Le aziende italiane si distinguono per solidità e affidabilità, ma secondo S&P Global Ratings affrontano sfide e rischi legati a instabilità, innovazione tecnologica, settori produttivi e sostenibilità ESG.
L’attuale panorama delle imprese italiane si distingue per resilienza, credibilità e solidità finanziaria, elementi riconosciuti a livello internazionale dagli osservatori economici. Secondo le più recenti analisi di S&P Global Ratings, la maggioranza delle società tricolori mantiene una posizione di stabilità, sostenuta dal rafforzamento dell’outlook nazionale e dal clima politico favorevole degli ultimi mesi. I rating associati ai principali operatori riflettono questa fiducia, rafforzando ulteriormente la reputazione del sistema produttivo.
Nel corso del 2025 l’agenzia S&P ha registrato dieci promozioni a fronte di soli due declassamenti tra le imprese italiane. Questo andamento positivo non solo si collega strettamente all’upgrade del rating sovrano italiano da BBB a BBB+, ma evidenzia anche una maggiore forza e affidabilità nell’accesso ai mercati finanziari. La solidità del tessuto aziendale si è manifestata, per esempio, nella capacità di ottenere condizioni di finanziamento competitive e in una gestione efficace del patrimonio e della liquidità.
L’85% degli outlook assegnati da S&P alle società italiane è stato valutato come stabile, segno di una rinnovata fiducia nelle capacità delle imprese di affrontare i cicli economici e di assorbire eventuali shock esterni. Tale scenario risulta rafforzato dall’attuale stabilità politica del Paese, considerata dagli analisti un elemento chiave per la stabilità dei mercati finanziari interni. Come segnalato da S&P e altri osservatori, le politiche di bilancio prudenti e responsabili adottate dal governo hanno contribuito a mantenere prospettive favorevoli anche a fronte di una crescita moderata (PIL allo 0,6% nel 2025) e di un debito pubblico che, seppur elevato, è previsto in graduale stabilizzazione dal 2028.
Questa situazione, tuttavia, non elimina del tutto i rischi: la distribuzione della solidità è più marcata tra le grandi aziende e le multinazionali piuttosto che tra le PMI, categorie maggiormente esposte a situazioni di volatilità, mancato accesso al rating o a stress di mercato. In tale contesto, l’attenta gestione dei rischi e la capacità di adattarsi rapidamente restano cruciali per mantenere e migliorare il giudizio delle agenzie internazionali. Lo scenario italiano mostra comunque una positiva tendenza di fondo che permette alle imprese di guardare al 2026 con un certo ottimismo, nonostante la necessità di non sottovalutare i potenziali rischi futuri.
Gli ottimi risultati raggiunti dalle società italiane non possono prescindere da una lucida analisi delle nuove complessità che minacciano la stabilità dei prossimi anni. In primo piano si pone l’incertezza collegata all’instabilità commerciale globale, come dimostrato dalla recente applicazione e sospensione di dazi sulle esportazioni UE da parte degli Stati Uniti. Queste misure hanno inciso negativamente sul volume degli investimenti e sulla dinamica della crescita economica, sollevando nuove questioni per le strategie di mercato delle imprese.
Altra sfida centrale è il fenomeno della rilocalizzazione produttiva verso aree ritenute più competitive, in particolare gli Stati Uniti. Fattori quali la ricerca di forniture più sicure, il desiderio di ridurre i costi energetici e la necessità di avvicinarsi ai mercati di consumo finali hanno innescato una graduale riorganizzazione della produzione industriale. Questo trend, acceleratosi nel biennio recente, rischia di determinare una progressiva deindustrializzazione europea, soprattutto in settori energivori e tra le PMI meno strutturate.
Infine, le prospettive delle aziende italiane saranno condizionate anche dagli interventi delle istituzioni europee: la capacità di varare misure adeguate per rafforzare la competitività, sostenere il tessuto produttivo e mitigare i rischi di una perdita di capacità industriale sarà decisiva per assicurare un sistema economico attrattivo e sostenibile nel medio-lungo termine.
L’impatto delle nuove dinamiche economiche e regolatorie varia ampiamente tra i settori produttivi italiani. Ad esempio, il comparto chimico è tra i più penalizzati a causa dell’elevato costo dell’energia, con volumi produttivi ridotti del 20% rispetto al 2021. La situazione appare più stabile nel manifatturiero nel suo complesso, ma permane la vulnerabilità, specie per le medie e piccole imprese meno propense a rilocalizzare le attività su scala internazionale.
Nel settore moda, si registra una forte spinta verso la sostenibilità ambientale e sociale, trainata da pressioni regolatorie e dalla domanda di mercati internazionali sempre più attenti alle tematiche ESG. Alcune eccellenze italiane sono rientrate nelle classifiche mondiali di sostenibilità, ma il settore, responsabile di una quota rilevante delle emissioni di CO2 su scala globale, presenta ancora ampi margini di adattamento e miglioramento.
Il comparto energia ha visto performance contrastanti: multiutility e aziende del gas come Hera, Italgas e Snam sono riconosciute per i loro investimenti in innovazione e riduzione delle emissioni, distinguendosi in ambito internazionale. Per la finanza, invece, l’elemento più rilevante è la governance: il punteggio ESG attribuito dalle agenzie si basa prevalentemente su criteri di gestione dei rischi, etica e corporate governance, riflettendo una crescente attenzione verso la stabilità e la trasparenza.
Un’area che richiede un sensibile rafforzamento riguarda produttività e innovazione tecnologica. Le statistiche europee registrano l’Italia in fondo alla classifica sia per l’adozione dell’intelligenza artificiale (meno del 10% delle imprese), sia per quanto concerne l’intensità digitale (definita bassa o molto bassa nel 40% dei casi). La frammentazione imprenditoriale, caratterizzata dalla presenza prevalente di micro e PMI, rallenta il ritmo della trasformazione digitale e limita i margini di recupero sul fronte della produttività.
Le aziende che riusciranno a integrare efficacemente tecnologie digitali e intelligenza artificiale nei propri processi, con particolare attenzione alle filiere produttive ad alto valore aggiunto, potranno migliorare sia l’efficienza interna che la propria posizione competitiva sui mercati globali. Secondo le analisi, lo scarto in termini di produttività tra il tessuto produttivo nazionale e quello di altri Paesi europei potrebbe colmarsi solo tramite investimenti sistematici in digitalizzazione, innovazione dei processi e valorizzazione delle competenze interne.
Il giudizio emesso dalle maggiori agenzie di valutazione, tra cui S&P, rappresenta per le società e per il Paese un vero e proprio biglietto da visita nei confronti degli investitori e delle istituzioni finanziarie internazionali. Un miglioramento nel rating si traduce in condizioni di accesso al credito più vantaggiose e in una maggiore capacità di attrarre capitali, sia per lo Stato che per il settore privato.
La sostenibilità e le performance secondo criteri ESG (Environmental, Social, Governance) stanno acquisendo crescente rilievo nella valutazione delle società italiane. L’analisi di S&P Global CSA mostra una presenza significativa di imprese italiane nel Sustainability Yearbook, soprattutto nei comparti multiutility, gas, moda, energia e finanza. In molti casi, le aziende hanno ottenuto il riconoscimento Top 1% o Top 5% a livello globale per pratiche avanzate nella gestione ambientale, responsabilità sociale e governance.
Il settore energetico si distingue per investimenti nella transizione verde, riduzione delle emissioni, miglioramento nell’impiego delle risorse e nella gestione della catena di fornitura. Nel comparto finanziario la governance pesa quasi per la metà sulla valutazione complessiva, sottolineando l’importanza di etica e trasparenza nei processi decisionali. Nel settore moda, la rapidità d’azione verso produzioni più sostenibili è considerata decisiva per mantenere la competitività globale. La dinamicità e la velocità di integrazione dei principi ESG, tuttavia, divergono tra settori e dimensioni aziendali, confermando la necessità di politiche inclusive e strumenti mirati di sostegno.