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Pac agricoltura post 2027: come sarà e cosa prevede e il perché della grande protesta all'Unione Europea

di Marianna Quatraro pubblicato il
Grande protesta all'Unione Europea

Dal 2027 la PAC, pilastro delle politiche agricole UE, cambia volto: tagli, nuove regole, sostenibilità e proteste scuotono il settore. Quali effetti e sfide per agricoltori e territori europei?

Nei prossimi giorni, oltre venti organizzazioni di agricoltori dai 27 Stati membri si ritroveranno a Bruxelles: una mobilitazione che intende dare voce alle inquietudini diffuse circa il futuro della PAC e i suoi effetti sulle aziende, sui territori e sui bilanci nazionali. Il confronto politico e tecnico è aperto da mesi, ma gli equilibri delle campagne appaiono più fragili che mai. Il taglio del budget, le novità sul sistema dei fondi, l'accesa discussione su sostenibilità e strumenti di distribuzione dei sussidi colpiscono direttamente chi lavora la terra.

La protesta nasce da un mix di insoddisfazione riguardo a tagli ritenuti ingiustificati, timori per la perdita di centralità europea dell'agricoltura e una crescente percezione di complessità normativa e incertezza gestionale che rischia di penalizzare le imprese agricole, soprattutto familiari, giovani e nelle aree più svantaggiate. Questo scenario spiega perché la riforma PAC post 2027 viene vissuta, non solo come una nuova stagione di regole, ma come un vero banco di prova per la resilienza e la giustizia sociale nel settore primario europeo.

Le principali novità della riforma PAC post 2027: fondo unico, tagli e nuove regole

La proposta della Commissione europea si distingue per una serie di cambiamenti strutturali che, secondo molti osservatori, segnano una cesura rispetto all'architettura adottata negli ultimi trent'anni. Il principale elemento di discontinuità consiste nell'introduzione del Fondo Unico: FEAGA e FEASR confluiranno in un unico contenitore finanziario insieme ai fondi per la coesione, la pesca e altre priorità.

Questa scelta, se da un lato mira a migliorare la flessibilità e l'efficienza della spesa pubblica comunitaria, dall'altro suscita interrogativi sulla tenuta dell'identità agricola delle politiche UE. Il budget assegnato all'agricoltura, almeno 300 miliardi di euro su sette anni, risulta inferiore di circa il 20-23% rispetto al periodo precedente (2021-2027), segnando un taglio che rappresenta una delle principali fonti di tensione all'interno del settore:

  • Le due principali voci di sostegno vengono accorpate, perdendo così la netta separazione tra misure di supporto al reddito e programmi di investimento territoriale.
  • I pagamenti diretti cambiano forma: si passa da titoli all'aiuto a pagamenti uniformi per ettaro, soggetti a un sistema di degressività obbligatoria oltre i 20.000 euro e con un tetto massimo fissato a 100.000 euro per azienda.
  • Le misure agroambientali vengono integrate in un unico capitolo di intervento, con un'impostazione meno prescrittiva e più orientata agli incentivi volontari che agli obblighi stringenti.
La governance delle risorse sarà più centralizzata, con i Piani strategici nazionali e regionali che dovranno essere definiti in coordinamento tra Commissione, Stati membri e Regioni. Tuttavia, la possibilità per ogni Stato di spostare una parte delle risorse all'interno di questo fondo solleva il timore di una progressiva rinazionalizzazione della PAC e di un aumento delle disparità tra aree forti e deboli.

Infine, la riforma introduce strumenti di gestione della crisi, come la Unity Safety Net (6,3 miliardi di euro), il rafforzamento degli aiuti per i giovani, e premi per aziende innovative o impegnate nella transizione ecologica, ma restano molti punti interrogativi sulla dotazione reale e sull'effettivo accesso da parte delle piccole e medie aziende.

Gli effetti per agricoltori e territori italiani ed europei: rischi e opportunità

L'impatto delle modifiche proposte è rilevante sia per i produttori italiani che per quelli delle varie regioni d'Europa. In particolare, il taglio delle risorse e il passaggio al Fondo unico faranno sentire i loro effetti in modo diverso a seconda delle tipologie aziendali e dell'assetto produttivo dei singoli territori:

  • Riduzione del budget: in Italia la dotazione per le misure agricole pure scende a circa 31 miliardi di euro in sette anni. A livello UE, il calo rischia di comprimere il sostegno al reddito e di ridurre la capacità delle imprese di far fronte ai sempre più frequenti shock economici e climatici.
  • Riorganizzazione dei pagamenti diretti: l'abolizione dei titoli e la loro sostituzione con un modello forfettario rappresentano un cambiamento di paradigma, specie per le aziende più grandi, che potrebbero vedere ridotti i contributi ricevuti. Tuttavia, la degressività e il capping favoriranno una redistribuzione (almeno sulla carta) verso realtà più piccole e giovani.
  • Perdita di autonomia per lo sviluppo rurale: la confluenza dei fondi in un unico piano nazionale determinerebbe una minore incidenza delle regioni, maggiore incertezza nella scelta degli strumenti e tempi più lunghi di programmazione. Questo scenario penalizza soprattutto le filiere ad alta specializzazione, come il vitivinicolo e l'ortofrutta, legate a programmi di settore specifici (OCM) che ora rischiano di essere ridefiniti in modo meno efficace.
  • Rischio di nuove disparità territoriali: la maggiore flessibilità concessa agli Stati membri potrebbe portare a una distribuzione non omogenea dei fondi, con le realtà agricole forti in grado di ottenere maggiore attenzione rispetto a chi opera in aree interne o svantaggiate.
  • Opportunità di innovazione: la nuova PAC pone enfasi su innovazione, digitalizzazione, e ricambio generazionale, introducendo strumenti specifici per agevolare i giovani imprenditori agricoli nell'accesso al credito e investimenti nelle tecnologie. La digitalizzazione, in particolare, viene promossa anche da meccanismi di controllo dei fondi tramite immagini satellitari e sistemi di rendicontazione elettronica.
Permangono tuttavia criticità: la carenza di risorse rischia di rendere marginali i vantaggi derivanti dalle nuove iniziative, specialmente per chi lavora in territori fragili, in un contesto già segnato da invecchiamento degli addetti, calo della redditività e crescente pressione concorrenziale internazionale.

Le motivazioni della protesta degli agricoltori: tagli, complessità, nazionalizzazione e sostenibilità

L'ampia mobilitazione degli agricoltori europei nasce dalla percezione di essere di fronte a una riforma che ridimensiona il peso economico, sociale e strategico dell'agricoltura nell'UE. Nel dettaglio, le ragioni della protesta si articolano su più livelli:

  • Opposizione ai tagli al budget agricolo: le organizzazioni di categoria temono che la riduzione delle risorse, insieme al mancato adeguamento all'inflazione, si traduca in minori sussidi al reddito e in una perdita di competitività a favore di settori diversi da quello primario. Gli 85 miliardi in meno rappresentano un rischio concreto per la tenuta di molte aziende, soprattutto quelle più vulnerabili.
  • Preoccupazione per la fine della PAC comune: la transizione verso un Fondo Unico e il trasferimento di responsabilità gestionali agli Stati membri rischiano di frammentare le politiche strutturali, favorendo la competizione tra Stati invece della cooperazione. Esiste il timore concreto che il settore agricolo venga sacrificato in favore di esigenze legate a coesione territoriale, welfare o difesa.
  • Recrudescenza della complessità amministrativa: l'unificazione delle procedure e la nuova architettura dei piani strategici rendono più difficile la pianificazione aziendale e l'accesso ai contributi, di fatto invertendo la rotta verso la semplificazione tanto auspicata in questi anni. Il rischio che i pagamenti ai beneficiari subiscano ritardi a causa della complessità organizzativa è particolarmente sentito nei paesi a forte regionalizzazione.
  • Perplessità sulla sostenibilità ambientale: numerose associazioni ambientaliste criticano la riforma per la scelta di deboli obblighi ambientali e il rischio che, lasciando la gestione dei fondi in mano agli Stati, vengano meno i criteri minimi per l'adozione di pratiche agroecologiche e la tutela del paesaggio. All'opposto, le rappresentanze di settore giudicano troppo onerosi i vincoli imposti senza un'efficace compensazione economica.
  • Timori per l'esclusione delle Regioni: il nuovo modello mette in dubbio la possibilità di realizzare politiche di sviluppo rurale dal basso, favorendo la centralizzazione e la perdita di flessibilità con cui sono stati portati avanti negli anni molti progetti territoriali innovativi.
A questi elementi si sommano i nodi storici relativi alla distribuzione di aiuti su base dimensionale, alla gestione del rischio, alle incertezze normative e, non ultimo, all'invecchiamento del settore, che rischia di essere aggravato da una diminuzione di investimenti e certezze per il futuro.

Le richieste di agricoltori, associazioni e Parlamento Ue

I rappresentanti del comparto agricolo, le associazioni di categoria e numerosi parlamentari europei hanno avanzato proposte puntuali in sede di dibattito:

  • Salvaguardia di un budget autonomo per l'agricoltura: viene richiesto che la dotazione riservata al settore non venga diluita nel Fondo unico e che sia garantita una soglia minima di risorse vincolate esclusivamente agli investimenti agricoli, aggiornata annualmente all'inflazione.
  • Mantenimento della distinzione tra pagamenti diretti e sviluppo rurale: molti sollecitano la conferma dei due pilastri tradizionali della PAC, evitando la regressione a un sistema poco trasparente e più esposto alle priorità variabili dei governi nazionali.
  • Semplificazione amministrativa reale: è considerato urgente ridurre oneri e burocrazia, con sistemi di controllo moderni e digitali che non penalizzino le aziende ma incentivino la conformità attraverso la formazione e l'accesso a servizi di consulenza specialistici.
  • Rafforzamento degli strumenti per i giovani e per il ricambio generazionale: promuovere credito agevolato, incentivi fiscali e accesso a servizi dedicati, per invertire il trend demografico in agricoltura.
  • Promozione delle pratiche innovative e sostenibili: il Parlamento europeo propone una PAC basata su incentivi, regimi ecologici volontari ma remunerati, sistemi di rendicontazione smart e attenzione centrale agli investimenti in gestione idrica, economia circolare e tutela ambientale.
Emergono anche richieste per la difesa della gestione decentrata dei programmi regionali, la tutela della posizione degli agricoltori nella filiera agroalimentare e regole più eque nella concorrenza internazionale.

La posizione della Commissione europea e le aperture dopo le proteste

Dopo la levata di scudi da parte di governi, parlamento e associazioni di categoria, la Commissione europea ha mostrato alcune timide aperture. Pur rivendicando la necessità di una riforma in grado di affrontare le nuove sfide (volatilità dei mercati, transizioni green e digitali, invecchiamento della popolazione agricola), Bruxelles ha prospettato possibili correttivi su alcuni nodi sensibili:

  • Intenzione di conservare pagamenti diretti autonomi dalle altre politiche, garantendo almeno una soglia minima protetta per agricoltori attivi e professionali.
  • Proposta di riserva del 10% dei fondi nazionali per sostenere nuovi obiettivi rurali, servizi e infrastrutture.
  • Apertura a una maggiore flessibilità nella gestione dei programmi regionali e possibili semplificazioni sulle condizioni di accesso ai sussidi.
  • Dialogo tecnico aperto con le Regioni italiane e gli altri Stati membri per definire soluzioni più funzionali alla competitività e alla coesione territoriale.
La Commissione conferma comunque che la razionalizzazione della spesa pubblica e una maggiore responsabilità degli Stati restano capisaldi della nuova architettura finanziaria. Tuttavia, la lettera inviata all'Europarlamento dalla Presidente Ursula von der Leyen riconosce come priorità il sostegno diretto agli agricoltori e la semplificazione delle procedure, soprattutto per le piccole e medie aziende agricole.