Tasse universitarie troppo alte: 9 atenei italiani superano i limiti di legge, tra autonomia gestionale, ricorsi, implicazioni legali e dibattiti su finanziamento pubblico e riforme.
Un monitoraggio ministeriale ha messo in luce come alcune università italiane richiedano agli iscritti una contribuzione economica superiore ai limiti previsti dalla normativa vigente. Questo fenomeno solleva interrogativi sui criteri di equità nell'accesso all'istruzione superiore.
Da un lato, le università devono far fronte al calo dei fondi pubblici, dall'altro si rischia di far gravare eccessivamente il costo degli studi sulle famiglie, accentuando le disuguaglianze tra territori e aumentando le difficoltà per chi proviene da fasce economicamente svantaggiate. Il dibattito, alimentato anche da associazioni studentesche e da richiami ministeriali, interessa non solo gli studenti direttamente coinvolti ma l'intero sistema universitario nazionale, chiamato a garantire trasparenza, sostenibilità e rispetto della normativa.
I dati più recenti evidenziano che sono nove gli atenei che hanno superato i limiti imposti sulle tasse universitarie. La maggior parte sono situati nel Nord Italia e hanno registrato percentuali di contribuzione studentesca oltre il parametro fissato dalla legge. Le percentuali fanno riferimento al rapporto tra le tasse richieste agli studenti e il totale dei fondi ordinari erogati dallo Stato. Di seguito, una tabella che sintetizza la situazione dei principali atenei "fuori norma":
Ateneo |
Percentuale di contribuzione |
Politecnico di Milano |
34,81% |
Università degli Studi dell'Insubria |
27,87% |
Università Ca' Foscari Venezia |
24,65% |
Università degli Studi di Milano-Bicocca |
22,64% |
Università degli Studi di Padova |
22,06% |
Università Iuav di Venezia |
20,42% |
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia |
20,32% |
Università degli Studi di Pavia |
20,22% |
Università degli Studi di Brescia |
20,09% |
Questi dati sono il frutto di un monitoraggio accurato promosso dal Ministero dell'Università e della Ricerca. La situazione si è aggravata dall'assenza, dal 1997, di un decreto applicativo che renda omogeneo il metodo di calcolo, lasciando ampio margine d'interpretazione ai singoli consigli di amministrazione universitari.
Le associazioni studentesche hanno più volte sollevato il tema dell'eccessivo onere economico che rischia di compromettere il diritto allo studio. Sottolineano che le disparità non dipendono soltanto dalle scelte delle singole università ma anche dai tagli progressivi ai finanziamenti pubblici.
Il quadro normativo di riferimento per la gestione della contribuzione studentesca nelle università italiane è regolato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 306/1997. Secondo questa normativa, il gettito complessivo che ciascun ateneo può ottenere dalle tasse universitarie non deve superare il 20% del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) assegnato annualmente dallo Stato. La ratio della norma è quella di evitare che l'istruzione superiore venga eccessivamente finanziata mediante la tassazione degli studenti, al fine di garantire il diritto allo studio e ridurre le disuguaglianze tra università più o meno ricche.
Il superamento della soglia del 20% rappresenta non solo una violazione delle disposizioni legislative, ma espone gli atenei a forti rischi giuridici e finanziari. Dal punto di vista sociale, una contribuzione superiore a questo limite può diventare un ostacolo per numerosi studenti, soprattutto per coloro che hanno una minore capacità economica. Sul piano istituzionale, la persistenza di tali irregolarità può minare la fiducia nel sistema universitario pubblico, indebolendo il rapporto tra istituzioni accademiche, studenti e famiglie.
Inoltre, l'assenza di un decreto attuativo e di criteri interpretativi condivisi ha permesso ad alcune università di aggirare il limite, ad esempio escludendo dal calcolo gli studenti fuori corso o internazionali. Tali pratiche hanno favorito situazioni di incertezza e sperequazione, sollevando richieste di maggiore chiarezza e uniformità nella gestione delle entrate universitarie.
Il calcolo della contribuzione studentesca avviene in base a diversi parametri, con una significativa autonomia lasciata ai singoli atenei. In particolare, il sistema italiano prevede che ogni università possa stabilire autonomamente l'importo delle tasse, generalmente in relazione all'ISEE delle famiglie degli studenti, al netto di esoneri, riduzioni e borse di studio. Tale autonomia gestionale, tuttavia, deve inserirsi nel rispetto dei limiti posti dal quadro normativo nazionale.
L'assenza di criteri uniformi ha determinato nel tempo disomogeneità tra atenei, sia per la composizione della platea degli iscritti sia per le condizioni economiche dei vari territori. Gli importi possono variare sensibilmente, così come i criteri per l'applicazione dei benefici e delle esenzioni:
L'eccesso di contribuzione rispetto ai limiti fissati dalla legge espone le università coinvolte al rischio concreto di ricorsi da parte degli studenti. Recenti decisioni giurisprudenziali hanno già fornito precedenti: nel 2024 il Consiglio di Stato ha condannato l'Università di Torino alla restituzione di 39 milioni di euro agli iscritti che avevano pagato più del dovuto. Un pronunciamento che ha segnato un punto di svolta, dimostrando la responsabilità degli atenei nel rispetto della soglia stabilita dalla normativa.
Le principali conseguenze dello sforamento delle soglie legali possono essere così riassunte:
Alla luce delle recenti criticità, il Ministero dell'Università e della Ricerca ha richiesto un confronto urgente alla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) affinché vengano elaborate in tempi rapidi proposte risolutive. Laura Ramaciotti, neo presidente della CRUI, ha raccolto l'invito procedendo a stilare un documento di sintesi da sottoporre alle autorità competenti.
Al centro delle discussioni emergono alcune richieste: