Tra ulteriore revisione della tassazione e nuova rivalutazione annua si discute dei prossimi aumenti delle pensioni 2026: come saranno realmente
L'evoluzione della normativa previdenziale italiana e le recenti misure adottate attraverso le leggi di bilancio stanno ridefinendo lo scenario per chi si avvicina all’età pensionabile. Nel 2026, il sistema pensionistico si trova al crocevia tra vecchie promesse di aumenti e nuove incognite, generate soprattutto dalla revisione della tassazione sui redditi da pensione e dai cambiamenti nei criteri di rivalutazione degli assegni. Il susseguirsi di provvedimenti normativi di carattere finanziario evidenzia molte incertezze sul reale incremento degli importi pensionistici.
Gli effetti della Riforma Irpef, della dinamica dei coefficienti di rivalutazione e della progressiva estensione delle finestre per l’accesso alla pensione, contribuiscono a far preoccupare i futuri beneficiari.
La riforma Irpef, ancora per il 2025, prevede l'applicazione di tre aliquote sui redditi. Nel dettaglio, la riforma prevede:
Tra le novità della manovra finanziaria 2025 spicca la progressiva riduzione delle tasse per i redditi medio-bassi e la rimodulazione delle detrazioni per chi supera i 75.000 euro annui.
Tuttavia, occorre valutare che benefici tangibili della riduzione della seconda aliquota (dal 27% al 23%, già anticipata nel 2024) si realizzano solo per una quota limitata di pensionati.
Il passaggio al solo 23% per importi fino a 28.000 euro implica un piccolo aumento dell'importo netto percepito, ma si tratta di incrementi spesso inferiori alle aspettative, soprattutto a causa dell’effetto "scalone" che interessa chi si avvicina alla soglia dei 35.000 euro di reddito annuo.
Per chi si colloca nella fascia tra 28.000 e 32.000 euro, la detrazione fissa progressiva, progettata per accompagnare la transizione tra le vecchie e nuove aliquote, mitiga solo parzialmente il salto fiscale. Oltre questa soglia, la detrazione diminuisce fino ad annullarsi a 40.000 euro, generando una sostanziale stagnazione degli incrementi attesi. È fondamentale sottolineare che:
Così facendo, si alleggerirebbe la pressione fiscale su chi percepisce pensioni lorde tra 28 e 60mila euro, con aumenti netti mensili e gli incrementi, secondo le prime simulazioni, potrebbero arrivare fino a circa 640 euro in più in un anno per chi ha una pensione lorda di 60mila euro, riducendosi per chi prende redditi più bassi, scendendo a 440 euro annui per 50mila euro lordi e fino a 240 euro annui per 40mila euro lordi.
Non è previsto, invece, un vantaggio per chi percepisce meno di 28mila euro annui di pensione e che rientra già nell’aliquota di tassazione più bassa, cioè quella del 23%.
Il nuovo taglio dell’Irpef per l'anno prossimo non è, però, assolutamente scontato perchè potrebbero essere preferite altre misure, esattamente come accaduto quest’anno e questa situazione conferma perché non è certo che gli importi delle pensioni nel 2026 aumentino solo in virtù della riforma fiscale.
Un altro elemento da considerare per non dare così per scontato l'aumento delle pensioni nel 2026 è la rivalutazione dei trattamenti, basata sul collegamento all’indice ISTAT dei prezzi al consumo e che garantisce un adeguamento annuale degli assegni previdenziali.
La Manovra Finanziaria 2025 ha fissato lo schema rivalutativo a tre fasce, stabilendo una rivalutazione piena solo fino a 4 volte il trattamento minimo INPS, una rivalutazione al 90% tra 4 e 5 volte il minimo, e al 75% oltre tale soglia.
Nel 2026 la perequazione aggiuntiva riservata alle pensioni minime dovrebbe essere dell’1,3%, ma la base di calcolo non beneficerà più del 2,7% extra previsto per il solo 2024.
Fascia pensione | Percentuale rivalutazione |
Fino a 4 volte il minimo INPS | 100% |
Da 4 a 5 volte il minimo | 90% |
Oltre 5 volte il minimo | 75% |
Anche la rivalutazione potrebbe non garantire aumenti pensionistici effettivi e positivi il prossimo anno. Certamente sarà calcolata sulle pensioni del 2026, per il meccanismo annuo vigente e che non si può cancellare perché serve, per legge, per adeguare i trattamenti dei pensionati al costo della vita attuale. Potrebbe, però, essere limitata, soprattutto per le fasce medio alte e forse relativamente bassa, per un tasso rivalutativo che non sarà elevato.
Il sistema di adeguamento all’inflazione resta, infatti, subordinato all’andamento dei prezzi e alle scelte contenute nelle future leggi di bilancio.
La rivalutazione delle pensioni si basa, infatti, su elementi principali: tasso di rivalutazione stabilito dal Mef e percentuali rivalutative stabilite dal governo.
E si potrebbe guardare anche all’esempio della Francia, dove per il prossimo anno è stato deciso un congelamento della rivalutazione pensionistica.
Come annunciato Oltralpe, nel 2026 non ci sarà alcun adeguamento all’inflazione per le pensioni e le prestazioni assistenziali. Il congelamento permetterà di risparmiare circa 7 miliardi di euro, ma rischia di scatenare nuove proteste.