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Perché Ferrero, Barilla, Esselunga e altre grandi aziende italiane non si quotano in Borsa? Una verità importante

di Marcello Tansini pubblicato il
Ferrero, Barilla, Esselunga

Mentre molte aziende italiane scelgono di restare fuori dalla Borsa, giganti come Ferrero, Barilla, Esselunga e altri rappresentano eccellenza e solidità familiare, mantenendo controllo, valori e un modello di crescita.

Nel tessuto produttivo italiano convivono realtà di dimensioni diverse, ma è il segmento delle aziende familiari di rilevanza nazionale a distinguersi per storia, occupazione e capacità di crescita. Si tratta di imprese con radici profonde e gestione ereditata di generazione in generazione che, a differenza delle principali blue-chip di Piazza Affari, continuano a restare estranee a processi di listing sui mercati regolamentati. Il motivo di base è apparentemente semplice: fanno utili e non hanno bisogno di fare il loro ingresso in Borsa.

Questo fenomeno, che riguarda nomi iconici dell'industria e della distribuzione, si traduce in una condotta peculiare, in cui la centralità del controllo familiare e l'indipendenza dal capitale di rischio esterno si riflettono sulle scelte strategiche di lungo periodo. Analizzando questa tendenza, emergono elementi chiave per comprendere l'identità e le motivazioni delle grandi aziende italiane non quotate, spesso considerate modelli di resilienza e crescita autonoma nel contesto globale.

Il ruolo economico delle big non quotate: dati e rilevanza nazionale

Dai dati più aggiornati, le realtà non quotate guidate dalla famiglia rappresentano una componente essenziale dell'economia. Secondo l'ultima rilevazione dell'Osservatorio AUB, il 67% delle aziende sopra i 20 milioni di fatturato è a controllo familiare, con una progressione costante e oltre 1.200 miliardi di euro generati nel comparto. Queste società non solo danno lavoro a più di 3,3 milioni di persone ma hanno rafforzato la propria incidenza sull'occupazione totale in Italia, giungendo a superare il 52% del totale. Il contributo di questi player si manifesta anche in termini di resilienza, con dati più robusti su redditività operativa rispetto alle non familiari (ROI 2023 pari all'11% contro 8,7%).

La rilevanza sistemica delle big fuori dalla Borsa si nota anche nella capacità di autofinanziarsi e crescere organicamente, evitando il ricorso abituale al debito o alle risorse esterne. Se si sommassero i ricavi delle prime 20 aziende non quotate a quelli delle principali quotate del FTSE MIB, il giro d'affari nazionale salirebbe del 20% circa. Inoltre, la presenza di queste realtà non riguarda solo comparti tradizionali come l'alimentare, ma anche i settori farmaceutico, siderurgico e retail, consolidando la leadership nazionale pur in assenza di listing azionario.

Chi sono le 10 principali aziende italiane non quotate: classifica e settori

I dati 2024 confermano la presenza di realtà estremamente diversificate tra le grandi non quotate:

Posizione

Azienda

Settore

Fatturato (mld €)

1

GSE (Gestore Servizi Energetici)

Energia

55,1

2

Conad

GDO

21,1

3

Coop Italia

GDO

16,7

4

Ferrovie dello Stato (FS Italiane)

Trasporti

15,0

5

Ferrero

Alimentare

12,6

6

Esselunga

GDO

9,5

7

Edizione

Infrastrutture/Servizi

9,5

8

Marcegaglia

Siderurgia

7,5

9

Barilla

Alimentare

4,7

10

Menarini

Farmaceutico

4,37

Queste imprese rappresentano i pilastri di settori chiave, dalla grande distribuzione al sistema dell'energia, passando per l'industria alimentare e siderurgica fino alla farmaceutica. Fra esse, solo GSE ha un assetto più pubblico, mentre le altre sono dominate dalla conduzione tradizionale e strategia privatistica tipica delle grandi aziende italiane non quotate.

Il caso Ferrero: successo globale senza quotazione

Tra i protagonisti internazionali spicca il gruppo di Alba, guidato dalla famiglia Ferrero da decenni. Pur operando in 170 mercati e sostenendo ricavi 2024 pari a 18,4 miliardi di euro, questa multinazionale mantiene inalterata la scelta di non accedere ai mercati regolamentati. La struttura di governance è quella della holding familiare, con sede legale in Lussemburgo e un'organizzazione societaria a cascata che consente la massima protezione del patrimonio e del know-how. Il patrimonio netto consolidato, superiore a 4,5 miliardi di euro, e la liquidità abbondante hanno permesso a Ferrero di finanziare acquisizioni strategiche

Esselunga, fatturato di 9,2 miliardi

Dietro Ferrero, la prima azienda familiare italiana per fatturato, si colloca Esselunga, oggi guidata da Marina Caprotti dopo la separazione dagli altri eredi del fondatore Bernardo Caprotti. Il gruppo della grande distribuzione ha registrato nel 2024 un fatturato di 9,2 miliardi, con un utile netto in calo a 55 milioni rispetto ai 118 del 2023. Anche i margini si sono ridotti, con l’EBITDA sceso al 6% dei ricavi (571 milioni) e l’EBIT all’1,7%. Si tratta di un rallentamento iniziato nel 2022, dopo anni di risultati stabili sopra i 200 milioni di utili netti.

Sul gruppo pesa ora una leva finanziaria importante, con debiti per oltre 2 miliardi e 70 milioni di interessi annui, compensati tuttavia da un patrimonio netto di 1,9 miliardi. In un mercato sempre più competitivo, tra crisi dei consumi e avanzata dei discount, Esselunga tenta di recuperare terreno con campagne di sconti, rischiando però di comprimere ulteriormente la marginalità.

Marcegaglia, prima del settore siderurgico

Il mercato difficile dell’acciaio ha colpito anche Marcegaglia, terza azienda familiare italiana e prima del settore siderurgico, guidata da Antonio ed Emma Marcegaglia. Il fatturato è sceso da 8,1 miliardi nel 2023 a 7,1 miliardi nel 2024, con l’EBITDA in calo da 649 a 469 milioni e l’utile dimezzato a 107 milioni. Il gruppo mantovano impiega 7.500 dipendenti (3.900 in Italia) e, pur operando negli acciai speciali, risente del calo globale della domanda (-7% in tre anni) e della discesa dei prezzi.
Nonostante le difficoltà, Marcegaglia resta finanziariamente solida, con 2,4 miliardi di patrimonio netto, 853 milioni di liquidità e 950 milioni di debiti finanziari. Il comparto, ad alta intensità di capitale e sensibile ai costi energetici, rimane comunque uno dei più ciclici dell’industria manifatturiera.

Cremonini, ruppo alimentare da 5,88 miliardi di fatturato

Al quarto posto per ricavi spicca Cremonini, gruppo alimentare emiliano da 5,88 miliardi di fatturato nel 2024, in crescita dai 5,4 del 2023. Fondato e guidato da Luigi Cremonini insieme al figlio Vincenzo, opera nella produzione (Inalca), distribuzione (Marr) e ristorazione (Chef Express). In quattro anni i ricavi sono quasi raddoppiati, con un’EBITDA di 516 milioni e un utile netto salito a 70 milioni, triplicato rispetto al 2020.
Il gruppo, che si era fortemente indebitato per crescere, ha ridotto il rapporto debito/EBITDA da 4,8 a poco più di 3 volte, con un indebitamento netto di 1,67 miliardi e un patrimonio di 960 milioni. Tra gli obiettivi principali c'è ora un ulteriore contenimento della leva finanziaria.

Barilla, simbolo dell’alimentare italiano

Quinta in classifica è Barilla, simbolo dell’alimentare italiano e del successo del Mulino Bianco. Nel 2024 ha registrato 4,88 miliardi di ricavi, un utile operativo di 300 milioni e utili netti per 142 milioni. Con un margine industriale di 530 milioni pari all’11% dei ricavi, Barilla si distingue per efficienza in un mercato a bassa redditività unitaria, producendo ogni anno 2 milioni di tonnellate di prodotti.
La liquidità si attesta a 455 milioni, mentre i dividendi distribuiti alla famiglia nel 2024 sono stati pari a 85 milioni. Il capitale proprio di 1,9 miliardi conferma la solidità finanziaria del gruppo, che in caso di quotazione in Borsa potrebbe essere valutato oltre 10 miliardi di euro, sulla base dei multipli dei principali competitor internazionali.

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