Sta facendo molto discutere la riforma del condominio 2026 soprattutto per la questione dei pagamenti dei condomini morosi: cosa prevede e le critiche sollevate
Il sistema condominiale italiano si avvia verso un’importante trasformazione. La recente proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati rappresenta la più rilevante modifica in materia dopo oltre un decennio. L’obiettivo dichiarato è modernizzare la disciplina gestionale, superando limiti e criticità evidenziate dall’aumento del contenzioso e dalle mutate esigenze sociali.
Nel clima del dibattito pubblico, la nuova disciplina stimola posizioni opposte fra operatori, associazioni di consumatori e politica. In discussione non sono solo i presupposti di competenza richiesti agli amministratori, ma anche i pesanti risvolti economici per le famiglie e le nuove responsabilità a carico dei condomini.
Tra le più rilevanti misure proposte nella riforma del condominio 2026 vi è l’innalzamento del livello di competenza richiesto a chi amministra il condominio: per accedere alla professione, sarà necessaria la laurea in discipline economiche, giuridiche, scientifiche o tecnologiche, attenuando la diffusione del cosiddetto amministratore “fai-da-te”.
Per i professionisti già iscritti a ordini o collegi tecnici la deroga consente il mantenimento del ruolo, rispondendo a una richiesta di continuità da parte degli operatori storici. In parallelo, presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy sarà istituito un registro nazionale di amministratori e revisori obbligatorio per esercitare.
La riforma introduce, inoltre, una significativa novità per i grandi stabili: sarà obbligatorio nominare un revisore condominiale certificato quando i condomini superano venti unità, mentre nei supercondomini la soglia sale a sessanta. Il revisore avrà compiti di verifica contabile sul rendiconto amministrativo, assicurando così un controllo terzo. L’incarico avrà durata limitata e non sarà rinnovabile per garantire imparzialità.
Un altro pilastro della proposta è lo stop totale all’uso del contante nei pagamenti condominiali. Le operazioni dovranno essere effettuate esclusivamente tramite conto corrente intestato al condominio. Questo cambiamento comporta una tracciabilità integrale delle movimentazioni, con l’obiettivo di prevenire irregolarità e contestazioni nei rendiconti. Tuttavia, tale misura comporta nuovi oneri burocratici per gli amministratori e una maggiore dipendenza dai servizi bancari.
La gestione dei debiti dei condomini morosi costituisce l’aspetto più controverso e che suscita le maggiori critiche. Secondo la nuova disciplina, in caso di mancato pagamento delle quote dovute, i fornitori potranno agire direttamente sulle somme disponibili sul conto corrente del condominio e, se necessario, sui beni dei singoli condòmini morosi. La vera svolta è che, una volta esaurite queste possibilità, i creditori potranno rivolgersi anche ai condomini che hanno sempre rispettato i propri obblighi, secondo la loro quota millesimale.
Questo meccanismo determina uno scenario inedito: cittadini in regola rischiano di dover coprire le insolvenze altrui, con possibilità di recuperare in seguito la somma attraverso azioni di regresso verso i morosi. Le tempistiche per agire nei confronti degli inadempienti sono estese, poiché gli amministratori potranno avviare i procedimenti giudiziali per recuperare le somme solo dopo l’approvazione annuale del rendiconto, ampliando i tempi a disposizione dei morosi.
Le possibili conseguenze pratiche includono:
«Non è accettabile penalizzare chi quotidianamente rispetta le regole», lamentano le associazioni, sottolineando che tale impostazione:
Le organizzazioni di settore che rappresentano gli amministratori di condominio hanno illustrato una serie di criticità: il nuovo quadro normativo impone una crescente burocratizzazione della gestione degli immobili. Gli amministratori segnalano che:
Oltre agli aspetti economici, la riforma presenta alcune novità di rilievo su sicurezza e governance interna: