Residenza fiscale: le regole aggiornate con chiarimenti ed esempi tratti dalla circolare 20/E 2024 dell’Agenzia delle Entrate
La residenza fiscale è un tema estremamente importante per i contribuenti, soprattutto per chi vive o lavora all'estero e deve definire con chiarezza la propria posizione tributaria per evitare problematiche di doppia imposizione o potenziali controversie con l'Agenzia delle Entrate.
La circolare 20/E dell'Agenzia delle Entrate ha fornito nuovi chiarimenti e linee guida che approfondiscono la definizione di residenza fiscale, offrendo interpretazioni dettagliate su iscrizione anagrafica, domicilio e residenza abituale.
La residenza fiscale determina il luogo in cui una persona è soggetta a tassazione sui propri redditi complessivi, ossia su tutti i redditi prodotti, sia in Italia che all'estero. In base alla normativa italiana, una persona è considerata fiscalmente residente se soddisfa almeno uno dei seguenti criteri per più di 183 giorni l'anno (184 negli anni bisestili):
Uno degli aspetti più innovativi introdotti dalla circolare riguarda la definizione di domicilio. Il Decreto Fiscalità Internazionale (Dlgs n. 209/2023) ha sostituito il rinvio alla definizione civilistica con una nuova nozione valevole esclusivamente ai fini fiscali, secondo cui "per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona".
Questa nuova definizione privilegia nettamente le relazioni personali e familiari rispetto a quelle prettamente economiche, permettendo così di risolvere le incertezze venutesi a creare negli anni in virtù del precedente rinvio al domicilio civilistico. Nella nozione di "relazioni personali e familiari" rientrano:
Ad esempio, se una persona iscritta all'AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero) che lavora all'estero mantiene a propria disposizione un'abitazione in Italia, lasciandovi attive le utenze, e vi fa ritorno nei fine settimana o durante i periodi di astensione dal lavoro, queste circostanze potrebbero essere considerate elementi indicativi del mantenimento di un legame con l'Italia, configurando potenzialmente il domicilio nel nostro Paese.
La circolare 20/E introduce un nuovo criterio di radicamento della residenza fiscale basato sulla presenza fisica in Italia. Si tratta di un criterio oggettivo, basato esclusivamente sulla presenza fisica di un soggetto nel territorio dello Stato italiano, a prescindere dalle motivazioni di tale presenza e senza che sia necessaria la configurazione di alcuno degli altri criteri previsti dalla normativa.
La presenza fisica può essere riscontrata in base a elementi che attestano la permanenza materiale nel territorio dello Stato, anche non continuativa, per un preciso numero di giorni o frazioni di giorno. In relazione a questo criterio, ai fini del conteggio della permanenza nel territorio italiano, occorre tenere conto anche delle frazioni di giorno, seppur di breve durata.
Ad esempio, se una persona arriva in Italia alle 23:00 del 1° luglio e vi rimane fino alle 01:00 del 31 dicembre, entrambi i giorni (1° luglio e 31 dicembre) vengono considerati interamente ai fini del calcolo, nonostante la persona abbia trascorso nel territorio italiano solo una frazione di tali giornate.
Un cambiamento significativo introdotto dalla normativa vigente riguarda l'efficacia della presunzione di residenza basata sull'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente. A differenza del passato, quando l'iscrizione anagrafica determinava una presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia, la nuova disposizione conferisce a tale criterio l'efficacia di presunzione relativa.
Questo significa che il contribuente ha la possibilità di dimostrare che il dato formale dell'iscrizione anagrafica non corrisponde alla sua situazione effettiva. Le persone iscritte nell'anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d'imposta continuano a essere considerate fiscalmente residenti in Italia, a meno che non siano in grado di provare che l'iscrizione anagrafica non corrisponde a una residenza effettiva nel territorio italiano.
Per dimostrare questo, il contribuente deve provare, sulla base di elementi oggettivamente riscontrabili, che per la maggior parte del periodo d'imposta non si è configurato nessuno dei criteri alternativi previsti dalla normativa (residenza civilistica, domicilio o presenza fisica nel territorio dello Stato).
Un aspetto particolarmente rilevante della circolare 20/E riguarda l'impatto del lavoro da remoto sulla determinazione della residenza fiscale. Per effetto dell'introduzione del criterio della presenza fisica, le persone che lavorano in smart working dall'Italia per la maggior parte del periodo d'imposta sono considerate fiscalmente residenti nel nostro Paese, indipendentemente dalla configurazione di altri criteri di collegamento.
Ciò significa che chi lavora in modalità agile dall'Italia per più di 183 giorni all'anno (o 184 negli anni bisestili) è automaticamente considerato residente fiscale italiano, anche se il datore di lavoro è estero e non ha altri legami con l'Italia.
È importante notare che, nel caso in cui il lavoratore in smart working abbia radicato la propria residenza fiscale nel territorio italiano, dovrà assoggettare a tassazione in Italia tutti i suoi redditi, ovunque prodotti, e non solo quelli derivanti dalla propria attività lavorativa, fatta salva l'eventuale applicazione di disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
La circolare 20/E affronta anche il caso specifico dei lavoratori transfrontalieri, ossia coloro che risiedono in uno Stato confinante con l'Italia e quotidianamente attraversano la frontiera per svolgere la propria attività lavorativa nel nostro Paese.
In base al nuovo criterio della presenza fisica, questi soggetti potrebbero configurare la residenza fiscale in Italia se sono presenti nel territorio italiano per più di 183 giorni all'anno, anche se solo per una frazione di ciascuna giornata. In questi casi, qualora si verifichi un conflitto di residenza tra l'Italia e lo Stato di provenienza del lavoratore, la questione può essere risolta applicando le cosiddette "tie breaker rules" (regole per dirimere i conflitti) previste dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Questo vale anche quando la Convenzione non regolamenti espressamente la tassazione del lavoro dei frontalieri, come nel caso della Convenzione tra Italia e Slovenia. In tali situazioni, il conflitto di norme sulla residenza può essere risolto facendo ricorso alle regole previste dall'articolo 4 della Convenzione.
La normativa mantiene la presunzione legale relativa di residenza fiscale in Italia per i cittadini italiani "cancellati dalle anagrafi della popolazione residente" e trasferitisi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, individuati dal Decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999 e successive modifiche.
I cittadini italiani che si trovino in queste condizioni si presumono fiscalmente residenti in Italia, a meno che non siano in grado di fornire la prova contraria. Per superare questa presunzione, il contribuente deve dimostrare pienamente la perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e fornire la prova di una reale e duratura localizzazione nel paese fiscalmente privilegiato, indipendentemente dall'assolvimento in quest'ultimo di obblighi fiscali.
Un aspetto fondamentale per chi ha legami con più Paesi riguarda il rapporto tra la normativa italiana sulla residenza fiscale e le disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia.
La prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è pacificamente riconosciuta e, in ambito tributario, è sancita dall'articolo 169 del TUIR e dall'articolo 75 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600. Queste norme dispongono, rispettivamente, l'applicazione della normativa interna in deroga agli accordi internazionali solo ove più favorevole al contribuente e la prevalenza degli accordi internazionali sul diritto interno.
Nelle ipotesi in cui le normative interne degli Stati contraenti entrino in conflitto, qualificando entrambe una persona come residente ai fini fiscali nel rispettivo Stato, trova applicazione l'articolo 4, paragrafo 2, del Modello di Convenzione OCSE, il quale prevede specifiche regole (tie breaker rules) per attribuire la residenza a uno solo dei due Paesi. In particolare, le regole convenzionali fanno prevalere:
Chi è residente fiscale in Italia è soggetto a tassazione su tutti i redditi ovunque prodotti, inclusi quelli generati all'estero. La circolare 20/E ricorda che i residenti fiscali italiani devono comprendere nella propria dichiarazione sia i redditi prodotti in Italia sia quelli prodotti in altri Paesi.
Per evitare la doppia imposizione, l'Italia ha stipulato convenzioni con numerosi Stati. È consigliabile per i contribuenti con redditi esteri verificare le convenzioni internazionali applicabili per calcolare correttamente le imposte dovute. In caso di dubbi, è sempre raccomandabile consultare un esperto fiscale.
La circolare sottolinea inoltre l'importanza di documentare accuratamente la propria posizione per evitare contestazioni fiscali. Questo può includere: