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Spese mediche per cure, visite e farmaci record e boom sanità privata: gli interventi urgenti proposti da Fondazione Gimbe

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Boom sanità privata

L'aumento delle spese mediche private, tra visite, farmaci e cure, ridisegna il panorama sanitario italiano. Cause, conseguenze e disuguaglianze, con focus sulle proposte di Fondazione Gimbe.

Negli ultimi anni è emerso il fenomeno di un aumento senza precedenti della spesa sanitaria sostenuta dai cittadini. Secondo i dati più aggiornati, la quota privata a carico delle famiglie ha ormai raggiunto livelli record, parallelamente al rafforzamento dei soggetti privati che erogano servizi e prestazioni sanitarie.

Le tendenze sollevano interrogativi di grande rilievo sul futuro del sistema e mettono sotto la lente la capacità del Servizio Sanitario Nazionale di mantenere universalità, equità ed efficienza nell'accesso alle cure. In queste pagine si approfondiscono le principali dinamiche, le conseguenze sociali e le risposte proposte dagli esperti del settore.

Il boom della spesa out-of-pocket: dati, cause e conseguenze sociali

Negli ultimi dodici anni la spesa sanitaria a carico diretto delle famiglie italiane - la cosiddetta out-of-pocket - ha conosciuto un'escalation costante e oggi ammonta a 41,3 miliardi di euro, pari al 22,3% della spesa sanitaria complessiva. Si tratta di un valore ben oltre la soglia del 15% raccomandata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità: oltre questo limite, infatti, secondo gli esperti aumentano i rischi di disuguaglianze nell'accesso e nella qualità delle cure per la popolazione.

L'analisi delle tabelle ISTAT e delle elaborazioni della Fondazione Gimbe rivela come la spesa di tasca propria abbia subito una crescita di quasi 9 miliardi rispetto al 2012. Le cause sono molteplici:

  • Indebolimento progressivo dei servizi pubblici dovuto a definanziamento, inflazione e limiti strutturali;
  • Tempi di attesa eccessivi per visite ed esami, che spingono a rivolgersi ai privati per aggirare le liste d'attesa;
  • Aumento della domanda di salute, a fronte di una maggiore prevalenza di patologie croniche e richieste di prestazioni specialistiche.
Le conseguenze sociali sono allarmanti. Dal 2022 al 2024, il numero di persone costrette a rinunciare ad almeno una prestazione sanitaria è aumentato da 4,1 a 5,8 milioni. Un fenomeno che colpisce soprattutto le fasce più deboli, accentuando il rischio di emarginazione sanitaria. L'aumento dei costi, unito alla crescente povertà assoluta (2,2 milioni di famiglie nel 2023), rompe infatti il patto tra cittadini e istituzioni, alimentando incertezza e sfiducia.

Il peso di questa crescita viene ulteriormente amplificato dalle disomogeneità territoriali e dal ridotto impatto dei fondi sanitari integrativi, che rappresentano solo il 13,3% della spesa privata complessiva. Risultano più esposte regioni e aree dove il servizio pubblico si è ristretto maggiormente e dove la pressione sulle famiglie è più marcata. Gli effetti, secondo Gimbe, sono già oggi lo slittamento da una sanità universale verso un modello più simile a un sistema misto, che rischia di compromettere l'accessibilità per milioni di persone.

Sanità privata in Italia: ascesa del privato puro e ruolo delle strutture accreditate

L'espansione delle prestazioni sanitarie private è caratterizzata da una duplice traiettoria: crescita del privato puro e consolidamento delle strutture accreditate. Nel 2023, secondo i rapporti Mediobanca e i dati Gimbe, la spesa complessiva in regime privato ha raggiunto i 43 miliardi di euro, con una distribuzione significativa:

Categorie di prestatori

Valore (miliardi €)

Farmacie

12,1

Professionisti sanitari

10,6

Strutture private accreditate

7,6

Strutture private non accreditate

7,2

Prestazioni intramoenia e pubbliche fuori ticket

2,2

Tra questi segmenti, il privato puro (cioè le strutture che operano integralmente fuori dal circuito delle convenzioni con il SSN) è quello che cresce più rapidamente, registrando un balzo del +137% dal 2016 e quasi appaiando la spesa per le convenzionate.

Il secondo pilastro della sanità privata italiana è rappresentato dalle strutture accreditate, essenziali in molte filiere dell'assistenza:

  • 85,1% della residenzialità;
  • 78,4% della riabilitazione;
  • 72,8% della semi-residenzialità;
  • 59,7% della specialistica ambulatoriale.
Nonostante il peso specifico assunto in questi settori, la quota di spesa pubblica destinata alle convenzioni è ai minimi storici (20,8% del totale). Ciò avviene in un contesto di tariffe ferme e tensioni crescenti sui tetti di spesa, mentre la domanda delle famiglie si riversa sempre più sull'offerta privata non convenzionata, favorendo una competizione nei servizi e anche una frammentazione delle tutele. L'aumento dei fondi sanitari, assicurazioni e investitori amplifica questo scenario, generando un ecosistema articolato che va ben oltre il modello classico della sanità convenzionata.

Disuguaglianze, rinuncia alle cure e frattura territoriale: un sistema a doppio binario

La frattura sociale e geografica nell'accesso alle prestazioni sanitarie diventa ogni anno più evidente, alimentando una dinamica che in molti descrivono come a doppio binario. In Italia solo 13 Regioni sono riuscite a rispettare i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), mentre le aree meridionali continuano a registrare pesanti deficit sia nell'offerta che nella qualità dei servizi.

Le conseguenze della polarizzazione sono multiple:

  • Cittadini del Sud costretti a ricorrere alla mobilità sanitaria verso il Nord, generando un costo annuo superiore a 3,3 miliardi di euro e forti disagi logistici;
  • Accesso ai servizi legato sempre più alla capacità economica della famiglia, con la crescente uscita dal circuito pubblico da parte di chi può permetterselo;
  • Incremento della pressione fiscale regionale in aree meno dotate, che però spesso coincide con minore effettività dei servizi.
L'aumento delle rinunce alle cure colpisce quasi un italiano su dieci, con punte drammatiche in territori più svantaggiati socialmente ed economicamente (ad esempio il 17,7% in Sardegna). Questo scenario si riflette anche nell'aspettativa di vita: il gap tra Province autonome e Campania raggiunge i tre anni. La situazione rischia di consolidare un sistema sanitario stratificato: la sicurezza delle cure per chi può pagare e una copertura residuale per chi resta nel pubblico.

Nello specifico, la distribuzione delle risorse premiali e la persistente diseguaglianza nei criteri di riparto tra Regioni con popolazione più anziana o giovane hanno acuito le distanze, mentre i tentativi di riequilibrio hanno prodotto effetti solo limitati. Gli indicatori sulle condizioni socio-economiche pesano troppo poco sulla ripartizione delle risorse, lasciando ampi margini di disuguaglianza strutturale.

Impatto della crisi demografica e del personale sulla sanità italiana

Il cambiamento demografico in Italia sta esercitando una pressione considerevole sul sistema sanitario nazionale. Nel 2023, il 24,3% della popolazione aveva più di 65 anni, con una previsione di crescita fino a un terzo degli italiani entro il 2061. A fronte di culle sempre più vuote (record negativo di natalità nel 2024) e di una popolazione progressivamente anziana, l'assistenza sanitaria deve confrontarsi con una crescita costante della domanda di cure croniche, servizi domiciliari e residenzialità.

L'aumento dell'età media impatta anche sulle risorse disponibili: meno lavoratori attivi significano meno contributi e minori risorse fiscali da investire in sanità pubblica. La spesa pubblica sanitaria, pur aumentando in termini assoluti, resta tra le più basse in Europa, soprattutto se rapportata al PIL. In parallelo, si aggrava la questione del personale: il numero di medici, pur elevato rispetto alla media OCSE, convive con una fuga dal settore pubblico e una carenza drammatica di infermieri. Le retribuzioni restano inferiori ai principali Paesi europei e l'attrattività delle professioni sanitarie cala drasticamente, come dimostra la diminuzione delle domande ai corsi universitari.

I recenti scioperi del personale e i ritardi nella realizzazione delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità segnalano un clima di insoddisfazione e difficoltà strutturali che la sola leva finanziaria non sembra in grado di risolvere se non accompagnata da una decisa revisione dei modelli di organizzazione e valorizzazione del capitale umano.

Interventi urgenti: le proposte della Fondazione Gimbe tra revisione dei LEA e secondo pilastro integrativo

Nel mezzo di questa dinamica complessa, la Fondazione Gimbe avanza una serie di proposte mirate a restituire rilancio e sostenibilità al sistema. Tra le priorità:

  • Rifinanziamento stabile e sostanziale del SSN: superando la prassi degli interventi spot e adeguando le risorse effettivamente disponibili al fabbisogno reale, come suggerito più volte anche dalla Corte Costituzionale.
  • Revisione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA): garantire una maggiore uniformità nell'assistenza, aggiornare le patologie incluse (inserimento di obesità, epilessia, endometriosi secondo l'aggiornamento del Piano Nazionale della Cronicità), e assicurare che le innovazioni terapeutiche come la medicina di precisione trovino copertura effettiva in tutti i territori.
  • Ridefinizione dei criteri di riparto del fondo sanitario secondo variabili più eque, che tengano finalmente conto delle condizioni socio-economiche e della mortalità precoce.
  • Strutturazione di un "secondo pilastro integrativo" davvero efficace: costruire meccanismi che non siano solo il risultato di iniziative assicurative o mutualistiche, ma che possano affiancare il SSN senza erodere l'equità del sistema. L'incremento di fondi sanitari e assicurazioni dovrebbe avvenire in modo trasparente, con regia pubblica e senza lasciare aree scoperte alla mercé di logiche di mercato.
  • Potenziamento del personale sanitario attraverso adeguamento salariale, rilancio della formazione e attrattività delle professioni mediche, soprattutto nella disciplina della medicina generale.
L'attuazione delle riforme territoriali, come sancito dal DM 77/2022 e il completamento degli obiettivi PNRR relativi ai servizi di prossimità, appaiono altrettanto importanti, insieme a una governance nazionale più forte per evitare una privatizzazione silenziosa ma inesorabile dei servizi e delle risorse.