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L'intelligenza artificiale ci farà lavorare sempre di più e peggio, altro che lavorare meno

di Marcello Tansini pubblicato il
Tecnologia e stress, un matrimonio celeb

L’intelligenza artificiale, in fondo, non ha un piano malefico. Non complotta di notte nei data center per rovinarti la giornata.

C’era una volta un mondo in cui l’intelligenza artificiale avrebbe dovuto liberarci dal fardello delle mansioni ripetitive. Ci sognavamo immersi in attività nobili: arte, pensiero critico, passeggiate al tramonto. E invece no. Al posto del riposo abbiamo ricevuto notifiche ogni 30 secondi e grafici di produttività personalizzati. L’AI non ci ha liberato dalle incombenze: le ha solo rimpacchettate con un'interfaccia elegante e ci ha detto "ecco, adesso fai di più, ma col sorriso".

Secondo l’Osservatorio HR Innovation del Politecnico di Milano, l’AI fa risparmiare 30 minuti al giorno. Peccato che il 60% delle persone usi quel tempo per rimettersi a lavorare. Come premio per la produttività, ecco un carico extra di task da spuntare. Per chi aveva sperato in una pausa caffè prolungata o in una telefonata alla nonna, il sogno si è infranto. L’AI non ci regala tempo, ce lo ricicla in prestazioni da spremere meglio.

Nel frattempo, l’efficienza è diventata il nostro nuovo dio. Ogni secondo risparmiato grazie all’automazione è un’opportunità per farti lavorare un altro po’, meglio se con meno colleghi intorno. Il concetto di liberazione del tempo è stato sequestrato dal dipartimento HR e riconvertito in ottimizzazione dei flussi. E se hai un crollo emotivo, tranquillo: c’è un’app di mindfulness offerta dalla ditta, da usare in pausa pranzo.

Moltiplica il lavoro con un solo clic

Con l’AI che riassume, scrive, calcola e prevede per noi, avremmo dovuto sentirci sollevati. E invece siamo qui a rincorrere richieste più complesse, email con più allegati, analisi più profonde, riunioni più fitte. Magari con tre task contemporanei da monitorare mentre la macchina si aggiorna. Il tempo risparmiato viene riprogrammato in automatico per aggiungere tre cose in più alla to-do list. Hai finito prima? Bravo, adesso fallo di nuovo, ma meglio.

Andy Jassy, l’amministratore delegato di Amazon, ci ha fatto sapere che non si può mica pensare di finire prima e poi staccare. Piuttosto, bisogna capire come ottenere di più con meno persone. Così puoi vedere il tuo team rimpicciolirsi come un lavoretto da Excel, mentre le aspettative su di te esplodono come una tabella pivot impazzita. Se ti viene in mente di usare il tempo extra, sappi che stai deludendo il futuro della produttività globale.

Secondo SAP, quasi la metà dei lavoratori americani pensa che il tempo risparmiato grazie all’AI debba appartenere a loro. Un’idea rivoluzionaria. Così rivoluzionaria che oltre il 20% ammette di preferire nascondere il risparmio al datore di lavoro. Un nuovo sport olimpico: il finto “ci sto ancora lavorando” mentre sei già avanti di tre ore.

Tecnologia e stress, un matrimonio celebrato

Abbiamo già visto questo film. Con l’arrivo dei computer, il lavoro doveva diminuire. Risultato: più mail, più documenti, più scadenze. L’arrivo dell’AI prometteva di cancellare il superfluo. Ora abbiamo tre dashboard per ogni riunione. Siamo entrati nell’età dell’automazione nervosa, dove tutto accelera e niente si semplifica.

Juliet Schor ci avvisa: eliminando le attività leggere, stiamo creando un ambiente in cui tutto è ad alta intensità. Dalle decisioni strategiche ai report da 80 slide, la giornata è un crescendo di problem solving. Ma chi ci ha detto che il nostro cervello può sostenere questa pressione per cinque giorni a settimana? E intanto aumentano i casi di burnout.

La vera questione non è cosa può fare l’AI, ma a chi appartiene il tempo che libera. Se l’azienda lo rivendica, non siamo più lavoratori, ma proprietà con contratto full time. La settimana corta? Un’eresia. L’innovazione dev’essere piegata alla missione: fare più in meno tempo, per produrre di più in meno spazio. E se proprio stai male, puoi sempre usare i 15 minuti salvati per prenotare uno psicologo.

Tecnologia neutrale, sistema esaurito: una questione di scelte

L’intelligenza artificiale che impariamo a utilizzare, in fondo, non ha un piano malefico. Non complotta di notte nei data center per rovinarti la giornata. È lo specchio di un sistema che ha deciso che ogni secondo deve valere qualcosa. Se non si cambia il quadro di riferimento, l’AI non ci renderà liberi, ma ci renderà più precisi, più veloci, più esausti.

Mentre le aziende applaudono i guadagni di produttività, la politica si comporta come se non stesse accadendo nulla. I sindacati? Raramente entrano nel merito dei nuovi ritmi imposti dagli algoritmi. E così, mentre la tecnologia galoppa, nessuno si domanda se stiamo ancora lavorando per vivere o solo vivendo per lavorare. L’equazione è semplice: meno controllo pubblico = più controllo aziendale.

Non è tutto perduto. Possiamo ancora costruire un modello in cui l’AI ci solleva davvero dai pesi inutili e ci restituisce spazio per vivere, creare, dormire, pensare. Ma serve una scelta. Un patto. Una visione che metta al centro la persona, non il KPI. Altrimenti, il futuro del lavoro sarà brillante solo per le dashboard. E noi? Noi continueremo a sorridere davanti alla webcam, mentre l’AI ci aiuta a compilare l’ennesimo report che nessuno leggerà.

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