La rivalutazione per le pensioni nel 2026 potrebbe costare oltre 5 miliardi di euro: la situazione attuale e le prospettive
L’aggiornamento annuale degli assegni previdenziali, noto come rivalutazione delle pensioni, rappresenta uno degli elementi centrali delle politiche di tutela del potere d’acquisto degli anziani. Nel 2026, il costo stimato per tale adeguamento alle variazioni del costo della vita si attesta intorno a cinque miliardi di euro, sulla base delle proiezioni elaborate dai tecnici che supportano il governo.
Questo meccanismo risponde all’esigenza di mantenere la coerenza dell'importo delle pensioni rispetto all’inflazione, mitigando gli effetti dell’aumento generale dei prezzi registrato nell’anno precedente.
La rivalutazione delle pensioni è una procedura che garantisce l’adeguamento periodico degli importi percepiti dai pensionati all’andamento dell’inflazione. Lo scopo principale è la salvaguardia del potere d’acquisto degli assegni, tutelando così il benessere delle fasce più vulnerabili della popolazione.
Tale operazione viene effettuata attraverso l’applicazione di un coefficiente, determinato annualmente, che riflette la variazione percentuale dei prezzi al consumo rilevata dall’Istat. Nel 2026 si prevede di applicare una percentuale di riferimento dell’1,7%, come espresso dalle stime ufficiali per l’inflazione acquisita.
Generalmente, la rivalutazione non viene applicata in modo uniforme ma secondo fasce di reddito pensionistico, differenziando l’incremento tra gli assegni meno elevati e quelli di ammontare maggiore. Questo sistema mira a rendere più equo l’intervento, concentrando maggiori risorse sulle situazioni di maggiore fragilità economica.
Secondo lo schema vigente, derivante dalle disposizioni della Manovra Finanziaria 2025, anche per il 2026 le percentuali rivalutative saranno di:
Fascia di reddito | Percentuale di rivalutazione |
Fino a 4 volte il trattamento minimo | 100% |
Tra 4 e 5 volte il trattamento minimo | 90% |
Oltre 5 volte il trattamento minimo | 75% |
Si nota, dunque, come la percentuale del 100%, cioè la piena rivalutazione, riguardi esclusivamente gli assegni fino alla soglia di quattro volte il minimo, mentre le percentuali decrescono nelle fasce superiori.
Tali dovrebbero rimanere anche il prossimo anno, senza nuovi tagli effettivi per nessuno, nonostante le esigenze di contenimento della spesa pubblica, e anche se, con le nuove rivalutazioni, ci sarà certamente chi beneficerà maggiormente del sistema.
Le riduzioni potrebbero, infatti, essere più accentuate, ancora, per la fascia di pensionati che percepiscono importi superiori a cinque volte il trattamento minimo, cioè gli assegni che vengono già oggi rivalutati solo al 75% del tasso di inflazione.
Secondo le ultime valutazioni tecniche, la rivalutazione degli assegni prevista per il 2026 comporterebbe una spesa stimata di circa 5 miliardi di euro. Tale cifra rappresenta la somma dovuta al riconoscimento degli incrementi per l’intera platea dei pensionati, calcolata "al lordo" del ritorno fiscale, cioè senza considerare le maggiori entrate IRPEF che l’aumento delle pensioni genererà automaticamente.
Secondo i dati riportati, la rivalutazione sulla base delle fasce di reddito da pensione previste per il 2025 è al 100% per gli assegni fino a quattro volte il trattamento minimo, 90% per quelli tra le quattro e le cinque volte il trattamento minimo e 75% per quelli superiori a cinque volte il trattamento minimo.
Il trattamento minimo per il 2025 è di 603,40 euro mensili (7.844,20 euro annui), a cui si aggiunge un incremento straordinario del 2,2% che porta l’assegno a un totale di 616,67 euro al mese. Quindi le pensioni più avvantaggiate sono quelle che non superano i 2.466 euro.
Entrando più nel dettaglio, secondo i dati sugli importi di pensione ai beneficiari riferiti al 2023 (ultimo dato disponibile) i pensionati che percepiscono assegni inferiori a 2.500 euro lordi (il limite per le quattro volte il minimo, fino al quale si ha diritto alla rivalutazione piena, è 2.394 euro) sono il 78,9% del totale per una percentuale di importo complessivo del 56,7%.
Se si applicasse la percentuale di rivalutazione dell'1,7% per le pensioni del 2026, bisognerebbe prevedere uno stanziamento di oltre 3,4 miliardi.
Per i 153,7 miliardi di spesa pensionistica calcolati, anche prevedendo un recupero solo dello 0,75% dell'aumento dei prezzi, quindi solo dell'1,275%, la spesa necessaria sarebbe di quasi due miliardi (1,959) portando il totale complessivo per la rivalutazione degli assegni a 5,4 miliardi.
Dunque, per riassumere: