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In quali marche di bottiglie di acqua minerale c'č presenza di Pfas nocivi e in quali no secondo nuova ricerca Greenpeace

di Marcello Tansini pubblicato il
pfas acqua minerale

La nuova ricerca di Greenpeace fa luce sulla presenza di PFAS nelle acque minerali in Italia, delineando quali marche risultano contaminate e quali invece sono sicure. Analisi, rischi e risposte delle aziende coinvolte

Negli ultimi mesi, la questione della presenza di sostanze inquinanti nelle acque minerali in vendita in Italia è stata al centro dell’attenzione grazie a un’approfondita indagine condotta da Greenpeace Italia. Attraverso test effettuati in laboratori indipendenti su bottiglie di diversi marchi, l’organizzazione ha voluto verificare se le principali acque minerali contengano PFAS – composti sintetici noti anche come "inquinanti eterni" che destano crescenti preoccupazioni per la salute pubblica e l’ambiente. L’analisi, condotta sia in Italia che in Germania su prodotti acquistati nei supermercati, ha fornito un quadro dettagliato circa la contaminazione da specifici PFAS nelle acque confezionate. Il dibattito pubblico è stato ulteriormente alimentato dalla trasparenza di Greenpeace, che ha reso noti i risultati e ha coinvolto attivamente sia consumatori che aziende.

Cosa sono i PFAS e perché sono considerati inquinanti eterni

I PFAS, ovvero sostanze poli- e per-fluoroalchiliche, sono una vasta famiglia di composti chimici ampiamente utilizzati nell’industria e in numerosi oggetti di uso comune per la loro resistenza all’acqua, ai grassi e allo sporco. Questi composti si caratterizzano per una struttura molecolare altamente stabile, che impedisce una loro efficace degradazione ambientale: per questo sono comunemente definiti “inquinanti eterni”.

  • Stabilità ambientale: i PFAS non si degradano facilmente e tendono ad accumularsi nei corpi idrici, nel suolo e negli organismi viventi.
  • Bioaccumulo: possono essere facilmente assorbiti da persone e animali, restando in circolo per molti anni.
  • Effetti sulla salute: la letteratura scientifica ha messo in relazione l’esposizione a questi composti con rischi per la salute umana, come alterazioni a livello endocrino, immunitario e riproduttivo, oltre che patologie più gravi quali tumori al rene e ai testicoli.
Tale persistenza e capacità di diffusione globale rende la loro presenza nella catena alimentare e nell’ambiente una sfida per le attuali strategie di regolamentazione e tutela della salute pubblica. Gli PFAS, inclusi nel monitoraggio europeo delle acque potabili a partire dal 2026 (Direttiva UE 2020/2184), sono al centro di un dibattito scientifico e normativo sulla sicurezza alimentare e ambientale in Italia e in Europa.

Risultati della ricerca Greenpeace: quali marche di acqua minerale presentano PFAS e quali no

L’indagine di Greenpeace ha coinvolto otto delle principali marche di acqua minerale vendute nei supermercati italiani. I campioni sono stati analizzati sulla base della possibile presenza di diversi composti PFAS, con un focus particolare sull’acido trifluoroacetico (TFA), oggi ritenuto il PFAS più diffuso a livello globale.

Marchio Presenza di PFAS Concentrazione TFA (ng/l)
Ferrarelle No <50
San Benedetto Naturale No <50
Levissima 570
Panna 700
Rocchetta 360
San Pellegrino 350
Sant’Anna 440
Uliveto 240

I risultati evidenziano un quadro chiaro: Ferrarelle e San Benedetto Naturale risultano prive di PFAS rilevabili (al di sotto dei 50 ng/l). Nei restanti campioni è stata rilevata la presenza di TFA, con i valori più alti riscontrati in Panna, Levissima e Sant’Anna. Nessun altro composto PFAS, tra quelli attualmente regolamentati o considerati più pericolosi (come PFOA e PFOS), è stato individuato nei test. Il dato è significativo, poiché indica una contaminazione selettiva e suggerisce che il TFA sia oggi l’elemento predominante nelle acque minerali positive all’analisi.

Le aziende coinvolte sono state informate dei risultati, ma nessuna ha fornito risposte ufficiali alle domande di Greenpeace sui dati emersi dall’indagine. Questo silenzio alimenta l’urgenza di maggiore trasparenza sui processi produttivi e sulla qualità delle fonti di acqua.

Il TFA: il PFAS più diffuso nelle acque minerali e i suoi rischi per la salute

L’acido trifluoroacetico (TFA) è emerso come il contaminante più presente nelle analisi delle acque minerali italiane. Questa molecola, appartenente alla famiglia dei PFAS, si caratterizza per una struttura a catena ultracorta che la rende estremamente persistente e altamente solubile, favorendo la sua diffusione nell’ambiente e nelle acque di falda.

  • Il TFA si forma frequentemente come prodotto di degradazione di altri PFAS sia in ambienti naturali che nei cicli industriali.
  • Viene rilevato non soltanto nell’acqua minerale ma anche nel suolo, nella polvere domestica e nel sangue umano.
  • La sua presenza nelle analisi di Greenpeace si colloca tra circa 70 e 700 ng/l, valori coerenti con quanto riscontrato anche in campioni europei.
Recenti studi condotti dalle autorità tedesche hanno portato alla classificazione del TFA come "tossico per la riproduzione" e "molto mobile e persistente". Il Governo tedesco ha già chiesto formalmente all’ECHA una revisione regolamentare che potrebbe ridurne drasticamente i limiti. L’attenzione scientifica sul TFA nasce dalla sua capacità di spostarsi facilmente tra acqua, aria e organismi viventi, rappresentando così un potenziale rischio per le popolazioni esposte a livelli elevati.

Gli studi attualmente a disposizione indicano rischi specifici soprattutto per le fasce di popolazione più vulnerabili e sollevano interrogativi sui possibili effetti a lungo termine derivanti dall’accumulo di TFA nell’organismo.

Limiti normativi e risposte delle aziende sui PFAS nelle acque minerali

Attualmente, il quadro normativo italiano ed europeo disciplina i PFAS nella Direttiva UE 2020/2184, che a partire dal 2026 porrà un limite di 100 ng/l per la somma di 24 PFAS nelle acque potabili. Tuttavia, nelle acque minerali, la regolamentazione è più carente e il TFA non rientra tra i composti espressamente regolamentati dalle direttive vigenti.

  • La Germania ha già adottato un limite di 100 ng/l per il TFA nelle acque potabili e ha avviato la richiesta di una classificazione ufficiale come sostanza pericolosa presso l’ECHA.
  • Ad oggi, l’Italia ha solo recentemente approvato in Consiglio dei Ministri un decreto legge volto a ridurre i valori consentiti di PFAS nelle acque potabili e integrare restrizioni specifiche anche per il TFA, ma il provvedimento è ancora in attesa di approvazione definitiva da parte del Parlamento.
  • L’assenza di una normativa organica e aggiornata ha portato diverse associazioni, tra cui Greenpeace, a chiedere l’introduzione urgente di una "legge zero-PFAS" che vieti la produzione e l’uso di queste sostanze.

Confronto tra i dati italiani ed europei sulla presenza di PFAS nelle acque minerali

I valori di TFA rilevati nelle acque minerali italiane riflettono una tendenza già osservata in altri Paesi europei. In Svizzera, Francia, Germania e Spagna, diversi studi hanno riscontrato la diffusa presenza di TFA nelle acque minerali, con concentrazioni che spaziano da circa 370 ng/l fino a superare 3.000 ng/l nei casi più critici.
  • Uniformità della contaminazione: la presenza di TFA non è specifica del contesto italiano, ma dimostra una distribuzione trasversale a livello europeo.
  • Risposta normativa variegata: alcuni Paesi hanno già adottato valori limite più restrittivi rispetto alla direttiva UE (ad esempio Danimarca e Germania), mentre altri rimangono in attesa di aggiornamenti regolamentari.
  • Standard futuri: la proposta tedesca presso l’ECHA, se accettata, potrebbe determinare un significativo abbassamento dei limiti ammissibili per il TFA a livello europeo, uniformando così le strategie di tutela della salute pubblica.
Il confronto dimostra che la contaminazione da PFAS, e in particolare da TFA, richiede soluzioni reali e coordinate non solo a livello locale ma anche europeo.
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