Quali sono i veri motivi per cui sempre più italiani decidono di restare a lavoro, tra necessità e piacere, pur potendo andare in pensione e in quali settori soprattutto
Negli ultimi anni, il panorama occupazionale italiano sta assistendo a una crescita costante della quota di persone che, pur potendo accedere alla pensione, scelgono o sono costrette a restare attive nel mondo del lavoro. Oltre metà dei cittadini tra i 50 e i 74 anni non riceve ancora un assegno pensionistico e in molti casi continua a lavorare, spostando sempre più avanti il confine tra vita lavorativa e riposo.
Questo trend, alimentato sia da ragioni strettamente economiche sia dal desiderio di mantenersi attivi e coinvolti, è reso ancora più evidente dalle recenti statistiche e indagini: dal 2003 a oggi, la quota di over 50 occupati è cresciuta sensibilmente, in alcuni casi a ritmo superiore rispetto ad altri Paesi europei.
L’uscita dal lavoro in Italia è regolata da una normativa articolata che prevede più canali, spesso oggetto di modifiche a seguito delle riforme previdenziali. Per la pensione di vecchiaia, il requisito anagrafico attualmente in vigore è fissato a 67 anni, accompagnato da almeno 20 anni di contributi. Esistono però altre forme di uscita anticipata: la pensione anticipata ordinaria, raggiungibile con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, indipendentemente dall’età.
Da segnalare sono anche le formule cosiddette “Quota” (come Quota 100 e Quota 103, che legano età anagrafica e anzianità contributiva), e strumenti dedicati a categorie specifiche come Opzione Donna, riconducibile alle lavoratrici con carriere discontinue, e Quota 41 per i "precoci". Tuttavia, chi accede tramite opzioni anticipate spesso vede penalizzato l’importo mensile.
Le differenze di genere continuano a condizionare le traiettorie: mediamente le donne italiane accedono alla pensione più tardi degli uomini, 61,9 anni contro 60,9, una peculiarità legata alla frammentazione del percorso lavorativo femminile e alle minori opportunità di versare contributi continui, in particolare nel Sud e tra chi possiede livelli di istruzione più bassi.
L’età media del pensionamento si sta innalzando e la tendenza è destinata a rafforzarsi in futuro a causa dei buchi contributivi, delle carriere sempre più precarie e delle modifiche legislative.
I dati più recenti forniti dall'ISTAT e da indagini Eurostat evidenziano una fotografia sfaccettata della popolazione attiva tra i 50 e i 74 anni. Solo il 32,1% degli italiani in questa fascia d’età percepisce una pensione, contro una media UE del 40,5%. Significa che quasi sette persone su dieci, dopo i 50 anni, restano attive nel mercato del lavoro o attendono di accedervi nuovamente. Un fenomeno che coinvolge soprattutto donne, solo il 28% delle over 50 riceve una pensione, a fronte del 40,7% a livello europeo.
L'età media di pensionamento si attesta sui 61,4 anni; tuttavia, è maggiore nelle regioni del Sud e tra i laureati, mentre tra i pensionati che hanno continuato a lavorare subito dopo il primo assegno, il 51,7% lo fa per passione o desiderio di restare produttivo. Per quanto riguarda la ripartizione settoriale, nel decennio 2014-2024 l’aumento di lavoratori over 50 è stato marcato, soprattutto tra artigiani, imprenditori e dipendenti senior.
Circa il 10% degli italiani tra i 50 e 74 anni continua a lavorare dopo il pensionamento, una percentuale superiore rispetto al passato e destinata a salire per effetto dell’invecchiamento demografico e del perfezionamento della normativa previdenziale.
Dietro la decisione di rimanere attivi oltre la soglia pensionabile si celano ragioni molteplici. Da un lato la crescente difficoltà di sostenere le spese quotidiane con assegni previdenziali spesso modesti o molto bassi; dall’altro, il desiderio di tutelare il benessere psicofisico, mantenere relazioni sociali, sentirsi utili, semplicemente per piacere e trasmettere esperienza ai più giovani, soprattutto in particolari settori, come quello finanziario, o sanitario, o dell'istruzione.
L’importo medio delle pensioni di vecchiaia in Italia si attesta attorno ai 1.460 euro mensili, ma oltre la metà dei trattamenti si fermano sotto la soglia dei 750 euro. Un quadro che rende difficile mantenere un tenore di vita dignitoso, soprattutto per chi vive solo o sostiene economicamente figli e nipoti.
Sono oltre 700mila i pensionati che hanno ripreso un’attività lavorativa; per molti si tratta di una scelta necessitata dalla scarsa copertura fornita dal sistema pubblico, dal rialzo del costo della vita e dall’inflazione. Inoltre, anche dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, molti optano per lavoro part-time o autonomo così da integrare il reddito e differire l’uscita definitiva dal mondo lavorativo.
Non mancano però casi in cui la motivazione prevalente non è l’esigenza economica: tra i pensionati che hanno scelto di rimanere attivi dopo aver maturato il diritto alla previdenza, oltre la metà indica passioni personali e desiderio di realizzazione come motivazioni principali.
Molte figure professionali, soprattutto in ambiti della consulenza, dei servizi alla persona e dell’artigianato, vivono il lavoro come parte integrante della propria identità. Per imprenditori e manager, restare in attività rappresenta il naturale proseguimento di un progetto di vita a cui hanno dedicato decenni, con il valore aggiunto di poter trasferire il proprio know-how a giovani colleghi e nuove generazioni.
L’incidenza della permanenza al lavoro in età da pensione varia sensibilmente tra dipendenti, autonomi e titolari di impresa. Nell’ultima indagine CNA risulta che il 56,6% dei pensionati autonomi, soprattutto artigiani, commercianti, agricoltori e liberi professionisti, prosegue l’attività, spesso motivato da legami affettivi e professionali con la propria azienda. Il fenomeno è accentuato dalla flessibilità delle partite IVA che permette una gestione modulare dell’impegno.
Nel decennio 2014-2024 la quota di imprenditori over 50 è cresciuta notevolmente, raggiungendo il 46,4% tra i 50 e i 69 anni. Anche tra gli artigiani, gli ultra 59enni sono aumentati del 35,1%, spesso animati da motivazioni miste: necessità di garantire continuità aziendale e piacere del lavoro. Nei settori ad alta responsabilità o valore aggiunto, manager, servizi finanziari, farmaceutica, la seniority è apprezzata ed è comune la presenza di mentori e consulenti di grande esperienza.