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Perché l'occupazione in Italia cresce a livelli record, ma il Pil rimane bloccato e incerto?

di Marianna Quatraro pubblicato il
Pil rimane bloccato

Mentre l'occupazione in Italia raggiunge livelli record, il Pil continua a mostrare segni di staticità. Dal boom dei settori che generano nuovi posti ai problemi di produttività.

L'Italia registra un numero di occupati senza precedenti, con il tasso di occupazione salito al 62,8% e oltre 24,2 milioni di persone impiegate. Tuttavia, il prodotto interno lordo avanza a passo rallentato, con una crescita economica dello 0,5% prevista per il 2025 e solo un lieve incremento atteso nel 2026. Questo apparente paradosso mette sotto la lente le relazioni tra mercato del lavoro e andamento economico: più persone lavorano, ma la ricchezza prodotta cresce poco. Analizzare le radici di questo squilibrio tra creazione di posti di lavoro e aumento del Pil è indispensabile per comprendere le trasformazioni in atto nell'economia italiana e i delicati equilibri tra quantità e qualità dell'occupazione.

L'aumento dell'occupazione: numeri, settori e caratteristiche

Secondo i dati Istat, fra il 2022 e il 2024 gli occupati in Italia sono aumentati del 3%, superando ampiamente la crescita registrata dal Pil (+1,1%). Questo incremento è stato trainato da diverse dinamiche settoriali e demografiche:

  • I servizi guidano la domanda di lavoro, con 366 mila assunzioni programmate, seguiti dal turismo (+67 mila), commercio (+77 mila) e costruzioni (+52 mila).
  • L'aumento dell'occupazione coinvolge principalmente over 50 (+133 mila unità dal 2024), grazie al posticipo dell'età pensionabile e all'apprezzamento dell'esperienza professionale.
  • Salgono anche i contratti a tempo determinato (+1,3%) e i lavoratori autonomi (+1%).
  • Il lavoro femminile segna progressi significativi, trainato anche dalla diffusione del lavoro da remoto che ha allargato la partecipazione delle donne rispetto agli uomini nelle nuove forme di flessibilità lavorativa.
I nuovi occupati si concentrano in comparti dove la produttività è storicamente contenuta: nel biennio 2023-24 il 42% ha trovato impiego nel commercio, il 19% nel settore pubblico (sanità, istruzione, amministrazione) e il 14% nelle costruzioni. Solo il 10% invece nella manifattura, mentre appena il 2% nell'energia. La crescita riguarda lavoratori dipendenti, autonomi e stranieri, spesso impiegati in ruoli che richiedono basse qualifiche ma alta flessibilità.

Produttività stagnante e settori a bassa crescita: le cause

La distanza tra crescita dell'occupazione e redditività dell'economia italiana trova origine in una serie di fattori strutturali:

  • Produzione industriale in calo: nel 2024, il settore manifatturiero ha visto diminuire la sua attività del 3,5%, mentre l'output aggregato dei servizi segnava un calo del 2,7%. Aumentano i lavoratori, ma la produzione effettiva ristagna o si contrae.
  • La concentrazione nei settori a bassa produttività: quasi tre quarti delle nuove assunzioni dal 2023 sono avvenute in comparti caratterizzati da limitato valore aggiunto per occupato. Il boom di impieghi in queste aree non si traduce automaticamente in una maggiore produzione nazionale.
  • Diminuzione delle ore lavorate pro capite: l'incremento degli occupati si accompagna a una crescita meno marcata delle ore complessive lavorate rispetto al passato, anche per via dell'aumento del part-time e della minore intensità lavorativa.
  • Calano le retribuzioni reali e la produttività: tra il 2021 e il 2022, i salari reali sono diminuiti più della produttività. Il conseguente costo contenuto di nuovo personale ha incentivato le imprese ad ampliare gli organici, ma spesso per mansioni scarsamente produttive o intermittenti.
Queste tendenze si rispecchiano nella mancata crescita del valore aggiunto e nel fenomeno sempre più evidente della cosiddetta occupazione senza crescita, secondo quanto rilevo in diversi rapporti di istituti di ricerca come Centro Studi Confindustria e la stessa Banca d'Italia.

Lavoro povero, salari bassi e inflazione: il costo della crescita

La crescita dell'occupazione osservata negli ultimi anni ha un contraltare sociale rilevante: l'aumento sensibile del lavoro povero e la diminuzione del potere d'acquisto delle famiglie. Molti dei nuovi posti di lavoro sono caratterizzati da salari contenuti, condizione aggravata dall'inflazione che tra il 2021 e il 2022 ha ridotto in modo marcato le retribuzioni reali:

  • Il settore del commercio e dei servizi, che rappresenta circa un quarto degli occupati italiani, ha visto crescere il numero di lavoratori (+5%) ma diminuita la produttività (-4,2%), generando nuove vulnerabilità economiche tra i lavoratori.
  • Precariato diffuso: la prevalenza di contratti a termine, intermittenti o con basse tutele, concentra nuove assunzioni tra giovani, lavoratori stranieri e residenti nel Mezzogiorno, spesso colpiti dalla scarsa continuità occupazionale.
  • Ampio ricorso a misure di sostegno (CIG): le ore di cassa integrazione sono aumentate nel 2024 di oltre il 20% rispetto all'anno precedente, segnalando la fragilità di numerosi settori produttivi.
  • Allargamento dei divari salariali tra le diverse imprese: le aziende più innovative e con investimenti in formazione mantengono stipendi più alti, mentre la maggioranza dei lavoratori subisce il blocco o la contrazione dei salari reali.
La diffusione del lavoro povero comporta ripercussioni sulla coesione sociale e sulle prospettive di crescita futura. Il rischio è quello di una trappola della bassa produttività, con effetti negativi sulle opportunità delle nuove generazioni e sulla tenuta del sistema previdenziale.

Incentivi, invecchiamento e domanda di lavoro

L'eccezionale crescita degli occupati è legata anche a una serie di fattori transitori e a cambiamenti demografici:

  • Costi aumentati di beni intermedi e capitale: nei primi anni successivi alla pandemia, l'incremento dei prezzi per energia e materiali ha spinto le imprese a puntare più sul lavoro che su investimenti produttivi, incrementando le assunzioni ma penalizzando la produttività per ora lavorata.
  • Incentivi pubblici al comparto edilizio e ai servizi: bonus e sussidi sono stati determinanti per la forte domanda di personale nelle costruzioni e nel settore pubblico, in particolare sanità e istruzione dopo la pandemia, spiegando parte sostanziale dell'espansione occupazionale tra il 2019 e il 2024.
  • Mutamenti demografici e offerta di forza lavoro: il progressivo invecchiamento della popolazione ha visto aumentare la quota di occupati over 50, mentre la riduzione della popolazione in età lavorativa (meno 700mila dal 2019) rende difficile soddisfare la crescente domanda di personale, accentuando squilibri territoriali e professionali.
  • Arrivo di lavoratori stranieri: una quota significativa di assunzioni si concentra tra gli immigrati, spesso impiegati in ruoli irregolari o marginali e soggetti a salari inferiori rispetto alla media nazionale.
Le difficoltà e i vuoti di personale in molti settori, uniti all'invecchiamento della base lavorativa e a un flusso insufficiente di giovani diplomati o laureati nelle aree tecniche, pongono nuove sfide al mercato del lavoro italiano.

Innovazione, formazione e il ruolo delle politiche attive

La distonia fra occupazione in forte espansione e produttività stagnante mette in evidenza una serie di sfide strategiche:

  • Urgente rafforzamento delle politiche attive del lavoro: la difficoltà di incrociare domanda e offerta, segnalata da 408.000 posti di lavoro non coperti nel 2025, riflette il disallineamento tra competenze disponibili e quelle ricercate dalle imprese.
  • Formazione continua e orientamento alle STEM: il numero di laureati in discipline scientifiche e tecnologiche resta inferiore rispetto alle principali economie europee, e la carenza di specialisti penalizza l'innovazione e la crescita nei settori ad alto valore aggiunto.
  • Innovazione e digitalizzazione dei processi produttivi: l'adozione di tecnologie come l'intelligenza artificiale si accompagna alla creazione di nuove professioni qualificate e non ha generato una diminuzione dell'occupazione, ma piuttosto una riorganizzazione del lavoro nelle aziende all'avanguardia.
  • Maggiore inclusione femminile e valorizzazione del lavoro da remoto: le nuove modalità lavorative rappresentano una risorsa preziosa per ampliare la partecipazione della forza lavoro e ridurre i divari regionali e di genere.
Il sistema produttivo italiano dovrà puntare su un miglioramento della qualità occupazionale, sulla crescita delle competenze e su un rafforzamento del legame tra università, formazione e imprese. Solo così sarà possibile superare il paradosso della crescita occupazionale "senza crescita" e rilanciare la produttività.