La corte di Cassazione ha stabilito un unico caso in cui si perde il diritto alle ferie ma anche alla loro monetizzazione: qual nel dettaglio
La disciplina delle ferie annuali retribuite rappresenta uno dei temi più delicati e discussi nell’ambito del diritto del lavoro moderno. La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, oltre al quadro normativo nazionale ed europeo, ha chiarito le condizioni in cui il diritto alle ferie potrebbe essere perso, focalizzandosi sul ruolo del datore di lavoro e sulle cause reali che impediscono la fruizione delle ferie stesse.
La normativa sulle ferie annuali retribuite stabilisce che ogni lavoratore ha diritto a un periodo di riposo annuale retribuito, irrinunciabile ed essenziale per il ristoro psico-fisico. I criteri generali per l’esercizio di tale diritto sono i seguenti:
Il principio generale vieta la liquidazione monetaria delle ferie maturate e non godute durante il rapporto lavorativo, proprio per evitare che venga meno la finalità di recupero psicofisico. Tuttavia, l’ordinamento riconosce alcune eccezioni.
Eventi che comportano la cessazione del rapporto di lavoro, tanto per dimissioni, quanto per licenziamento, incluso quello per responsabilità del lavoratore, legittimano la corresponsione di un’indennità sostitutiva, salvo che non sia dimostrato che la mancata fruizione sia imputabile al lavoratore stesso.
La Cassazione ha chiarito che la perdita del diritto all’indennità sostitutiva delle ferie è possibile solo a fronte di specifiche condizioni: il datore di lavoro deve aver posto il dipendente nella reale possibilità di usufruire delle ferie e averlo avvisato, formalmente e con tempestività, dell’eventuale perdita del diritto in caso di mancata fruizione (Cassazione, n.21780/2022). Il divieto di monetizzare si applica al periodo minimo legale, mentre il trattamento può variare sulle settimane aggiuntive previste dai contratti collettivi.
Infine, tra i limiti che la giurisprudenza identifica vi sono il rispetto della funzione sociale delle ferie e la non imputabilità al lavoratore di impedimenti oggettivi, quali la malattia, infortuni o cause di forza maggiore.
Secondo gli ultimi orientamenti, la responsabilità di garantire il godimento effettivo delle ferie ricade principalmente sul datore di lavoro. La Corte di Cassazione, nelle più recenti pronunce, ha stabilito che non è sufficiente la mera possibilità astratta per il lavoratore di usufruire delle ferie: il datore deve agire concretamente, informando e sollecitando il dipendente a programmare i giorni di assenza, avvisandolo puntualmente dei rischi legati al mancato sfruttamento di tale diritto.
La giurisprudenza europea e nazionale (Corte di Giustizia UE e Cassazione) pone l’onere della prova a carico della parte datoriale, che dovrà documentare con precisione di aver:
Se il datore di lavoro si limita a una posizione di inerzia o non dimostra quanto sopra, il lavoratore conserva il diritto non solo alle ferie, ma anche all’indennità sostitutiva in caso di cessazione del rapporto.
Con particolare riferimento alla perdita effettiva del diritto alle ferie e anche alla loro monetizzazione, secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 21780/2022), la decadenza può avvenire esclusivamente nel caso in cui il datore di lavoro:
Di conseguenza, l’inerzia non qualificata del dipendente, cioè il rifiuto ingiustificato, non supportato da valide ragioni o dalla mancata risposta agli inviti e ai richiami formali del datore, rappresenta l’unica situazione individuata dalla Corte nella quale il diritto alle ferie e all’indennità si estingue. In tutti gli altri casi, l’obbligo risarcitorio o indennitario permane, e ogni altra valutazione di tipo organizzativo rimane irrilevante se non si può attribuire alla condotta del lavoratore la responsabilità della mancata fruizione.