Promossa come incarnazione dell'innovazione tecnologica, la figura del rider cela spesso una realtà dura e invisibile: precarietà diffusa, vulnerabilità e forme moderne di sfruttamento radicate in meccanismi digitali sofisticati. Dietro l'apparente autonomia nell'organizzazione dei turni si celano algoritmi che controllano orari, percorsi e profitti, lasciando ben poco spazio alla libertà reale.
La presenza di sistemi di sorveglianza informatica, combinata a una retribuzione generalmente bassa e alla frammentazione contrattuale, crea un terreno fertile per dinamiche di sfruttamento sistemico. Questo scenario, ben lontano dall'essere una semplice questione di scelta individuale o flessibilità, si intreccia con la comparsa di nuove criminalità e forme di caporalato digitale, che impattano sulla dignità umana e sulla tenuta sociale.
Modelli contrattuali, guadagni e condizioni: quando la flessibilità si trasforma in precarietà
Nel diverso panorama dei contratti applicati ai rider si esplicita la tensione tra autonomia promossa dalle piattaforme digitali e la reale condizione di subordinazione lavorativa. I modelli contrattuali vanno dal lavoro autonomo con partita IVA alla collaborazione occasionale, fino al contratto subordinato. Tale frammentazione comporta una disparità di trattamento significativa: spesso i rider non godono delle tutele minime in materia di ferie, malattia, sicurezza o maternità. La mancanza di un Contratto Collettivo Nazionale dedicato specificamente a questo settore accentua l’incertezza normativa e alimenta l’instabilità:
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I compensi sono comunemente calcolati a cottimo, ovvero in base al numero di consegne, ai chilometri percorsi e alle recensioni ricevute. La retribuzione media per ogni consegna può attestarsi intorno ai 3-4 euro, ma le trattenute imposte dalle reti di caporalato possono portare il guadagno reale a meno della metà, costringendo molti lavoratori a turni estenuanti, spesso notturni, per raggiungere entrate minime.
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Le piattaforme digitali adottano algoritmi per la gestione del lavoro e il ranking dei rider. Questi strumenti, apparentemente neutri, possono penalizzare chi rifiuta consegne, rallenta o non si mostra sufficientemente "produttivo" secondo criteri unilaterali, con il rischio di esclusioni o penalizzazioni senza trasparenza o possibilità di ricorso.
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L’iscrizione alle piattaforme avviene quasi esclusivamente online, tramite autocertificazione, senza supervisione diretta né verifiche costanti dell’identità del lavoratore. Questa modalità agevola l’intermediazione illecita di account, favorendo l’inserimento di soggetti terzi che impongono condizioni ulteriormente vessatorie.
Secondo normative di riferimento come l’art. 2
D. Lgs. 81/2015, i rapporti di collaborazione etero-organizzati dalle piattaforme dovrebbero ricadere nell’ambito del lavoro subordinato. Tuttavia, la giurisprudenza sottolinea come la quotidianità dei rider risulti segnata da un controllo algoritmico, con limiti evidenti all’autonomia e una struttura che integra molte dinamiche tipiche della subalternità. La mancanza di tutele previdenziali e assicurative specifiche, unita all’assenza di consistenti aumenti retributivi, approfondisce il divario tra la flessibilità pubblicizzata e la precarietà fattuale vissuta dai lavoratori.
Caporalato digitale: meccanismi, racket e canali di sfruttamento
I processi tipici del caporalato digitale replicano, con strumenti contemporanei, le dinamiche criminali tradizionalmente associate all’intermediazione illecita del lavoro. Attraverso piattaforme di messaggistica come Telegram, soggetti criminali offrono pacchetti “chiavi in mano” che includono account già registrati, biciclette elettriche e persino alloggi condivisi, in cambio di una parte significativa dei guadagni fino al 50%. Gli account sono venduti a prezzi che possono arrivare a 1.500 euro, spesso accompagnati da documenti falsificati e software capaci di manipolare le priorità degli ordini:
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Il modello più diffuso vede il “caporale” fornire l’accesso necessario alle piattaforme digitali a chi, per vari motivi, non può registrarsi autonomamente (come lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno). Il lavoratore, indebitato e spesso ignaro dei propri diritti, lavora per ripagare la gabella imposta dal caporale, con margini di indipendenza praticamente nulli.
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Le reti criminali gestiscono lo spostamento coordinato dei rider tra città diverse, soprattutto in concomitanza di picchi di domanda. Si tratta di una vera organizzazione parallela che si appropria della flessibilità digitale per esercitare nuove forme di dominio e controllo.
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Esempi di racket includono episodi di violenza fisica contro chi prova a denunciare o documentare le pratiche illecite, nonché la minaccia costante di esclusione dal circuito lavorativo per chi non aderisce alle regole informali imposte dalle reti di caporalato.
Il fenomeno è particolarmente diffuso tra i lavoratori autonomi delle principali piattaforme operative in Italia, come Glovo e Deliveroo, mentre le realtà che prevedono l’assunzione diretta (ad esempio Just Eat) risultano meno esposte a pratiche di intermediazione criminale.
Chi sono le principali vittime del caporalato nei rider
Lo sfruttamento digitale colpisce soprattutto lavoratori in condizioni di massima vulnerabilità, in primo luogo migranti privi di regolare permesso di soggiorno. Molti di loro arrivano in Italia dopo aver contratto debiti enormi con organizzazioni che promettono l’accesso al mercato del lavoro, ritrovandosi di fatto ostaggio di reti di caporalato gestite spesso da connazionali:
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I dati raccolti da sindacati come la Cgil Nidil evidenziano la preponderanza di vittime provenienti da Paesi come Pakistan e Bangladesh, soggetti a ricatti, estorsioni e minacce fisiche se provano a sottrarsi agli obblighi imposti dal caporale.
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La scarsa conoscenza della lingua e del funzionamento delle normative italiane rappresenta una barriera aggiuntiva, accrescendo la dipendenza dal caporale che propone, in cambio di un “posto di lavoro”, strumenti di sopravvivenza come prestiti per l’acquisto dell’account, mezzi di trasporto e persino l’alloggio.
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La condizione di isolamento, aggravata dalla paura di ritorsioni e dalla mancanza di alternative reali, genera un circolo vizioso di sfruttamento dal quale è difficilissimo uscire senza un intervento esterno di sostegno e tutela.
Oltre ai migranti, anche altre categorie, come chi ha subito discriminazioni linguistiche o sociali, sono più esposte a questa spirale di dipendenza e abuso, trovandosi spesso senza alcun tipo di protezione e tutoraggio giuridico.
Strumenti di controllo e violenza: come agiscono le organizzazioni criminali
Le organizzazioni criminali attive nel caporalato digitale dispongono di un arsenale di strumenti per garantire il loro controllo sul lavoro dei rider. L’azione si estende ben oltre il semplice prelievo di una parte del compenso, costruendo una rete capillare di minacce e repressione.
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Oltre al controllo economico, viene esercitato un condizionamento costante attraverso la sorveglianza delle prestazioni e la manipolazione dei sistemi digitali, con l’uso di software illegali capaci di alterare la priorità di assegnazione delle consegne.
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I caporali coordinano spostamenti organizzati di rider tra città diverse, soprattutto nei periodi di alta richiesta, replicando logiche proprie delle agenzie interinali ma con fini illeciti e modalità coercitive.
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Le reazioni a tentativi di denuncia o di collaborazione con sindacati sono spesso violente: nelle cronache emergono episodi di minacce, pestaggi e intimidazioni, mirati a scoraggiare qualsiasi forma di emancipazione collettiva e di richiesta di tutela.
Il livello di controllo è tale che, anche in presenza di innovazioni quali il riconoscimento facciale per l’accesso alle app, le reti criminali riescono a eludere facilmente la supervisione, persino attraverso la produzione di documenti falsi.
Quali condizioni di lavoro favoriscono lo sfruttamento dei rider
La combinazione di modelli di remunerazione a cottimo, assenza di controlli sull’identità, carenza di tutele e isolamento sociale rappresenta il terreno ideale per la proliferazione delle pratiche di caporalato digitale nel settore del food delivery:
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Il principale fattore di rischio è l’assenza di rapporti lavorativi diretti e la predominanza di contratti autonomi non regolati, che lasciano margini di manovra ampi agli intermediari illeciti.
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L’attivazione dei contratti in via telematica e l’accettazione dell’autocertificazione facilitano l’introduzione di soggetti terzi e la cessione di account, rendendo labile la possibilità di verificare chi operi effettivamente per la piattaforma.
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I compensi bassi, uniti alla pressione algoritmica e alla mancanza di un presidio fisico delle piattaforme nei territori, accrescono la vulnerabilità dei lavoratori e riducono la possibilità concreta di autodeterminazione.
I rider che operano con contratti di lavoro subordinato e retribuzione oraria risultano invece molto meno esposti a questi rischi, beneficiando di un quadro di diritti minimi e maggiori garanzie di sicurezza sul lavoro.
Le forme di contrasto al caporalato digitale si articolano tra indagini delle autorità, iniziative sindacali e adeguamenti delle piattaforme di food delivery. I Carabinieri per la Tutela del Lavoro hanno avviato ispezioni e procedimenti in diverse procure segnalando violazioni della normativa su salute, sicurezza e contributi previdenziali. Sono stati rilevati numerosi casi di affitto e vendita di account, con apertura di indagini penali e amministrative.