Nel contesto del lavoro privato, i buoni pasto rappresentano uno degli strumenti di welfare aziendale più strategici per la gestione della pausa pranzo e per sostenere il potere d'acquisto dei lavoratori. Soggetti a una disciplina normativa complessa e aggiornata, offrono vantaggi sia alle imprese che scelgono di adottarli come benefit, sia ai lavoratori che ne beneficiano come integrazione alla retribuzione, senza incidere sul reddito da lavoro dipendente entro determinate soglie.
I buoni pasto sono titoli di legittimazione che attribuiscono al titolare il diritto di fruire di un servizio sostitutivo di mensa, potendo acquistare alimenti o consumare pasti presso esercizi convenzionati. Esistono due principali tipologie: buoni pasto cartacei ed elettronici. I primi si presentano sotto forma di voucher stampato, il cui utilizzo è tracciato manualmente, mentre i secondi sfruttano tesserine elettroniche, app o sistemi digitali che automatizzano il conteggio e agevolano la gestione sia per l’utilizzatore sia per l’azienda.
L’emissione e la spendibilità sono regolate tramite apposite convenzioni tra le società emittenti e una rete di attività, che includono ristoranti, bar, gastronomie, supermercati e anche servizi di food delivery. Il valore nominale di ciascun buono è fisso e compreso tra 2 e 15 euro, ma la prassi vede importi mediamente tra 5 e 10 euro.
Il valore non dà diritto a resto e va utilizzato per l’intero importo indicato sul buono. L’impresa individua la modalità di erogazione in funzione delle necessità organizzative. L’accredito avviene generalmente con cadenza mensile sulla base delle giornate lavorative effettivamente svolte. Sono previsti criteri restrittivi per l’utilizzo: l’impiego è consentito soltanto dal titolare e non si possono impiegare oltre il limite consentito per acquisto.
La normativa relativa ai buoni pasto per dipendenti privati trova il suo fondamento nell’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) e nel D.M. 122/2017. Queste disposizioni definiscono i soggetti legittimati a riceverli: possono beneficiarne sia i lavoratori dipendenti con contratto subordinato, a tempo pieno o parziale, sia i collaboratori con rapporto continuativo, anche non subordinato. Il diritto all’accesso non dipende dalle modalità di svolgimento della prestazione, che può essere resa in presenza, da remoto (smart working) o con orari flessibili.
L’attribuzione generalmente segue questi principi:
Il D.M. 122/2017 estende la platea dei beneficiari anche ai soggetti che collaborano stabilmente con l’azienda, come consulenti o lavoratori autonomi legati da uno specifico rapporto (es. co.co.co.).
Nel settore privato, la flessibilità contrattuale permette all’azienda di scegliere se offrire il servizio mensa, i buoni o una indennità sostitutiva. Tuttavia, in presenza di vincoli previsti da CCNL di categoria (es. CCNL Commercio, CCNL Metalmeccanico), l’azienda è tenuta al rispetto delle disposizioni e delle soglie di esenzione, pena la perdita dei benefici fiscali associati.
L’azienda privata può adottare i buoni pasto come soluzione di welfare aziendale all’interno di un più ampio sistema di benefit. Dal punto di vista normativo, non esiste un obbligo generico ma, se previsto da CCNL o da accordi aziendali, il datore di lavoro deve garantirne l’erogazione secondo le regole pattuite. In assenza di vincoli, la scelta di offrire buoni pasto rimane facoltativa, lasciando ampia autonomia gestionale tra:
Nell’offerta dei buoni pasto, l’impresa deve adottare criteri non discriminatori e privilegiare l’erogazione per categorie omogenee di personale. La scelta del formato (cartaceo vs elettronico) comporta anche differenti vantaggi fiscali. Il monitoraggio attento della spesa e del rispetto delle soglie previste è centrale per evitare ricadute in termini di tassazione e perdita dei benefici.
Le aziende possono inoltre integrare il buono pasto in pacchetti di welfare più vasti, includendolo tra gli strumenti volti al miglioramento della qualità della vita lavorativa, alla fidelizzazione del personale e all’ottimizzazione della gestione delle pause e dei servizi connessi alla ristorazione.
I beneficiari dei buoni pasto nelle realtà aziendali private non si limitano ai soli lavoratori dipendenti a tempo pieno. Secondo la normativa vigente, la platea abbraccia:
Non rientrano nei destinatari i lavoratori in ferie, permesso, aspettativa o malattia per i giorni di assenza. Inoltre, generalmente non hanno diritto ai buoni pasto:
Gli importi e i limiti fiscali applicabili ai buoni pasto dipendenti privati sono disciplinati principalmente dalla Legge di Bilancio 2020 e dagli ultimi aggiornamenti normativi per il biennio 2024-2025. Le soglie di esenzione, sia per il datore di lavoro sia per il dipendente, sono così determinate:
Gli importi possono essere scelti liberamente dall’azienda entro limiti minimi e massimi previsti per legge (tra 2 e 15 euro), ma è prassi diffusa il riconoscimento di valori compresi tra 6 e 8 euro, così da assicurare la piena fruibilità delle agevolazioni fiscali.
Dal 2025 si segnala inoltre la riduzione delle commissioni sugli esercizi convenzionati al 5%, secondo il nuovo limite disciplinato dalla normativa, con una fase transitoria per i buoni già emessi fino al 31 agosto 2025. Questo intervento punta a garantire maggiore equilibrio e sostenibilità nel settore, ampliando la rete degli esercizi aderenti.
La corretta modalità di utilizzo dei buoni pasto dipendenti privati è regolata dal D.M. 122/2017, che ne specifica le regole operative e la cumulabilità. Ogni voucher è personale e può essere usato esclusivamente dal titolare, risultando vietata la cessione a terzi o la commercializzazione. Il valore spendibile deve essere quello intero, senza possibilità di ricevere resto per importi non utilizzati.
Non è consentito in alcun caso convertire in denaro contante i buoni pasto, né spenderli per l’acquisto di bevande alcoliche. Per operare nel rispetto della normativa è altresì necessario verificare, presso ciascun punto vendita, l’accettazione dei buoni emessi dalla società selezionata dall’azienda.
L’impiego dei buoni pasto dipendenti privati si configura in una vasta rete di esercizi convenzionati, individuabili tramite l’elenco fornito dall’emittente o tramite piattaforme digitali dedicate. Le scelte disponibili interessano sia il consumo immediato di pasti sia l’acquisto di generi alimentari per utilizzo domestico.
L’adesione degli esercizi è subordinata alla stipula di accordi con la società emittente, che garantisce la reciprocità di condizioni e la tracciabilità delle operazioni.
Per le aziende, la deducibilità è totale: la spesa sostenuta per l’acquisto dei buoni può essere interamente portata in deduzione dal reddito d’impresa, senza i limiti vigenti per altre spese di vitto e alloggio. L’IVA sulle commissioni di acquisto è detraibile al 10% qualora sussistano i presupposti normativi.
Lato dipendente, entro i limiti di esenzione, i buoni pasto non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente e sono pertanto esentasse sia dal punto di vista fiscale sia contributivo. Se le soglie vengono superate, solo la parte eccedente viene tassata come fringe benefit.
L’adozione dei buoni pasto dipendenti privati permette alle aziende di ottenere molteplici vantaggi in termini economici e gestionali. Il beneficio fiscale è tra i principali: la deducibilità integrale dei costi e la detraibilità dell’IVA sulle commissioni riducono l’incidenza complessiva della spesa, migliorando l’efficienza contabile aziendale.
Incorporando i buoni pasto in piani strutturati di welfare, le aziende possono promuovere un clima lavorativo positivo e una migliore gestione delle pause, allineando le proprie politiche alle attese di sostenibilità sociale e attenzione al dipendente.