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I diritti dei lavoratori che vengono spiati da detective e investigatori a livello di privacy e per contestare licenziamento

di Marcello Tansini pubblicato il
Lavoratori sempre più spiati

Dalla crescente diffusione di investigatori privati e tecnologie nella sorveglianza dei dipendenti nascono interrogativi cruciali: quali sono i limiti legali, come interviene il Garante, quali diritti tutela la privacy?

Il tema della supervisione dei lavoratori suscita da sempre grande attenzione, in particolare quando la tecnologia permette a datori di lavoro e aziende di ricorrere a strumenti sempre più invasivi. Gli equilibri tra il diritto dell'impresa a tutelare il proprio patrimonio produttivo e l'esigenza di garantire la riservatezza individuale, offrono oggi nuovi spunti di riflessione.

In Italia, la regolamentazione riconosce la necessità di conciliare l'interesse dell'impresa con la dignità e la privacy dei dipendenti, in un contesto in cui la trasparenza delle procedure e il rispetto delle normative risultano irrinunciabili. La paura di essere “spiati” riguarda sempre più lavoratori, che chiedono tutele chiare e interventi legislativi adeguati alle nuove forme di controllo.

Normativa di riferimento e limiti legali al controllo dei dipendenti

La principale fonte normativa in materia di controllo dei dipendenti è rappresentata dallo Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970, art. 4), che vieta l'uso di impianti audiovisivi, o di altri strumenti, per finalità di controllo a distanza sull'attività lavorativa.

Tale divieto presenta limitate eccezioni, ammettendo l'utilizzo di strumenti di sorveglianza esclusivamente previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, con autorizzazione dell'Ispettorato territoriale del lavoro:

  • Strumenti per l'attività lavorativa: dispositivi come PC o smartphone, forniti per esigenze lavorative, possono implicare controlli indiretti, ma devono essere adoperati rispettando la riservatezza e informando preventivamente il lavoratore sulle modalità d'uso e sul trattamento dei dati personali (Regolamento UE 2016/679 - GDPR).
  • Videosorveglianza: l'installazione di telecamere è permessa solo per esigenze produttive, organizzative o di sicurezza, e necessita della stipula di un accordo sindacale o di autorizzazione pubblica specifica.
  • Controlli a distanza: qualsiasi monitoraggio finalizzato esclusivamente al controllo della prestazione lavorativa è vietato, sia in presenza che in smart working, salvo rispettare le eccezioni di legge.
Il principio cardine è evitare ogni forma di sorveglianza occulta, indiscriminata o continua, valorizzando la centralità del consenso e della trasparenza. Ogni informazione raccolta senza rispetto delle procedure non può essere utilizzata in ambito disciplinare e costituisce violazione delle regole. E dunque:

Strumento

Condizione di liceità

Telecamere

Accordo sindacale
o autorizzazione ITL

PC aziendali

Informativa dettagliata sui controlli

Dati biometrici

Norma specifica di legge
o interesse pubblico prevalente

Strumenti di sorveglianza: investigatori privati, tecnologie e social network

L'applicazione concreta dei controlli varia a seconda degli strumenti impiegati e dei contesti operativi. Accanto ai tradizionali impianti di videosorveglianza, il ricorso a investigatori privati, tecnologie digitali e l'uso dei social network ha progressivamente modificato scenari e confini:

  • Investigatori privati: l'azienda può affidare incarichi a professionisti esterni per accertare comportamenti illeciti (ad es. abusi nei permessi), ma tale attività dev'essere fondata su sospetti concreti e formalizzata con incarico dettagliato. È escluso ogni controllo invasivo sulla vita privata non collegato a illeciti.
  • Tecnologie digitali: software di monitoraggio, sistemi di tracciamento, e-mail tracking o verifica della navigazione adottati per scopi aziendali, richiedono trasparenza nell'informare il dipendente e limiti stringenti nell'uso dei dati, in conformità con i principi di minimizzazione e proporzionalità del GDPR.
  • Social network: controlli effettuati tramite account fake su piattaforme social sono stati considerati ammissibili dalla Suprema Corte solo in presenza di illeciti accertati e con l'esclusivo scopo di tutelare il patrimonio aziendale o prevenire danni gravi.
L'eventuale abuso delle informazioni raccolte tramite questi strumenti può portare al disconoscimento della prova e all'applicazione di pesanti sanzioni, sia in ambito lavoristico che in materia di privacy. Il quadro si complica con la diffusione di pratiche come la rilevazione dei dati biometrici: la giurisprudenza ribadisce che il semplice consenso dei lavoratori non è sufficiente, mancando i necessari presupposti normativi.

Il controllo difensivo: quando è ammesso l'uso di investigatori e quali sono i presupposti

La categoria dei cosiddetti “controlli difensivi” ricopre un ruolo delicato nel bilanciamento tra garanzie dei lavoratori e legittime esigenze aziendali. Secondo la prassi giuridica, un datore di lavoro può avvalersi di agenzie investigative per verificare specifiche condotte potenzialmente illecite, a condizione che:

  • Esista un fondato sospetto di violazione grave da parte del dipendente (ad esempio, furto di beni, abuso di permessi ex legge 104, concorrenza sleale).
  • L'oggetto dell'indagine riguardi comportamenti extra-lavorativi (fuori orario, al di fuori del luogo di lavoro) solo se strettamente collegati a un pregiudizio aziendale.
  • L'incarico rilasciato all'investigatore sia specifico e dettagliato, documentando lo scopo dell'indagine e le modalità di raccolta delle informazioni.
Tali verifiche non possono mai tradursi in una sorveglianza continua o indiscriminata. La giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che, in presenza di fondati sospetti, solo i dati raccolti successivamente al sospetto potranno essere considerati nelle procedure disciplinari (art. 4 Statuto Lavoratori). Non è consentito un controllo retrospettivo mirato a pescare prove tra i dati precedentemente raccolti.

L'uso di investigatori è particolarmente frequente nei casi di presunto abuso di benefici normativi, quali i permessi retribuiti ex legge 104, o in caso di sospetto di concorrenza sleale. In tali circostanze, la Corte di Cassazione ha ritenuto leciti i controlli difensivi condotti al di fuori dell'orario di lavoro, purché siano rispettate le garanzie di libertà e dignità del lavoratore.

Ulteriori limiti derivano dai principi di necessità, proporzionalità e pertinenza: gli accertamenti devono essere mirati e motivati, evitando la raccolta di informazioni non strettamente rilevanti rispetto all'illecito ipotizzato.

Il ruolo del Garante Privacy e le sanzioni per controlli illeciti

L'Autorità Garante per la protezione dei dati personali svolge un'attività di vigilanza e controllo sull'attuazione delle norme che disciplinano la tutela della riservatezza in ambito lavorativo. Ogni trattamento di dati effettuato senza il rispetto di procedure e presupposti previsti dalla legge può essere oggetto di sanzioni amministrative e, talvolta, penali:

  • Sanzioni amministrative: le violazioni in materia di GDPR possono comportare multe fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato globale, a seconda della gravità e della reiterazione (GDPR).
  • Sanzioni penali: la normativa italiana prevede, all'art. 38 dello Statuto dei Lavoratori, l'arresto o l'ammenda per chi installa strumenti di controllo in assenza di autorizzazioni.
  • Poteri del Garante: oltre alle sanzioni monetarie, l'Autorità può ordinare il blocco del trattamento dei dati, la cancellazione di quelli raccolti illecitamente o imporre misure correttive e prescrittive.
Negli ultimi anni il Garante ha sanzionato aziende per installazione di sistemi di geolocalizzazione non autorizzati, per uso eccessivo di software di monitoraggio o per raccolta di dati biometrici in assenza di una base giuridica specifica. Tali interventi mirano a garantire un elevato livello di tutela dei diritti e delle libertà degli interessati, con particolare riguardo ai rapporti di lavoro subordinato.

Controlli e licenziamento disciplinare: prova, legittimità e limiti

L'utilizzo delle informazioni raccolte tramite controlli sul personale impatta mente sulle procedure di licenziamento per giusta causa o motivo soggettivo. La legittimità di tali controlli si basa sull'accertamento della stretta correlazione tra la condotta rilevata e un concreto pregiudizio agli interessi aziendali.

Un aspetto importante è la distinzione tra controllo difensivo ex post, lecito solo dalla nascita del sospetto, e controlli generalizzati, sempre vietati. La combinazione delle garanzie previste dal diritto del lavoro e della disciplina privacy impone la massima cautela nell'accesso ai dati dei dipendenti, anche in presenza di sospetti. Alcune sentenze, come l'ordinanza della Suprema Corte n. 807/2025, hanno sottolineato la necessità di equilibrare la tutela degli interessi aziendali con quella della dignità e della riservatezza dei lavoratori.

È centrale il ruolo dei regolamenti aziendali e dell'informativa: solo l'esplicitazione chiara delle policy consente ai dipendenti di conoscere i margini di liceità nell'uso degli strumenti di lavoro e nelle possibili verifiche. Contrariamente, ogni prova raccolta senza trasparenza è inutilizzabile e determina responsabilità in capo al datore di lavoro.

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