L’assetto normativo sul lavoro a tempo parziale è oggetto di continui aggiornamenti. In Italia, il rapporto tra esigenze organizzative aziendali e tutela della posizione dei dipendenti nel part-time è stato più volte al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Recentemente, con l’ordinanza n. 9901/2025 della Corte di Cassazione, sono state ridefinite alcune condizioni chiave relative al licenziamento per giustificato motivo oggettivo nei contratti part-time.
Ciò che emerge è la necessità di bilanciare le nuove esigenze operative delle imprese con il divieto di discriminazione e la garanzia di stabilità occupazionale, principi saldamente radicati nell’ordinamento lavoristico nazionale. L’elaborazione giurisprudenziale più recente, a partire delle ordinanze del 2023 e del 2025, segnala come la legittimità della risoluzione del contratto sia strettamente correlata a una analisi concreta delle specificità organizzative aziendali e delle alternative praticabili rispetto alla posizione del lavoratore.
In base all’art. 6, comma 8 del D. Lgs. n. 81/2015, il lavoratore part-time può liberamente rifiutare un aumento dell’orario di lavoro, un diritto rafforzato da consolidate pronunce della Cassazione. Tale rifiuto non può rappresentare di per sé un valido motivo di cessazione del rapporto. Di conseguenza, il mero incremento del fabbisogno di ore lavorative, per esempio derivato dall’acquisizione di nuovi clienti, non basta a legittimare il recesso. Il quadro protettivo costruito dalla normativa mira a evitare che l’organizzazione aziendale comprima, a discapito dell’individuo, le garanzie minime di scelta personale in tema di tempo lavorato, con una attenzione significativa anche alle considerazioni di equità e compatibilità sociale alla base dei contratti part-time.
Solo in situazioni di comprovata necessità, e a seguito di una valutazione stringente delle esigenze d’impresa, è possibile procedere con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo nei confronti di un lavoratore part-time. Le recenti decisioni giurisprudenziali hanno chiarito che:
Il rifiuto a modificare l’orario non è di per sé legittimo motivo di recesso.
Il datore di lavoro deve dimostrare l’impossibilità oggettiva di optare per una diversa modulazione dell’attività lavorativa che consenta la permanenza della posizione part-time.
La cessazione del rapporto è ammissibile solo se non residuano concrete alternative organizzative e, soprattutto, se non è possibile neppure una ricollocazione (repêchage) interna in mansioni equivalenti.
Il riferimento a casi già decisi, come nell’ordinanza n. 12244/2023, certifica che la mera esigenza di incremento produttivo non può mai essere considerata motivo esclusivo sufficiente per l’interruzione del contratto part-time.
Nel contenzioso relativo ai rapporti part-time, la prova dell’oggettiva impossibilità di una diversa sistemazione organizzativa è a carico del datore di lavoro. La giurisprudenza più recente richiede che la scelta datoriale sia guidata dal rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), sia nel processo decisionale sia nell’eventuale fase giudiziale. Di conseguenza, devono risultare documentate tutte le modalità esplorate al fine di evitare il recesso, compresa la proposta di alternative orarie e il repêchage. Il controllo giurisdizionale è limitato a verificare la ragionevolezza, la trasparenza e la completezza dell’analisi effettuata dal datore.
Prima di poter procedere con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è essenziale il tentativo di ricollocare il lavoratore in altre posizioni disponibili all’interno dell’azienda, seguendo un’analisi trasparente e dimostrabile. Spetta all’impresa provare che nessuna diversa articolazione dell’orario è praticabile e che non vi siano ruoli alternativi compatibili con il profilo e le competenze della risorsa. In assenza di alternative oggettivamente perseguibili, la scelta organizzativa assunta dal datore non può essere oggetto di sindacato sul merito, purché appaia come unica risposta gestionale efficace alle mutate esigenze dell’attività economica.
La disciplina del lavoro a tempo parziale è inserita in un perimetro normativo rigoroso. L’art. 6, comma 8 del decreto legislativo 81/2015 sancisce chiaramente che il rifiuto del lavoratore a modificare la propria articolazione oraria non è motivo sufficiente per la risoluzione del contratto. In parallelo, l’art. 2103 c.c. tutela la corrispondenza tra mansioni svolte e profilo professionale, vietando variazioni unilaterali sostanziali che incidano negativamente sulla posizione acquisita.
Reference normativa |
Principio chiave |
D. Lgs. 81/2015 art. 6 |
Invariabilità delle condizioni orarie salvo consenso |
Art. 2103 c.c. |
Tutela del mansionario e limiti alle variazioni di ruolo |
Questa disciplina è volta a garantire una posizione di forza relativa per il dipendente, nonostante le richieste di flessibilità derivanti dal mercato.