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Perché le aziende rifiutano sempre di più lo smart working nonostante alcuni risultati positivi

di Marcello Tansini pubblicato il
Smart working in azienda

Nonostante i vantaggi dimostrati dallo smart working, molte aziende stanno tornando al lavoro in presenza. Un fenomeno che intreccia aspetti gestionali, culturali e le nuove istanze dei lavoratori, con prospettive in evoluzione.

L'introduzione massiccia dello smart working a partire dal 2020 ha rappresentato una svolta senza precedenti, innescata da una situazione emergenziale globale. In Italia, così come nel resto d'Europa, la transizione verso il lavoro da remoto ha avuto carattere forzato più che evolutivo, coinvolgendo milioni di lavoratori in modo simultaneo. Terminato il periodo critico della pandemia, molte aziende hanno iniziato ad adottare una linea restrittiva, limitando progressivamente la possibilità di lavorare fuori sede.

Questa retrocessione, diffusa soprattutto tra piccole e medie imprese, ha sorpreso una parte della forza lavoro, nonostante siano stati riconosciuti molteplici vantaggi allo smart working. Oggi si osserva una tendenza verso politiche di ritorno in presenza, segno di una complessa ridefinizione del rapporto tra impresa e modalità operative dei dipendenti, in cui ragioni organizzative, culturali e produttive si intrecciano nel delineare il futuro del lavoro in Italia.

Le ragioni aziendali dietro al ritorno al lavoro in presenza

Negli ultimi mesi molte aziende stanno progressivamente riducendo o eliminando lo smart working, una scelta che non dipende soltanto da considerazioni organizzative o dal desiderio di rafforzare la cultura interna, ma anche da motivazioni di carattere economico e patrimoniale. Il ritorno alla presenza consente infatti di recuperare il valore di sedi aziendali e immobili che, durante il lavoro da remoto, erano diventati spazi sottoutilizzati e percepiti come un costo fisso non giustificato.

Per imprese che negli anni hanno investito milioni in uffici centrali, campus e headquarter, riportare i dipendenti in sede significa riaffermare la funzione strategica di questi asset, restituendo senso e redditività a un patrimonio immobiliare che rischiava di trasformarsi in una passività.

Sebbene le esperienze positive dello smart working siano ampiamente documentate, diverse aziende hanno optato per ridurre questa modalità, tornando a privilegiare la presenza fisica nei luoghi di lavoro. Le motivazioni di questa scelta sono eterogenee e riguardano sia aspetti gestionali che culturali.

Primo fra tutti emerge il tema del controllo: molti dirigenti e responsabili di area, specie in realtà di piccole e medie dimensioni, manifestano una persistente necessità di monitorare da vicino le attività dei collaboratori. In diversi settori si ritiene che la produttività coincida ancora con la presenza in ufficio, nonostante dati empirici suggeriscano il contrario. Vi è inoltre la percezione diffusa che la mancanza di un confronto diretto penalizzi il senso di appartenenza, la formazione informale e l'adesione ai valori aziendali.

L'elemento della fiducia risulta centrale. In Italia, tradizionalmente, il lavoro è stato organizzato secondo modelli verticali, con preminenza della supervisione “dal vivo”. Il passaggio a un monitoraggio per obiettivi, cuore dello smart working, richiede un cambiamento culturale profondo che, per molte aziende, non risulta ancora pienamente assimilato.

La gestione della sicurezza dei dati e della privacy rappresenta un'ulteriore fonte di incertezza per le organizzazioni, insieme alla necessità di tutelare la salute mentale dei dipendenti, che possono essere esposti a rischi di isolamento e burnout. Alcune realtà ritengono inoltre che modalità full remote indeboliscano il tessuto relazionale interno, riducendo la capacità di “fare squadra” e limitando lo sviluppo di competenze trasversali.

Infine, bisogna considerare la natura etica e sociale delle decisioni aziendali. Alcuni manager (ad esempio nelle aziende industriali o di servizi essenziali) sostengono che privilegiare il lavoro da remoto crei disparità tra personale impiegatizio e chi opera in funzioni operative dove la presenza è imprescindibile. Questo tipo di argomentoation è stato adottato sia da leader aziendali, sia in comunicazioni pubbliche.

La paura di perdere il controllo: il ruolo delle '5C' secondo Harvard Business Review

Le recenti analisi pubblicate da Harvard Business Review hanno messo in evidenza come la diffidenza verso lo smart working nelle aziende sia legata alla paura di perdere le cosiddette “5C”: controllo, cultura, collaborazione, contributo e connessione. In pratica:

  • Controllo: Le organizzazioni temono una riduzione dell'efficacia nel monitoraggio dei processi lavorativi e nella valutazione delle performance.
  • Cultura: Vi è la sensazione che i valori fondanti dell'impresa rischino l'erosione nella mancanza di interazione fisica.
  • Collaborazione: Lavorare a distanza pone ostacoli alla comunicazione spontanea e al lavoro in team.
  • Contributo: L'approccio tradizionale basato sulla presenza fa fatica ad adattarsi ad una valutazione del valore apportato per obiettivi anziché per tempo trascorso.
  • Connessione: La coesione interna e il senso di appartenenza rischiano di indebolirsi senza lo scambio interpersonale diretto.
Queste resistenze culturali, secondo la HBR, rappresentano uno spartiacque tra aziende capaci di evolvere i propri modelli organizzativi e realtà più ancorate a una gestione tradizionale, ancorata alla presenza in sede.

Cultura aziendale, collaborazione e socialità: motivazioni culturali e organizzative

Uno degli aspetti più rilevanti che emergono dalle indagini recenti è il valore attribuito da molte aziende alla dimensione collettiva e all'identità organizzativa. La cultura d'impresa non si esaurisce nella semplice trasmissione di regole procedurali, ma si costruisce attraverso l'apprendimento informale, la presenza fisica e le occasioni di confronto non programmato.

La socialità, specie per i lavoratori più giovani (come la Generazione Z), è percepita come essenziale per la crescita professionale e personale, favorendo relazioni che difficilmente possono essere replicate attraverso meeting virtuali. In altri casi, la preferenza per la collaborazione on-site risponde all'esigenza di mantenere un certo dinamismo nei processi creativi e decisionali.

Infine, molte organizzazioni segnalano che la co-presenza permette di gestire meglio momenti critici, risolvere rapidamente problematiche urgenti e gestire la formazione “on-the-job”, elementi giudicati meno efficaci a distanza. Da qui la tendenza, in crescita, a ridisegnare gli spazi fisici degli uffici e a incentivare forme di presenza anche parziale.

I benefici dello smart working emersi negli ultimi anni

L'esperienza diffusa di lavoro agile ha evidenziato molteplici aspetti positivi, che coinvolgono imprese, lavoratori e società nel suo complesso. Secondo le analisi dell'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, adottare due giorni settimanali in modalità remota comporta un incremento della produttività individuale tra il 15% e il 20% su base annua. Questa soluzione garantisce inoltre un risparmio consistente sui costi delle postazioni di lavoro, stimabile in circa 200 euro all'anno per dipendente, che può superare i 2.500 euro annui se correlato a una riduzione fisica degli spazi aziendali.

D'altra parte, i benefici si riflettono anche sui lavoratori, grazie a:

  • Minori tempi e costi per gli spostamenti (fino a 80 ore e circa 900 euro di risparmio a persona all'anno).
  • Miglioramento dell'equilibrio tra vita lavorativa e personale.
  • Incremento della soddisfazione e del benessere individuale.
Un ulteriore vantaggio riguarda la sostenibilità ambientale: la riduzione degli spostamenti da parte dei dipendenti consente una diminuzione delle emissioni di CO2 pari a circa 460 kg all'anno per ogni lavoratore che ricorre regolarmente allo smart working. Tali dati pongono in evidenza l'efficacia di questo modello sia dal punto di vista organizzativo che sociale, contribuendo al contempo agli obiettivi europei di neutralità climatica.

Le grandi imprese e alcune amministrazioni pubbliche, in particolare, hanno saputo attuare modelli strutturati che consolidano la prassi del lavoro agile attraverso accordi sindacali o policy flessibili, garantendo tutele normative e opportunità di formazione a distanza, oltre a strumenti per il monitoraggio degli obiettivi individuali. Tuttavia, nonostante questi risultati, persistono aree di criticità che rallentano una diffusione uniforme dello smart working su scala nazionale.

Impatto sulle diverse tipologie di imprese e variabilità settoriale

L'adozione e la continuità dello smart working variano per dimensione, settore di appartenenza e cultura organizzativa. I dati OSWF segnalano che nelle grandi imprese il lavoro da remoto si è ormai consolidato, con oltre il 96% delle aziende che offre policy strutturate e una platea di circa 1,91 milioni di smart worker nel 2024. Nelle microimprese, il numero di dipendenti in modalità agile è stabile o in lieve crescita, specie tra startup e realtà fortemente digitalizzate.

Al contrario, nelle PMI si assiste a una tendenza regressiva. Il lavoro agile viene spesso considerato una soluzione occasionale anziché parte integrante del modello organizzativo. Tale effetto è stato amplificato dall'uscita dall'emergenza Covid e dalla fine delle deroghe normative che ne consentivano una maggiore diffusione.

Nella Pubblica Amministrazione, il consolidamento delle pratiche agili riguarda circa il 61% delle realtà, con una prevalenza nelle strutture di maggiori dimensioni e una riduzione del numero di smart worker da 515.000 a 500.000 nell'ultimo anno. Il settore pubblico resta ancora in fase di sperimentazione, in particolare riguardo alla differenziazione tra smart working e telelavoro.

Una tabella comparativa può essere utile per inquadrare la situazione al 2024:

Tipologia d'impresa

Prevalenza smart working (%)

Tendenza 2023-24

Grandi imprese

96%

Crescita

PMI

53%

Regressione

Microimprese/start-up

Stabile-Moderata

Lieve crescita

Pubblica Amministrazione

61%

Leggera diminuzione

La differenza di approccio è influenzata, oltre che dalla struttura organizzativa, dalla propensione manageriale ad adottare la supervisione per obiettivi e da un diverso grado di digitalizzazione dei processi interni.

Le reazioni dei lavoratori e l'emergere di nuove esigenze sociali e professionali

Le progressive restrizioni allo smart working hanno generato reazioni variegate all'interno della forza lavoro. Secondo l'Osservatorio del Politecnico di Milano, il 73% dei dipendenti che attualmente usufruisce di lavoro agile avrebbe una reazione negativa a un eventuale ritorno totale al lavoro in presenza; il 27% valuterebbe persino di cambiare impiego. I principali elementi di insoddisfazione sono collegati alla perdita di flessibilità e all'aumento dei tempi morti legati agli spostamenti.

Allo stesso tempo, sono emerse nuove necessità legate alla separazione tra sfera privata e professionale, all'inclusione di categorie con esigenze diverse (genitori, caregiver) e al benessere mentale. I giovani lavoratori hanno manifestato preferenze multiformi: se da un lato apprezzano la flessibilità, dall'altro valorizzano la presenza in ufficio come occasione di apprendimento e networking.

Episodi di scioperi e proteste, come quelli registrati in aziende di rilievo nazionale, testimoniano l'importanza riconosciuta allo smart working come benefit e non semplice opzione temporanea. Le richieste più diffuse includono una maggiore personalizzazione delle policy, un aumento del lavoro da remoto o, in alternativa, compensazioni economiche e benefit specifici adeguati al nuovo scenario professionale.