Ghost working è una strategia adottata per apparire sempre laboriosi pur essendo effettivamente inattivi rispetto ai compiti assegnati.
Negli ultimi anni, la pratica del ghost working si è affermata come una delle tendenze più dibattute nel panorama lavorativo italiano.
Questo fenomeno interessa ogni settore, dagli uffici alle realtà produttive, sia nel lavoro in presenza sia in quello da remoto.
Il significato di ghost working va oltre il semplice “bighellonare”. Si tratta di una strategia adottata per apparire sempre laboriosi agli occhi dei colleghi o dei superiori, pur essendo effettivamente inattivi rispetto ai compiti assegnati.
Fingere di lavorare implica simulare operatività, presenziare a riunioni fittizie, mantenere schermate di fogli di lavoro aperti senza svolgere attività concrete, oppure digitare testi privi di valore.
Le percentuali riguardanti la diffusione del ghost working sono sorprendenti. Secondo recenti sondaggi, il 58% dei dipendenti ammette di praticarlo regolarmente, mentre il 34% lo fa saltuariamente. Solo il 12% dichiara di non averlo mai fatto. È emerso inoltre che ben il 92% ha cercato un nuovo impiego durante l’orario lavorativo e il 24% ha modificato il proprio CV dal computer aziendale. Questi dati evidenziano una tendenza stabile e trasversale alle fasce di età e ai settori.
Comportamento | % Dipendenti |
Cerca lavoro durante l’orario | 92% |
Cambia il CV dal PC aziendale | 24% |
Inoltra candidature dal PC aziendale | 23% |
Finge di lavorare regolarmente | 58% |
L’aumento della pratica è correlato a diverse cause sociali e organizzative.
Il burnout, l’incertezza lavorativa e la pressione per essere costantemente performanti sono fra i primi motivi alla base di questa condotta.
Anche il lavoro da remoto, che confonde i confini fra vita privata e professionale, favorisce il ghost working: mancano controllo diretto, chiarezza sugli obiettivi e senso di appartenenza, facilitando la simulazione di produttività.
Un segmento notevole della forza lavoro sfrutta i momenti di inefficienza lavorativa per sistemare il proprio CV, rispondere ai recruiter o effettuare colloqui da remoto.
La sovrapposizione di questi comportamenti mette in luce come il ghost working sia spesso sintomo di insoddisfazione, come abbiamo già detto, e preparazione a un cambiamento di carriera.
Le nuove generazioni, in particolare la Z, presentano tratti distintivi rispetto al passato.
Per loro, il benessere psicofisico e l’autonomia sono prioritari rispetto alla semplice permanenza sul luogo di lavoro. Infatti, la tendenza è osservata anche in lavoratori esperti, ma la Z dimostra meno tolleranza verso modelli percepiti come anacronistici.
Non mancano, comunque, episodi di ghost working anche tra i Baby Boomer e i Millennial.
Sebbene diffuso sia in presenza sia in smart working, il fenomeno assume sfumature diverse nei due ambienti. In ufficio, le principali distrazioni sono rappresentate da riunioni poco produttive, chiacchiere e modalità di controllo visivo.
Da remoto, invece, la commistione tra vita privata e lavorativa favorisce l’adozione di pratiche elusive e minori controlli, facendo emergere una maggiore percentuale di tempo non produttivo.
Simulare l’impegno può avere conseguenze rilevanti sulla carriera e sulle condizioni lavorative. Se scoperti, i lavoratori rischiano sanzioni disciplinari, perdita di fiducia, azioni legali o perfino licenziamento per giusta causa, come sancito dall’art. 2119 del Codice Civile
Le imprese si trovano di fronte alla scelta tra monitoraggio stretto e promozione della fiducia.
Diverse ricerche indicano che il controllo eccessivo non elimina la radice del problema, ma spinge a meccanismi difensivi.
Più efficace è favorire un equilibrio tra delega, responsabilità e strumenti di empowerment: chiare aspettative, feedback costruttivi e reale ascolto delle esigenze dei lavoratori riducono sensibilmente la propensione a fingere di lavorare. Inoltre, la trasparenza nei processi organizzativi previene il disengagement.