La nuova ricerca di Greenpeace fa luce sulla presenza di PFAS nelle acque minerali in Italia, delineando quali marche risultano contaminate e quali invece sono sicure. Analisi, rischi e risposte delle aziende coinvolte
Negli ultimi mesi, la questione della presenza di sostanze inquinanti nelle acque minerali in vendita in Italia è stata al centro dell’attenzione grazie a un’approfondita indagine condotta da Greenpeace Italia. Attraverso test effettuati in laboratori indipendenti su bottiglie di diversi marchi, l’organizzazione ha voluto verificare se le principali acque minerali contengano PFAS – composti sintetici noti anche come "inquinanti eterni" che destano crescenti preoccupazioni per la salute pubblica e l’ambiente. L’analisi, condotta sia in Italia che in Germania su prodotti acquistati nei supermercati, ha fornito un quadro dettagliato circa la contaminazione da specifici PFAS nelle acque confezionate. Il dibattito pubblico è stato ulteriormente alimentato dalla trasparenza di Greenpeace, che ha reso noti i risultati e ha coinvolto attivamente sia consumatori che aziende.
I PFAS, ovvero sostanze poli- e per-fluoroalchiliche, sono una vasta famiglia di composti chimici ampiamente utilizzati nell’industria e in numerosi oggetti di uso comune per la loro resistenza all’acqua, ai grassi e allo sporco. Questi composti si caratterizzano per una struttura molecolare altamente stabile, che impedisce una loro efficace degradazione ambientale: per questo sono comunemente definiti “inquinanti eterni”.
L’indagine di Greenpeace ha coinvolto otto delle principali marche di acqua minerale vendute nei supermercati italiani. I campioni sono stati analizzati sulla base della possibile presenza di diversi composti PFAS, con un focus particolare sull’acido trifluoroacetico (TFA), oggi ritenuto il PFAS più diffuso a livello globale.
Marchio | Presenza di PFAS | Concentrazione TFA (ng/l) |
Ferrarelle | No | <50 |
San Benedetto Naturale | No | <50 |
Levissima | Sì | 570 |
Panna | Sì | 700 |
Rocchetta | Sì | 360 |
San Pellegrino | Sì | 350 |
Sant’Anna | Sì | 440 |
Uliveto | Sì | 240 |
I risultati evidenziano un quadro chiaro: Ferrarelle e San Benedetto Naturale risultano prive di PFAS rilevabili (al di sotto dei 50 ng/l). Nei restanti campioni è stata rilevata la presenza di TFA, con i valori più alti riscontrati in Panna, Levissima e Sant’Anna. Nessun altro composto PFAS, tra quelli attualmente regolamentati o considerati più pericolosi (come PFOA e PFOS), è stato individuato nei test. Il dato è significativo, poiché indica una contaminazione selettiva e suggerisce che il TFA sia oggi l’elemento predominante nelle acque minerali positive all’analisi.
Le aziende coinvolte sono state informate dei risultati, ma nessuna ha fornito risposte ufficiali alle domande di Greenpeace sui dati emersi dall’indagine. Questo silenzio alimenta l’urgenza di maggiore trasparenza sui processi produttivi e sulla qualità delle fonti di acqua.
L’acido trifluoroacetico (TFA) è emerso come il contaminante più presente nelle analisi delle acque minerali italiane. Questa molecola, appartenente alla famiglia dei PFAS, si caratterizza per una struttura a catena ultracorta che la rende estremamente persistente e altamente solubile, favorendo la sua diffusione nell’ambiente e nelle acque di falda.
Gli studi attualmente a disposizione indicano rischi specifici soprattutto per le fasce di popolazione più vulnerabili e sollevano interrogativi sui possibili effetti a lungo termine derivanti dall’accumulo di TFA nell’organismo.
Attualmente, il quadro normativo italiano ed europeo disciplina i PFAS nella Direttiva UE 2020/2184, che a partire dal 2026 porrà un limite di 100 ng/l per la somma di 24 PFAS nelle acque potabili. Tuttavia, nelle acque minerali, la regolamentazione è più carente e il TFA non rientra tra i composti espressamente regolamentati dalle direttive vigenti.