Frequentare l'università ha un costo non solo in termini economici diretti, ma anche in termini di opportunità lavorative perse.
Il divario retributivo tra chi possiede una laurea e chi si ferma al diploma esiste, ma risulta meno accentuato rispetto a quanto avviene in altri Paesi dell'area OCSE. I laureati italiani guadagnano circa il 38% in più rispetto ai diplomati, a fronte di una media OCSE che supera il 55%. Pur essendo un investimento, il ritorno economico dello studio universitario non sempre è tale da giustificare i costi sostenuti, soprattutto se si tiene conto dei lunghi tempi di ammortamento.
La laurea agisce come leva più lenta, ma progressiva. Non offre garanzie immediate, ma consente l'accesso a ruoli professionali di maggiore rilievo, dove il guadagno non dipende solo dal livello d'ingresso, bensì dalla crescita verticale nella carriera. È in questa dinamica che il capitale umano accademico si traduce, se ben indirizzato, in maggiori entrate a lungo termine.
In alcuni settori, specie quelli tecnici, produttivi e operativi, il diploma di scuola superiore può ancora rappresentare una porta d'ingresso più redditizia e rapida rispetto a un percorso accademico. È il caso degli operai specializzati o dei tecnici esperti, dove l'esperienza ha un valore superiore alla teoria, e dove il titolo universitario non solo non fa la differenza, ma può risultare addirittura penalizzante. Secondo uno studio dell'Osservatorio JobPricing, tra i lavoratori inquadrati come operai, i laureati guadagnano in media l'1,7% in meno rispetto ai colleghi diplomati.
Se da un lato la laurea consente l'accesso a posizioni dirigenziali o di quadro, dall'altro non garantisce in automatico un trattamento economico superiore. La differenza si manifesta nella composizione dei ruoli: oltre il 60% di quadri e dirigenti è laureato, mentre tra gli operai i laureati rappresentano meno del 30%. Questo spiega perché il differenziale salariale non dipende tanto dal titolo in sé, quanto dal tipo di lavoro accessibile grazie al titolo.
Frequentare l'università ha un costo non solo in termini economici diretti, ma anche in termini di opportunità lavorative perse durante gli anni di studio. Per chi studia fuori sede, ad esempio, il tempo medio necessario per recuperare l'investimento universitario oscilla tra i 14 e i 15 anni, mentre per chi rimane nella propria città può ridursi a 12 anni.
Le differenze salariali si fanno marcate quando si considerano le discipline universitarie. I laureati in Ingegneria meccanica, chimica, informatica, finanza o farmaceutica ottengono stipendi medi di circa 36.000 euro già nella fascia d'età tra i 25 e i 34 anni. In queste aree, il mercato premia le competenze tecniche, la specializzazione e la scarsa reperibilità dei profili. Il podio delle lauree più retribuite è occupato dai settori ad alta tecnologia e digitalizzazione.
Nel mondo del lavoro italiano, chi possiede un titolo in discipline umanistiche, artistiche o pedagogiche si scontra con una domanda occupazionale più debole e con un'offerta spesso sovrabbondante. La RAL media per un laureato in Scienze Storiche, Filosofiche o Antichità si aggira intorno ai 30.800 euro, al di sotto della media generale, con picchi negativi anche superiori all'8% rispetto ad altri ambiti.
Anche il nome dell'ateneo frequentato può influenzare il destino economico del laureato. Secondo le ultime rilevazioni, gli studenti della Bocconi percepiscono stipendi superiori del 23% alla media nazionale. Seguono il Politecnico di Milano e la Luiss, a dimostrazione che le università più prestigiose facilitano non solo l'accesso a ruoli meglio pagati, ma anche un più rapido recupero dell'investimento formativo.