L'articolo 622 del Codice penale sanziona la rivelazione di segreti appresi per ragione della propria professione, punendo il commercialista che divulghi informazioni senza giusta causa.
Il rapporto tra commercialista e cliente si fonda su un elemento essenziale: la fiducia. Senza la garanzia che i dati personali, fiscali e patrimoniali vengano trattati con la massima riservatezza, l'attività consulenziale perderebbe la sua stessa ragion d'essere. Ma fino a che punto il segreto professionale è davvero vincolante? E quali sono le situazioni in cui il dovere di tacere incontra limiti o eccezioni dettate dall'ordinamento?
La prima cornice da considerare è quella penale. L'articolo 622 del Codice penale sanziona la rivelazione di segreti appresi per ragione della propria professione, punendo il commercialista che divulghi informazioni senza giusta causa e con potenziale danno per il cliente. Non è un semplice principio etico, ma una tutela penale forte che inquadra il silenzio come parte integrante dell'incarico.
Sul piano processuale, l'articolo 200 del Codice di procedura penale riconosce ai professionisti tenuti al segreto la facoltà di astenersi dal testimoniare. Se chiamato in giudizio, il commercialista può legittimamente rifiutarsi di riferire ciò che ha appreso nell'esercizio delle proprie funzioni, salvo diversa decisione del giudice che, caso per caso, valuti la fondatezza del segreto invocato.
Accanto alle norme penali e processuali, esiste poi la dimensione deontologica. Il Codice dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili impone regole stringenti di riservatezza con obblighi organizzativi, controlli sui collaboratori e sanzioni disciplinari in caso di violazione. È un altro livello di protezione, che sottolinea come la segretezza non sia solo un diritto del cliente ma anche un dovere professionale inderogabile.
Il perimetro del segreto non si esaurisce nei documenti fiscali, ma comprende strategie aziendali, accordi riservati, informazioni sulla situazione patrimoniale e persino l'esistenza di determinate operazioni. La protezione si estende a tutto ciò che è stato conosciuto in ragione del mandato, proprio perché la fiducia deve essere totale.
Il consenso del cliente permette la comunicazione a terzi quando è necessaria per eseguire correttamente l'incarico, ma non legittima divulgazioni indiscriminate. La giusta causa che scrimina la rivelazione è infatti limitata a ciò che è imposto o autorizzato dalla legge o da un ordine dell'autorità. Ogni altra comunicazione resta illecita e può esporre a responsabilità penale, civile e disciplinare.
Il confine tra dovere e illecito è sottile. Un commercialista che rivelasse spontaneamente notizie riservate per tutelare un proprio interesse personale, senza una base normativa che lo giustifichi, cadrebbe nel reato di violazione del segreto professionale, anche qualora pensasse di agire per finalità “giuste”. La logica del sistema è chiara: il silenzio è la regola, parlare è l'eccezione regolata dalla legge.
Uno dei limiti al segreto è rappresentato dalla normativa antiriciclaggio. Il D.Lgs. 231/2007 obbliga i commercialisti a identificare i clienti, conservare i dati e, soprattutto, a segnalare operazioni sospette alla UIF. In questo caso il dovere di riservatezza cede il passo alla tutela dell'interesse pubblico e la rivelazione diventa un obbligo di legge, coperto da specifiche garanzie per il professionista.
Anche il potere ispettivo dell'amministrazione finanziaria costituisce una deroga importante. La Guardia di Finanza e l'Agenzia delle Entrate possono effettuare accessi negli studi professionali per acquisire documenti utili agli accertamenti. Il commercialista può opporre il segreto solo per ciò che è manifestamente estraneo o non pertinente, ma non può sottrarsi in blocco al potere di controllo previsto dalla normativa tributaria.
Un altro limite emerge in sede giudiziaria. Il giudice, di fronte all'opposizione del segreto da parte del professionista, ha il potere di valutare la legittimità della riservatezza e, se la ritiene non fondata, può imporre la testimonianza o autorizzare il sequestro dei documenti. È qui che si manifesta la natura “porosa” del segreto del commercialista, che pur robusto non gode dell'immunità assoluta riconosciuta ad esempio agli avvocati quando agiscono come difensori.
Oltre al segreto professionale, i commercialisti devono rispettare gli obblighi derivanti dal GDPR e dal Codice della privacy. Ogni trattamento di dati personali deve poggiare su basi giuridiche solide, come l'esecuzione del contratto o un obbligo legale, e deve rispettare i principi di minimizzazione e proporzionalità. In questo senso, la riservatezza professionale e la normativa privacy si rafforzano a vicenda.
Il rispetto della riservatezza non può prescindere da misure organizzative adeguate: sistemi informatici protetti, controlli sugli accessi, limitazione della circolazione interna dei documenti e formazione dei collaboratori. Gli Ordini professionali vigilano su questi aspetti e possono aprire procedimenti disciplinari in caso di negligenza.
In caso di violazione dei dati o di fuga di informazioni, il commercialista è tenuto a notificare il data breach all'Autorità garante e, in situazioni gravi, anche agli interessati. Il segreto professionale non lo esonera da tali obblighi: anzi, la violazione della privacy e del segreto nello stesso episodio può aggravare le responsabilità civili, disciplinari e penali.
Nella pratica giudiziaria, il commercialista che invoca il segreto deve farlo in modo preciso e documentato. Il giudice può accogliere l'astensione dal testimoniare oppure rigettarla, valutando se l'informazione rientri effettivamente nel perimetro protetto. L'opposizione generica non basta: serve argomentare il nesso con l'incarico.
Le denunce spontanee rappresentano un terreno rischioso. Se il professionista rivelasse di propria iniziativa informazioni acquisite nell'ambito dell'incarico senza un obbligo legale che lo giustifichi, rischierebbe di incorrere nel reato di violazione del segreto. La legge, in sostanza, scoraggia il protagonismo del consulente a favore di un sistema di regole certe.
Gli accessi fiscali, infine, confermano la natura relativa del segreto. L'amministrazione può acquisire documenti anche presso lo studio del commercialista, purché rispetti le autorizzazioni e i limiti normativi. Il professionista può difendere la riservatezza su ciò che è irrilevante, ma non può opporsi a controlli legittimi su atti e scritture fiscalmente rilevanti.