Giocattoli non sicuri provenienti da Temu, Aliexpress e mercati orientali invadono l'Italia: controlli carenti, rischi per i bambini, imprese penalizzate e una tassa inefficace che non tutela.
Il dibattito sulla sicurezza dei prodotti per l'infanzia è oggi acceso come non mai, complice la massiccia penetrazione di giocattoli provenienti dall'Estremo Oriente nei più importanti marketplace digitali. L'intervento di Genesio Rocca, presidente di Assogiocattoli, sulle colonne del Sole 24 Ore, richiama l'attenzione su un fenomeno in preoccupante crescita: la presenza di prodotti inadatti destinati ai più piccoli, che aggirano con facilità le maglie, già deboli, dei controlli europei.
I grandi portali internazionali, sfruttando i vantaggi della digitalizzazione dei processi commerciali e logistici, hanno moltiplicato le possibilità di accesso a beni privi delle garanzie minime previste dalle normative comunitarie. In questo contesto, cresce il timore per la salute e la sicurezza dei bambini italiani, sempre più esposti ai rischi di acquisti incauti, attratti dal richiamo di offerte e prezzi fuori mercato.
Il mercato europeo vive un momento di vulnerabilità doganale e digitale. Secondo i dati diffusi, oltre 4,6 miliardi di colli provenienti in gran parte dell'Estremo Oriente attraversano ogni anno il Vecchio Continente anche grazie all'attivismo di portali come Temu e Aliexpress. Questo flusso si traduce in circa 13 milioni di pacchi al giorno, spesso suddivisi in spedizioni di piccolo taglio e valore inferiore ai 150 euro, soglia sotto cui le verifiche doganali diventano di fatto impraticabili. La conseguenza più grave è la frammentazione del traffico commerciale, resa possibile dalla capacità dei marketplace di gestire milioni di ordini minimi che sfuggono alle tradizionali strategie di controllo e tracciamento. In mezzo a questi colli, potranno celarsi non solo giocattoli, ma anche abbigliamento non conforme, prodotti suggerenti rischi chimici e gadget potenzialmente nocivi.
La struttura normativa doganale europea, pensata in un'epoca pre-digitale, oggi fatica a gestire una simile mole di dati e oggetti in circolazione. L'impossibilità di ispezionare individualmente ciascun pacco genera un'enorme zona d'ombra, nella quale s'insinuano prodotti fuori norma che alimentano il fenomeno della concorrenza sleale e mettono a repentaglio la salute pubblica. Il paradosso, sottolineato dalle associazioni di settore, è proprio questo: la quantità soverchia la qualità dei controlli, lasciando il campo libero a chi importa, vende e distribuisce oggetti di dubbia provenienza ed elevato rischio potenziale.
L'allarme lanciato dai laboratori che hanno testato decine di prodotti destinati ai più piccoli - spesso privi di marchio e venduti da fornitori extra EU - è eloquente: il 96% dei campioni analizzati non rispetta le norme comunitarie di sicurezza. E ciò che suscita particolare preoccupazione è che l'86% di questi articoli, facilmente acquistabili su piattaforme note internazionali e recapitati direttamente a casa, comporta un rischio fisico immediato per i bambini. I difetti più rilevanti rilevati dalle analisi specialistiche comprendono:
L'adozione del Digital Services Act ha infatti introdotto elementi di flessibilità che, paradossalmente, liberano le grandi piattaforme da una responsabilità oggettiva sulla sicurezza dei prodotti venduti tramite le loro vetrine virtuali. La principale lacuna emersa è l'assenza di un referente giuridico comunitario obbligatorio per i prodotti extra UE:
Dal 2006 a oggi si sono succeduti almeno quattro importanti interventi normativi che hanno richiesto alle aziende di investire su processi, qualità dei materiali e innovazioni tecnologiche per conformarsi agli alti standard di sicurezza comunitari. Questi sforzi, necessari per immettere sul mercato articoli protetti e affidabili, si scontrano con il dumping dei prodotti asiatici, che non sostengono costi aggiuntivi e si affacciano sul mercato con prezzi che spesso non coprono neppure il valore delle materie prime conformi alle normative UE. I settori maggiormente colpiti comprendono:
Il tentativo di introdurre un prelievo forfettario di 2 euro sui pacchi con valore dichiarato sotto i 150 euro in arrivo da paesi extra UE nasce dalla volontà di fronteggiare la polverizzazione degli ordini e garantire un gettito minimo alle casse pubbliche. Tuttavia, l'efficacia di questa misura si è rivelata ampiamente insufficiente e in certi casi addirittura controproducente. Rispetto alle vere imposte e dazi normalmente dovuti all'importazione, la nuova tassa rappresenta una riduzione drastica del prelievo fiscale fino a 15 volte meno.
“In nome della semplicità amministrativa si incentiva ulteriormente la pratica di frazionare i colli e di agire sotto soglia, rendendo di fatto irrisoria la tassazione su merci di provenienza extra UE”, denunciano le associazioni del settore. In questo modo si premia il modello basato su volumi e prezzi bassi, invece che quello improntato all'equità fiscale e alle regole di concorrenza, acutizzando le diseguaglianze e alimentando il dumping.