Le condizioni di lavoro dei rider in Italia restano critiche nonostante il CCNL. Un'inchiesta CGIL svela precarietà, mancanza di tutele e battaglie sindacali in un settore in continua evoluzione
Il fenomeno dei rider in Italia è sempre più al centro del dibattito pubblico e sindacale. Nonostante l’esistenza di un Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro, le condizioni lavorative rimangono al limite del sostenibile. Le denunce di sfruttamento, la mancanza di tutele e i problemi legati alla sicurezza sul lavoro continuano a essere segnalati dai sindacati.
Il mercato del food delivery in Italia è dominato da diverse piattaforme internazionali e nazionali che negli anni hanno trasformato il settore della ristorazione e della logistica urbana.
Just Eat è una delle poche società a operare con contratti da dipendente per i propri rider, garantendo una minima stabilità lavorativa rispetto ai competitor. Contrariamente, aziende come Glovo e Deliveroo basano il loro modello su collaboratori autonomi, pagando i rider in base alle consegne effettuate, un sistema che spesso li espone a condizioni di precarietà.
Negli ultimi anni, la crescita del settore ha portato anche all'espansione delle cosidette dark kitchen, cucine senza ristorante fisico destinate esclusivamente alle consegne a domicilio. Questo modello ha ridotto i costi operativi per i ristoratori, ma ha anche intensificato la dipendenza dai servizi delle piattaforme, aumentando il carico di lavoro per i rider.
Le piattaforme utilizzano algoritmi avanzati per assegnare le consegne, determinando le tratte e i compensi dei lavoratori. Tuttavia, questa gestione algoritmica ha sollevato critiche per la mancanza di trasparenza e l'impossibilità dei rider di contestare decisioni automatizzate, elemento centrale nelle battaglie sindacali.
Le condizioni lavorative dei rider sono caratterizzate da un’elevata precarietà e dalla quasi totale assenza di tutele. La maggior parte di loro opera come autonomi, ma nella pratica è soggetta a vincoli lavorativi rigidi imposti dalle piattaforme di food delivery.
L’inchiesta della CGIL sulla condizione dei rider in Italia evidenzia un quadro di sfruttamento e precarietà. I ciclofattorini lavorano fino a 10 ore al giorno, sette giorni su sette, con paghe molto basse (in media 2-4 euro lordi a consegna) e senza tutele adeguate. Oltre il 90% è inquadrato con contratti che non garantiscono diritti fondamentali.
Uno degli aspetti più contestati è il pagamento a cottimo, che spinge i lavoratori a effettuare il maggior numero possibile di consegne per ottenere un compenso dignitoso. Questo sistema li costringe spesso a ignorare condizioni meteo avverse e ad affrontare rischi elevati legati alla sicurezza stradale. La manutenzione dei mezzi, così come l’assicurazione, sono a carico del lavoratore, aggravando ulteriormente il costo del lavoro.
Un altro problema riguarda la gestione degli account: le piattaforme possono sospendere o revocare unilateralmente l’accesso al sistema, privando il rider della possibilità di lavorare. Spesso, queste misure vengono applicate senza preavviso e senza possibilità di ricorso, ponendo i lavoratori in una condizione di vulnerabilità estrema.
Sul piano delle tutele, il CCNL introdotto per regolamentare il settore è rimasto in gran parte inefficace per la maggioranza dei rider. Solo una piccola parte ha accesso a contratti regolari, mentre il resto continua a essere inquadrato in forme contrattuali ambigue che non garantiscono diritti fondamentali come ferie, malattie retribuite e copertura previdenziale.
Le testimonianze raccolte evidenziano anche l’assenza di norme di sicurezza adeguate. Incidenti e infortuni sono frequenti, ma senza una protezione efficace da parte delle aziende, i rider si trovano a dover affrontare da soli le conseguenze economiche e sanitarie.
La Nidil CGIL, insieme alla Filcams CGIL, ha più volte denunciato lo sfruttamento nel settore, riuscendo a ottenere alcune vittorie significative nei tribunali.
Uno dei casi più noti è stato quello che ha coinvolto Uber Italy, con l’ex manager Gloria Bresciani condannata per caporalato. L’indagine della procura di Milano ha rivelato un sistema in cui i rider venivano reclutati tramite cooperative compiacenti, lavorando per pochi euro all’ora senza alcuna tutela.
Le mobilitazioni sindacali hanno portato anche all’adozione della direttiva rider in Europa, che mira a regolamentare l’uso degli algoritmi nella gestione del lavoro e a contrastare il falso lavoro autonomo. Tuttavia, l’applicazione in Italia è ancora in una fase di transizione e incontra resistenze da parte delle piattaforme.
Nel frattempo, le aziende come Glovo e Deliveroo continuano a difendere il modello del lavoro autonomo, mentre la pressione sindacale punta a ottenere contratti più equi e la fine del pagamento a cottimo, considerato una forma di sfruttamento incompatibile con i diritti dei lavoratori.