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Stellantis, l'abbandono dell'Italia e dell'Ue ritorna tra le possibilità dopo direttiva Ue post 2035 che non convince

di Chiara Compagnucci pubblicato il
stellantis fuori da Italia dopo decision

La nuova direttiva Ue sull'automotive post-2035 getta ombre sul futuro di Stellantis in Italia e nell'Unione, tra calo produttivo, scelte industriali controverse, occupazione a rischio e scenari incerti per imprese e territori.

Il futuro dell’industria automobilistica europea è tornato in discussione. Con l’approvazione della direttiva europea che impone la fine della vendita dei veicoli a combustione interna dal 2035, una serie di interrogativi sta travolgendo i principali attori del settore. Stellantis, leader multinazionale nato dalla fusione tra FCA e PSA, osserva queste evoluzioni normative con crescente apprensione. Il quadro regolatorio rimane fluido: molti degli incentivi promessi e delle infrastrutture a supporto non sono pronti, mentre la domanda di vetture elettriche resta al di sotto delle attese. In tal contesto, le scelte di Stellantis oscillano tra cautela e pragmatismo, alimentando nuove incertezze circa la permanenza e la centralità dell’Italia e dell’Ue nei futuri piani industriali del gruppo.

La caduta della produzione Stellantis in Italia: dati, cause e rischi occupazionali

Negli ultimi due anni, la produzione di veicoli in Italia da parte di Stellantis ha subito un vero e proprio tracollo, facendo riaffiorare scenari di crisi industriale senza precedenti. I dati elaborati dalla FIM-CISL descrivono un panorama allarmante: nei primi sei mesi del 2025, sono usciti dagli stabilimenti italiani appena 221.885 tra auto e veicoli commerciali, segnando un calo del 27% rispetto al già debole 2024. Questo dato fotografa la realtà più grave degli ultimi settant’anni, riportando i volumi ai livelli degli anni ’50. Le autovetture hanno registrato una flessione del -33,6% mentre i veicoli commerciali hanno subito un calo del 16,3%. Di fronte a questa tendenza, le previsioni di fine anno sono ancora più cupe: la produzione complessiva difficilmente supererà le 440.000 unità.

  • Stabilimento di Mirafiori: produzione scesa a 15.315 unità nel primo semestre (di cui solo 140 Maserati); cassa integrazione al 40%.
  • Cassino: appena 10.500 unità prodotte (-34%), oltre cinquanta giornate di fermo.
  • Pomigliano: quasi 79.000 vetture, in calo del 24%; cali pesanti per Panda, Tonale e Hornet.
  • Melfi: crollo del 59%, produzione dimezzata e migliaia di lavoratori espulsi tra licenziamenti e uscite incentivate.
  • Atessa: -16% sui veicoli commerciali; ricorso massiccio alla cassa integrazione; attivati piani di esodo volontari.
Le ragioni di questa decrescita sono molteplici: riduzione degli ordini a livello europeo, politiche di delocalizzazione progressiva, strategie di massimizzazione dei margini, modelli poco competitivi e un’accelerazione della transizione elettrica che ha scombussolato la domanda.

I rischi sociali ed occupazionali appaiono elevatissimi. Secondo le stime sindacali, oltre 25.000 posti di lavoro sono a rischio tra dipendenti diretti e indotto. Negli stabilimenti a regime ridotto e nelle aree di crisi complessa, la tenuta economica delle comunità locali è sempre più fragile.

Strategie industriali e scelte gestionali: dal ridimensionamento agli spostamenti produttivi all'estero

Il recente passato di Stellantis è stato caratterizzato da scelte manageriali che hanno privilegiato i margini a breve termine rispetto a una crescita strutturale e sostenibile. Dalla fusione, il gruppo ha intrapreso politiche di compressione produttiva e taglio dei costi, anche tramite la riduzione sistematica dei siti italiani. Dati confermati dai tagli agli organici, con una progressiva erosione delle maestranze in tutta la Penisola: a Melfi, ad esempio, gli operai diretti sono scesi da 7.200 a soli 4.500 in quattro anni, con ricorso frequente a cassa integrazione e incentivi all’esodo.

La centralità industriale dell’Italia nel gruppo si è progressivamente erosa, a vantaggio di paesi a minor costo del lavoro (come Marocco, Algeria, Serbia e Polonia). Nonostante le promesse di valorizzazione dei marchi italiani e piani di investimento da 2 miliardi l’anno, l’effettiva assegnazione di nuovi modelli e piattaforme produttive rimane carente. La Gigafactory delle batterie è stata spostata dalla prevista sede di Termoli alla Spagna, per via dei minor costi energetici, rimarcando la perdita di attrattività del territorio italiano per i grandi investimenti industriali.

I segnali della delocalizzazione sono molteplici:

  • Spostamento della produzione Maserati da Torino verso Modena e dell’Alfa Romeo in parte verso la Germania.
  • Nuova Panda prodotta in Algeria e investimenti crescenti negli stabilimenti marocchini.
  • Taglio delle commesse nell’indotto e nella componentistica nazionale.
Questo continuo ridimensionamento ha minato la fiducia degli stakeholder italiani, impoverendo la filiera e compromettendo la competitività di un settore da sempre identitario per l’economia nazionale.

Il rebus della transizione elettrica: rinvii, ibridi e fine dei progetti a idrogeno

L’accelerazione voluta da Bruxelles verso un parco circolante esclusivamente elettrico entro il 2035 ha imposto a Stellantis una serie di scelte drastiche e non prive di ripensamenti. Inizialmente, il gruppo aveva annunciato il passaggio integrale all’elettrico già dal 2030 per gran parte dei marchi europei, per poi frenare sul progetto.

  • Rinvio della strategia “full electric”: la debole risposta del mercato all’offerta di modelli a batteria e l’incertezza normativa hanno portato al rilancio delle versioni ibride per le city car e buona parte della gamma produttiva futura.
  • Fine delle ambizioni sull’idrogeno: lo sviluppo dei veicoli commerciali fuel cell, cuore della joint-venture Symbio, è stato abbandonato per via della scarsa sostenibilità economica e dell’assenza di infrastrutture adeguate.
Le prospettive per la transizione rimangono molto incerte: se da un lato Stellantis continua a investire sull’elettrificazione e ad annunciare nuove piattaforme “BEV”, dall’altro la tempistica dei lanci viene spesso posticipata. Esempio emblematico è la piattaforma STLA Large, assegnata allo stabilimento di Cassino per futuri modelli Alfa Romeo, la cui produzione è slittata di almeno un anno. Il cambio di rotta è stato motivato sia dalle performance insoddisfacenti delle vendite che dalla volontà di presidiare tutte le tecnologie disponibili, come dichiarato dalla stessa dirigenza.

Gli effetti sulle filiere e sull'indotto: imprese, occupazione e territori in crisi

La crisi della produzione nazionale di Stellantis non coinvolge solo i lavoratori diretti: l’intera catena della componentistica, della fornitura, dei servizi e della logistica è in grave sofferenza. In particolare, sono oltre un migliaio le aziende dell’indotto che dipendevano quasi esclusivamente dalle commesse del gruppo automobilistico.

  • Ritardi sui pagamenti e taglio degli ordinativi hanno già portato alla chiusura di aziende in aree storicamente legate all’automotive, come la zona industriale di Melfi e il distretto torinese.
  • Significative le ripercussioni a Cassino, dove la mancata istituzione della ZES (Zona Economica Speciale) ha aggravato la crisi, impedendo l’accesso a importanti agevolazioni fiscali e sovvenzioni.
  • Molte aziende si sono viste costrette ad attivare procedure di licenziamento collettivo, spesso senza possibilità di riconversione, generando una domanda di formazione e ricollocazione professionale che le istituzioni locali faticano a sostenere.
I dati sindacali parlano chiaro: in un solo anno sono stati persi più di 30.000 posti di lavoro in tutta la filiera automotive, colpendo non solo chi assemblava auto ma anche chi forniva servizi di pulizia, mensa, trasporti o lavorava nell’indotto meccanico. In diverse aree, il rischio di desertificazione produttiva è molto concreto, con ancora poche politiche di reindustrializzazione messe in campo dalle istituzioni.

Le risposte (e i silenzi) della politica italiana ed europea di fronte alla crisi Stellantis

Negli ultimi due anni, l’atteggiamento delle istituzioni italiane si è spesso rivelato timido e poco incisivo. I numerosi tavoli di confronto tra governo, sindacati e management Stellantis hanno prodotto pochi risultati tangibili: gli impegni su nuove assunzioni, rilanci di modelli storici e investimenti strutturali non hanno trovato riscontri significativi. L’esecutivo ha varato incentivi e provvedimenti specifici per l’estensione degli ammortizzatori sociali nei siti in esaurimento produttivo, ma l’assenza di una strategia industriale di medio-lungo termine è apparsa evidente.

Secondo i rappresentanti sindacali e delle associazioni industriali, i provvedimenti si sono rivelati troppo spesso strumenti tampone, inadeguati a fronteggiare l’ampiezza e la profondità della crisi. Le continue aperture di “tavoli” non sono state accompagnate da obblighi vincolanti per Stellantis, tanto che gli operatori lamentano la mancanza di una visione sistemica:

  • Promesse di Gigafactory, rilancio di Alfa Romeo e Lancia, nuovi contratti per fornitori italiani sono rimaste sulla carta o spostate a scadenze sempre più lontane.
  • I piani di Transizione 4.0 e le linee di finanziamento del PNRR non hanno inciso sui processi reali di rinnovamento industriale nei territori colpiti dalla crisi.
Il dibattito europeo, inoltre, si è spesso concentrato sulle regole e sui target ambientali senza tener conto delle specificità produttive dei singoli Stati membri. Le aziende che, come Stellantis, hanno basato la propria forza sull’integrazione fra più paesi, si ritrovano oggi a fare i conti con una politica industriale europea percepita come non al passo con la competitività di Usa e Cina sia sui costi che sugli incentivi al settore automotive.

Futuro incerto: tra promesse, nuove strategie e rischio abbandono dell'Italia e dell'Ue

I segnali usciti dagli ultimi incontri tra il nuovo CEO Antonio Filosa, i rappresentanti sindacali e le istituzioni lasciano intravedere una fase di transizione ancora lunga e densa di incognite. Se da una parte il gruppo ha annunciato nel 2026 un nuovo piano strategico di rilancio, dall’altra il timore di un progressivo abbandono del sistema produttivo nazionale resta concreto. La centralità delle piattaforme destinate ai marchi italiani – Fiat, Alfa Romeo e Lancia – dovrà essere confermata da investimenti reali, non solo da dichiarazioni di intenti.

Le strategie presentate negli ultimi mesi si basano sull’integrazione progressiva di motorizzazioni elettriche e ibride e su un riequilibrio della gestione dei diversi marchi tra Italia e Francia. Tuttavia, il processo appare lento e fortemente condizionato dalla remuneratività a breve termine, più che da un vero progetto di rilancio del Made in Italy automobilistico.

Ambito Sviluppi attesi/in atto
Fiat Lancio Grande Panda e pressione per tempistiche e contenuti coerenti con il mercato europeo
Alfa Romeo Nuove generazioni Giulia e Stelvio non ancora pianificate precisamente; attenzioni su tipologia di piattaforme e investimenti dedicati
Lancia Rinnovamento Gamma in arrivo, ma interrogativi aperti su piani e risorse effettive

La fragilità attuale del tessuto produttivo nazionale, la perdita di competenze consolidate e la sfiducia degli operatori nella capacità di governo e azienda di mantenere gli impegni, alimentano il rischio che spostamenti e chiusure di siti produttivi diventino irreversibili. In sostanza, il bivio per l’automotive italiano è segnato dalla necessità di scelte coraggiose e da una visione strategica di lungo periodo, per evitare che l’abbandono dei principali player internazionali si trasformi in una realtà definitiva.



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