Il fascino dei bond Matusalemme risiede nella loro convessità estrema, un parametro tecnico che amplifica le variazioni di prezzo a fronte di minimi movimenti dei tassi di interesse.
Il crollo delle obbligazioni a 40 anni o più è stato uno dei momenti più traumatici per i mercati obbligazionari degli ultimi decenni. Titoli emessi a valori prossimi o superiori alla pari oggi si scambiano a quotazioni che in alcuni casi non raggiungono neppure il 30 % del loro valore iniziale. Il fenomeno non riguarda solo i paesi periferici, ma ha colpito anche Stati sovrani ad alto rating, come Francia e Austria, con i rispettivi titoli a lunghissima scadenza.
Chi ha acquistato queste emissioni alla loro nascita e non ha necessità di liquidità può teoricamente attendere la scadenza e incassare l'intero valore nominale, trasformando la perdita in un semplice scarto contabile. Tuttavia per il nuovo investitore, che osserva un titolo con prezzi crollati del 50-80 %, si apre una prospettiva completamente diversa, fatta di possibili guadagni speculativi o di lunghissimo immobilizzo del capitale.
La cedola di questi titoli, rapportata al prezzo corrente, appare più generosa del tasso nominale originario, e può sembrare appetibile. Ma va considerato che, su archi temporali tanto estesi, la dinamica inflattiva tende a erodere gran parte del rendimento reale. Una cedola lorda intorno al 4 % appare poco difendibile se confrontata con un'inflazione media storica del 2 % e con il prelievo fiscale che grava sul risparmio.
Il fascino dei bond Matusalemme risiede nella loro convessità estrema, un parametro tecnico che amplifica le variazioni di prezzo a fronte di minimi movimenti dei tassi di interesse. In altri termini, se i rendimenti scendono anche solo di qualche decimo di punto percentuale, il prezzo del titolo può balzare con forza.
Un ritorno di politiche monetarie espansive, magari per contrastare una recessione, potrebbe riportare i tassi verso lo zero, come già visto nel decennio scorso. In questo contesto, chi oggi acquista titoli scambiati a 30 o 40 centesimi per ogni euro di valore nominale potrebbe ritrovarsi con quotazioni raddoppiate. L'appeal speculativo sta proprio nella possibilità di sfruttare un rally improvviso, indipendentemente dall'incasso cedolare.
Il rovescio della medaglia è altrettanto evidente: se le aspettative di inflazione dovessero consolidarsi, i tassi ultralunghi potrebbero salire ulteriormente, facendo scivolare i prezzi ancora più in basso. L'esempio del centennale austriaco, che ha visto il rendimento crescere dal 2,2 al 3,2 % in soli dodici mesi nonostante i tagli della BCE, mostra come la curva ultralunga non segua necessariamente i tassi di breve. Questo scollegamento aumenta la complessità per chi punta a guadagni speculativi.
Un approccio possibile è quello del buy and hold, ossia l'acquisto a prezzi depressi con l'obiettivo di incassare il capitale a scadenza e le cedole nel frattempo. È una strategia che richiede orizzonti temporali pluridecennali e una grande capacità di sopportare la volatilità. Non è quindi adatta a chi ha esigenze di liquidità o una tolleranza al rischio limitata.
Altri preferiscono guardare a strumenti alternativi, come i TIPS americani o le emissioni indicizzate all'inflazione, che oggi offrono rendimenti reali superiori al 2,5 % e proteggono dal rischio di perdita del potere d'acquisto. C'è anche chi esplora il mercato dei fondi obbligazionari flessibili, capaci di modulare la durata e di ridurre l'esposizione ai movimenti dei tassi, pur con costi di gestione più elevati.
Ogni valutazione, per essere realistica, deve includere l'impatto della fiscalità italiana, che riduce sensibilmente i ritorni netti. La decisione d'investire in bond ultralunghi va poi inserita nel quadro macroeconomico: deficit pubblici in crescita, demografia sfavorevole e pressioni geopolitiche possono alterare il profilo di rischio dei titoli governativi anche in paesi con rating elevato.