigatori e testimoni, anche una condotta apparentemente minima può assumere un rilievo disciplinare grave se inserita in un contesto di reiterazione, dissimulazione e mala fede.

In assenza di una legge che definisca il numero di interruzioni ammesse, spetta spesso al contratto collettivo nazionale o al regolamento aziendale definire le pause ordinarie. Ma nemmeno la presenza di una norma interna può giustificare l'eccesso. Il comportamento del lavoratore deve sempre essere ispirato a lealtà, diligenza e buona fede, come previsto dall'articolo 2104 del Codice Civile.