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Come ha fatto una finta dottoressa a farsi assumere in 2 ospedali a Milano e curare 800 pazienti: i buchi dei controlli

di Marcello Tansini pubblicato il
finta dottoressa

Una donna senza titolo medico è riuscita a lavorare in due ospedali milanesi, curando centinaia di pazienti. Attraverso documenti falsi e il fenomeno dell'omonimia, ha evidenziato gravi falle nei controlli delle strutture sanitarie.

Un recente caso di abuso della professione medica ha coinvolto una donna calabrese che, fingendosi endocrinologa, è riuscita ad essere assunta da due noti ospedali milanesi. Questo episodio, avvenuto tra il 2022 e l’inizio del 2023, ha avuto eco nazionale data la semplicità con cui la protagonista ha potuto aggirare i sistemi di controllo. La donna, trentacinquenne, ha operato per diversi mesi senza alcun titolo, visitando oltre 800 persone. Si è trattato di un inganno sofisticato che ha messo in luce alcune gravi criticità nei meccanismi di selezione del personale sanitario e nella verifica dei titoli abilitanti.

Secondo quanto emerso dalle indagini, la protagonista si è costruita una falsa identità professionale, presentando documenti contraffatti e riferendo esperienze lavorative mai avute realmente. Le dichiarazioni raccolte dal tribunale riferiscono che la donna avrebbe subito pressioni da figure a lei vicine, inducendola a intraprendere tale percorso illecito, un elemento che non ha comunque impedito la condanna da parte delle autorità.

Questo evento, oltre a destare preoccupazione per le possibili conseguenze sulla salute dei pazienti, rappresenta un monito per l’intero sistema sanitario nazionale, che si trova ora davanti alla necessità di rivedere le proprie procedure di assunzione e controllo. 

Come ha aggirato i controlli: omonimia, falsi documenti e assunzione negli ospedali

Il metodo utilizzato per intrufolarsi nel sistema sanitario ha dimostrato le debolezze investigative e amministrative esistenti all’interno di alcune strutture. La protagonista del caso si è trovata agevolata da un’omonimia con una vera endocrinologa, sfruttando nome e cognome identici ad un’altra professionista già iscritta all’albo.

Tra i passaggi determinanti nell’inganno:

  • Produzione di lauree false e certificati di abilità apparentemente autentici;
  • Inserimento di esperienze fittizie presso strutture prestigiose (come il Gemelli di Roma) nel curriculum;
  • Presentazione di documenti anagrafici modificati, inclusa la richiesta di inserimento della qualifica "medico" al rilascio della carta d’identità;
  • Sfruttamento dell’omonimia con una dottoressa realmente operativa nel capoluogo lombardo;
  • Contraffazione di timbri ufficiali e attestati d’iscrizione all’Ordine dei Medici.
L’accesso al Centro clinico Santagostino è avvenuto mediante un periodo di prova; trascorso questo, la donna è riuscita persino a ottenere un contratto con un ulteriore importante ospedale lombardo. Solo dopo alcuni mesi, a seguito di verifiche incrociate – sospinte da alcune incongruenze nelle dichiarazioni della falsa dottoressa – la truffa è emersa nella sua interezza. È emerso che nessuna reale competenza era alla base dell’operato della 45enne che, tra l’altro, effettuava diagnosi e prescriveva terapie totalmente inadatte, in alcuni casi anche dannose.

Le indagini condotte dalla procura hanno portato alla condanna per sostituzione di persona, esercizio abusivo della professione, truffa e reati di falso materiale. Sono stati inoltre stabiliti risarcimenti danni nei confronti delle strutture coinvolte e dell’Ordine dei Medici. La vicenda ha portato alla luce la necessità di perfezionare i controlli, come suggerito anche dalle normative vigenti (ad esempio le disposizioni del D.Lgs. 165/2001 e della Legge 42/1999 sulla professione sanitaria), al fine di salvaguardare l’integrità della sanità pubblica.

Le dichiarazioni rese dalla donna durante il procedimento penale hanno aggiunto ulteriore complessità al quadro, con riferimenti a pressioni personali e criminalità organizzata, elementi presi comunque con cautela dagli inquirenti e dal tribunale stesso.

Conseguenze, rischi per i pazienti e risposte delle strutture sanitarie

Le conseguenze di questa vicenda si riflettono su più livelli – personale, sanitario, organizzativo e legale. In primo luogo, centinaia di pazienti sono stati visitati senza la necessaria competenza. Sebbene, da quanto appurato, sembrerebbe che nessuno abbia subito lesioni permanenti, in molti casi sono state prescritte terapie scorrette o produzione di diagnosi errate che hanno complicato il quadro clinico dei soggetti coinvolti.

Le principali ripercussioni sulla salute dei pazienti hanno incluso:

  • Peggioramento di condizioni preesistenti, soprattutto tra i pazienti affetti da disturbi della tiroide;
  • Manifestazione di sintomi nuovi, come severe dissenterie dovute a farmaci prescritti in modo inadeguato;
  • Uno stato di incertezza emotiva e psicologica tra coloro che avevano affidato le proprie cure alla falsa professionista.
Pronta la risposta delle strutture sanitarie coinvolte: il Centro clinico Santagostino, ad esempio, ha provveduto a offrire una visita gratuita o un rimborso ai pazienti coinvolti, cercando di ristabilire almeno in parte la fiducia compromessa. L’azienda Humanitas, dal canto suo, ha chiarito pubblicamente che la donna non ha mai esercitato nelle sue strutture grazie all’efficacia dei controlli avviati subito dopo l’assunzione preliminare.

Sotto il profilo organizzativo, la vicenda ha agito da catalizzatore per una revisione interna dei protocolli di assunzione e delle procedure di verifica dei titoli di studio. In risposta all’accaduto, diversi centri medici hanno rafforzato la collaborazione con l’Ordine dei Medici e approfondito i sistemi di autenticazione dei documenti. Non sono mancati rincari delle richieste di modifiche legislative a livello nazionale, relative all’inasprimento delle pene per chi esercita abusivamente una professione sanitaria, come previsto dall’articolo 348 del Codice Penale.

Il procedimento giudiziario si è concluso con una condanna a quattro anni di reclusione e l’obbligo di risarcimento per danni materiali e morali. Le sentenze emesse hanno richiamato l’attenzione sulle responsabilità sia individuali che sistemiche, aprendo dibattiti su come tecnologie digitali avanzate e maggiori risorse amministrative possano aiutare a prevenire situazioni simili.

Questo evento ha messo in luce l’esigenza, tuttora pressante, di investire in formazione continua per i referenti delle risorse umane, così come in strumenti di verifica integrati a livello nazionale, oggi ancora troppo frammentari. Solo sviluppando controlli più stringenti, validati da fonti normative e supportati da una cultura della sicurezza, si potrà garantire pienamente la tutela dei pazienti e dell’integrità professionale della sanità italiana.



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