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Pensioni, a sorpresa si potrebbe uscire prima grazie alle minori aspettative di vita per i nati dal 1939 in avanti

di Marianna Quatraro pubblicato il
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Secondo i recenti studi, l'aspettativa di vita tende a diminuire soprattutto per i nati dopo il 1939: quali sono gli effetti sull'età pensionabile

Negli ultimi anni, il legame tra sistemi previdenziali e dinamiche demografiche è diventato sempre più stretto. In Italia, le discussioni sulla sospensione dell’adeguamento automatico dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita pongono l’attenzione su un equilibrio delicato. Da un lato, è necessario garantire sostenibilità finanziaria e adeguatezza degli assegni; dall’altro, occorre rispondere ai cambiamenti delle condizioni di salute e longevità della popolazione. Questo scenario è fortemente influenzato da oscillazioni nelle aspettative di vita registrate negli ultimi anni, che incidono non solo sui requisiti di accesso, ma anche sugli importi delle pensioni future, sollevando interrogativi sulla giustizia intergenerazionale e sulla tenuta del sistema per le generazioni nate a partire dal 1939.

Recenti dati sull’aspettativa di vita: analisi degli studi internazionali e nazionali

La recente evoluzione delle aspettative di vita in Italia trova riscontro sia nei dati prodotti dall’Istat sia nelle analisi di rilievo internazionale. Secondo gli ultimi report Istat riferiti al periodo post-pandemico, la speranza di vita alla nascita si è attestata intorno agli 82,7 anni, evidenziando però fluttuazioni significative per effetto della crisi sanitaria. Se osservata la fascia degli over 65, la speranza di vita si è attestata nel 2024 a 21,2 anni, valore che contribuisce direttamente alla determinazione dei requisiti pensionistici.

Dallo scenario internazionale arrivano conferme e nuove prospettive. Lo studio coordinato da José Andrade presso il Max Planck Institute for Demographic Research, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNas), mostra come le interruzioni legate a imprevedibili shock sanitari, in primis la pandemia, abbiano prodotto una riduzione delle aspettative di vita  in molte nazioni avanzate. Anche la ricerca pubblicata su Nature da Luke Grant evidenzia una decelerazione nella crescita dell’aspettativa di vita a livello europeo, soprattutto a causa di fattori epidemiologici che hanno colpito anche l’Italia. 

Questi studi sottolineano come l’Italia non sia un caso isolato, ma parte di un trend continentale in cui le oscillazioni della longevità incidono direttamente sulle prospettive di sostenibilità degli istituti previdenziali.

Le cause dell’abbassamento delle aspettative di vita: fattori demografici, sanitari e sociali

Le riduzioni registrate nell’aspettativa di vita negli ultimi anni derivano da una combinazione di fattori, ciascuno con un peso specifico sul quadro demografico generale. Sul piano sanitario, la pandemia da Covid-19 ha rappresentato l’evento esogeno di maggior impatto, causando un eccesso di mortalità concentrato soprattutto tra le fasce più anziane e determinando una temporanea, ma netta, riduzione delle medie di longevità. 

Oltre agli effetti diretti delle crisi sanitarie, altri fattori rilevanti sono:

  • Invecchiamento della popolazione: una crescita della quota di cittadini ultrasettantenni, che aumenta la vulnerabilità a patologie croniche e condizioni di fragilità.
  • Disparità territoriali e socio-economiche: differenze tra Nord e Sud, nonché la presenza di aree svantaggiate dal punto di vista dell’accesso ai servizi sanitari.
  • Stili di vita e fattori ambientali: aumento di comportamenti a rischio, come sedentarietà e consumo di alimenti ipercalorici, insieme a problematiche ambientali che incidono sulla salute pubblica.
  • Indicatori di povertà e vulnerabilità sociale: una parte crescente della popolazione anziana vive in condizioni di disagio economico, con impatti su alimentazione, accesso a cure e qualità della vita.

Meccanismi di adeguamento delle età pensionabili alle variazioni dell’aspettativa di vita

Il sistema pensionistico italiano prevede, dal 2009, l’adeguamento automatico dei requisiti di accesso all’evoluzione della speranza di vita. Questa disciplina, introdotta per garantire sostenibilità finanziaria e corrispondenza tra durata del periodo lavorativo e periodo di erogazione delle pensioni, è normata attraverso espliciti meccanismi di aggiornamento biennale che coinvolgono sia l’età pensionabile sia i requisiti contributivi.

Ogni due anni, l’Istat verifica la variazione della speranza di vita rispetto al biennio precedente; se il parametro cresce, aumenta contestualmente il requisito anagrafico richiesto per accedere alla pensione di vecchiaia e a quelle anticipate. Per esempio:

  • Pensione di vecchiaia: incremento da 67 a 67 anni e 3 mesi dal 2027 secondo le ultime stime ufficiali.
  • Pensione anticipata: per gli uomini da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e un mese di contributi; per le donne da 41 anni e 10 mesi a 42 anni e un mese.
Il sistema pensionistico vigente non prevede, però, una riduzione dei requisiti in caso di diminuzione della speranza di vita, ma solo una compensazione nelle rilevazioni successive. 

Effetti delle aspettative di vita più basse sulle pensioni dei nati dal 1939 e sulle generazioni successive

Il calo delle aspettative di vita comporta effetti diretti e indiretti sui trattamenti pensionistici. Per i nati dal 1939, che nel corso degli anni hanno assistito a trasformazioni profonde del sistema, e per le generazioni seguenti, il principale impatto della riduzione delle aspettative di vita si riflette principalmente sull'età di uscita lavoro. L’adeguamento automatico dei requisiti agisce, infatti, su tre fronti:

  • Allungamento dell’età di accesso: anche minime variazioni della speranza di vita si traducono in slittamenti in avanti dei requisiti anagrafici, rendendo necessario lavorare più a lungo o attendere ulteriori mesi per la maturazione del diritto.
  • Ricalcolo più penalizzante dell’assegno: i coefficienti di trasformazione, aggiornati su base biennale, tendono a ridursi se la longevità media aumenta; ciò determina una minore rendita annua, anche per chi soddisfa i medesimi criteri anagrafici e contributivi.
  • Impatto sulle carriere discontinue: i soggetti che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, e rientrano nel regime totalmente contributivo, risentono maggiormente delle oscillazioni, specie in presenza di percorsi lavorativi frammentati e bassi salari.
Se, però, l'aspettativa di vita non aumento, il momento per andare in pensione non ritarda, ma si blocca, considerando che non si può ridurre. Ciò significa evitare a moltissimi lavoratori di dover ritardare l'uscita dal lavoro e permetter loro così di collocarsi prima a riposo.