Dall'nchiesta sul celebre panino Camogli di Autogrill emergono storia, costi reali, meccanismi di produzione spesso opachi, condizioni di lavoro discutibili e rischi per la sicurezza alimentare, offrendo uno spaccato inedito del food on the road italiano.
l nome "Camogli" evoca per molti viaggiatori italiani una pausa veloce tra un casello e l’altro, un attimo di ristoro nelle lunghe traversate autostradali. Negli ultimi mesi, però, questo celebre panino è divenuto oggetto di intensa discussione mediatica, attirando l’attenzione per alcune pratiche opache nella sua filiera di produzione e commercializzazione. Un’indagine giornalistica dell’attuale stagione del programma Farwest su Rai3 ha svelato dinamiche poco conosciute: prezzi di vendita elevati e margini di guadagno esorbitanti, in contrasto con i bassissimi costi di produzione. Ancora più allarmante, l’inchiesta ha portato alla luce criticità riguardanti la trasparenza, la sicurezza alimentare e la tutela dei lavoratori coinvolti, imponendo una riflessione su uno dei simboli dell’autostrada italiana.
Tra i panini della ristorazione veloce italiana, il Camogli rappresenta forse il prodotto più iconico per chi viaggia. Lanciato nelle aree di sosta negli anni Ottanta, il Camogli è stato ideato come una risposta semplice e accessibile al bisogno di un pasto veloce e familiare, in grado di soddisfare le esigenze di automobilisti e autotrasportatori. Il suo successo si fonda su una ricetta elementare – panino morbido, prosciutto cotto e formaggio fuso – pensata per essere rassicurante e sempre uguale ovunque, sinonimo di affidabilità e riconoscibilità.
Nel tempo, il Camogli è diventato una sorta di “rito” italiano, condiviso da milioni di viaggiatori: una costante sulle autostrade della Penisola, spesso associata alle prime esperienze di viaggio, alle soste in famiglia, alle trasferte lavorative. “Era quasi un passaggio obbligato ordinare un Camogli quando si viaggiava in autostrada negli anni novanta”, ricordano molti clienti abituali. L’evoluzione delle aree di servizio e l’ampliamento delle loro offerte gastronomiche non ne hanno scalfito il primato; al contrario, la presenza capillare e il branding coerente hanno cementato l’immagine del prodotto nell’immaginario collettivo. Il panino Camogli sopravvive oggi come simbolo di italianità in viaggio, anche se la sua immagine glorificata è stata recentemente messa in discussione dalle rivelazioni emerse grazie a indagini giornalistiche di rilievo.
Uno degli aspetti più eclatanti dell’emergere del caso riguarda la differenza abissale tra il prezzo al pubblico e il costo di produzione del celebre snack. L’indagine di Farwest ha rilevato, grazie a documenti industriali e testimonianze, che il costo per realizzare un Camogli si aggirava intorno a 1,66 euro, secondo le forniture di Richetti Spa, storica azienda abruzzese fino al 2024 incaricata della preparazione del prodotto.
Nonostante la sua natura di semplice panino preconfezionato, il prezzo richiesto nei punti di vendita può raggiungere e superare gli 8 euro in alcune stazioni autostradali. Questo squilibrio genera margini di guadagno fino al 500% per la catena che ne controlla la commercializzazione. Tali cifre sono confermate dalle verifiche effettuate dal programma Rai e da scontrini raccolti da consumatori: nessun altro costo intermedio sembra giustificare simili ricarichi.
| Voce di costo | Importo (€) |
| Costo di produzione (per panino) | 1,66 |
| Prezzo di vendita medio | 8,00 |
| Margine di profitto teorico | ~500% |
Questo modello è stato esteso anche ad altri prodotti delle aree di servizio, evidenziando una pratica commerciale particolarmente aggressiva. Per esempio, una bottiglia d’acqua può arrivare a costare più di 3 euro, identica a quella venduta nei supermercati a un prezzo anche cinque volte inferiore.
Le ragioni addotte per giustificare questi prezzi, come i costi logistici e la disponibilità continuativa, appaiono deboli di fronte ai dati emersi, alimentando sospetti sulla reale volontà di garantire un rapporto equilibrato tra qualità e prezzo. La pubblica opinione si è mostrata sempre più attenta nell’analizzare la legittimità di certe strategie di ricarico, contribuendo ad amplificare la risonanza del caso mediatico.
Un altro snodo chiave dell’inchiesta interessa l’analisi della filiera produttiva: negli ultimi anni, alla storica azienda alimentare incaricata della realizzazione del Camogli si è affiancata una società terza, la Red srl di San Benedetto del Tronto. I passaggi rivelati dagli autori di Farwest mettono in luce come una parte significativa della preparazione del panino sia stata subappaltata a questa cooperativa di pulizie.
L’operazione nasce dalla necessità di contenere i costi per sostenere i margini contrattuali imposti. Tuttavia, così facendo, la produzione alimentare è finita nelle mani di personale con contratti multiservizi non specificamente previsti per la manipolazione di alimenti. Il ricorso a subappalti del genere, lungi dall’essere una prassi marginale, risulta diffuso nell’industria della ristorazione industriale, ma nel caso del Camogli ha posto seri interrogativi di natura legale e sociale.
Elementi di rilievo di questa pratica:
Uno degli interrogativi più sentiti riguarda le condizioni di lavoro dei dipendenti delle cooperative incaricate del confezionamento. Dai resoconti sindacali raccolti anche dalla Flai Cgil di Teramo emergono scenari critici: lavoratori assunti con contratti “pirata” multiservizi, inadeguati alla mansione di manipolazione di alimenti e paghe orarie inferiori a quelle previste dalla contrattazione collettiva per il settore alimentare.
Le testimonianze raccolte dai giornalisti danno voce a una realtà fatta di ampie fasce orarie, scarsa sicurezza e mancanza di tutele efficaci. Per anni, le retribuzioni si sono attestate appena sopra la soglia di sussistenza, costringendo molti lavoratori a ricorrere a rappresentanze sindacali per ottenere condizioni più dignitose. Grazie a una serie di vertenze, nel 2024 si sono raggiunti aumenti salariali e una maggiore attenzione alle condizioni di lavoro, ma solo dopo aspre trattative e sacrifici personali da parte degli addetti.
L’esperienza documentata mette in evidenza i limiti del ricorso a contratti non conformi quando si vuole garantire sicurezza e legalità in filiere alimentari destinate a grandi volumi di clientela. Il rischio che pratiche simili vengano replicate altrove nella ristorazione resta elevato, sottolineando la necessità di applicare i principi delle norme che disciplinano il settore alimentare e i diritti dei lavoratori, come previsti dallo Statuto dei Lavoratori e dai principali contratti collettivi nazionali.
La delega della produzione alimentare a soggetti estranei alla filiera classica ha acceso i riflettori sulla trasparenza, punto nevralgico per la sicurezza pubblica. Analizzare il caso del Camogli significa anche interrogarsi sulle garanzie igieniche offerte da processi produttivi gestiti da cooperative di pulizie con personale non qualificato in materia di alimentazione, come emerso dall’inchiesta Farwest.