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Perché appena si sottoscrive un fondo comune di investimento si inizia a perdere? La spiegazione con esempi

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Fondo comune di investimento

Quando un investitore sottoscrive un fondo comune, non tutto il capitale versato viene destinato all'acquisto di strumenti finanziari.

Ci si affida a una banca per un fondo comune di investimento, ci si fida di un promotore, si sottoscrive un modulo e si ha la sensazione di aver fatto qualcosa di intelligente per il proprio futuro. Ma già dal giorno successivo in cui l'operazione viene finalizzata, il capitale comincia a diminuire. Perché accade questo paradosso? Perché l'industria del risparmio gestito sembra pensata per penalizzare chi investe?

Secondo quanto documentato da Costantino Forgione in un'analisi pubblicata su Econopoly (Il Sole 24 Ore), la risposta si cela in un insieme di dinamiche tanto tecniche quanto sistemiche, che mescolano costi occulti, inefficienze gestionali, interessi bancari e una sostanziale asimmetria informativa tra chi vende il fondo e chi lo sottoscrive. Approfondiamo la questione:

  • Come le commissioni divorano il capitale nei fondi di investimento
  • Quando guadagni meno del mercato, anche se pensi di vincere
  • L'inganno dell'interesse composto

Come le commissioni divorano il capitale nei fondi di investimento

Quando un investitore sottoscrive un fondo comune, non tutto il capitale versato viene destinato all'acquisto di strumenti finanziari. Una parte consistente viene trattenuta sotto forma di commissioni. Alcune sono palesi ma molte altre si celano all'interno del fondo stesso, prelevate silenziosamente e in modo ricorrente.

Le commissioni di gestione remunerano il team di analisti e portfolio manager incaricati di prendere decisioni di investimento. A queste si aggiungono le commissioni di distribuzione, che sono il guadagno della banca o del promotore finanziario che ha collocato il prodotto. Non è raro poi che vi siano commissioni di performance, cioè un extra prelievo che scatta se il fondo supera una certa soglia di rendimento. Infine, in alcuni casi si pagano commissioni di rimborso se si disinveste prima di un certo termine.

Tutte queste spese non sono dettagli marginali. Forgione racconta su Econopoly il caso di un fondo ampiamente distribuito in Italia con un costo annuo complessivo dell'8,73%. In altre parole, in un anno, quasi un decimo del capitale del cliente si dissolve in costi, senza che questi se ne renda conto. Anche se il fondo di investimento ha un rendimento positivo, il margine netto che resta al risparmiatore viene eroso fino a diventare insignificante.

Quando guadagni meno del mercato, anche se pensi di vincere

Il secondo aspetto riguarda la gestione attiva del fondo. Un fondo comune viene venduto con la promessa che un team di esperti selezionerà i titoli migliori, superando così il rendimento medio del mercato. Questa promessa si realizza raramente. Gli studi di Mediobanca, SPIVA e ESMA lo dimostrano con chiarezza: tra l'83% e il 98% dei fondi comuni rende meno del benchmark di riferimento, cioè dell'indice che rappresenta il mercato su cui il fondo investe.

Il risultato è sconcertante: si paga una gestione attiva, ma ci si ritrova con rendimenti inferiori a quelli che si sarebbero ottenuti investendo passivamente in un ETF indicizzato, e pagando un decimo delle commissioni. La distruzione di valore di cui parla Mediobanca non è solo una formula accademica: è la realtà quotidiana di milioni di italiani che, convinti di fare un investimento prudente, stanno in realtà regalando parte del loro capitale al sistema bancario.

Un esempio citato riguarda un fondo che ha reso il 49% in cinque anni. Nulla di cui lamentarsi, apparentemente. Peccato che l'indice di riferimento nello stesso periodo sia cresciuto del 164%. Il confronto è impietoso. Chi ha investito 10.000 euro in quel fondo si ritrova con 14.900 euro, mentre avrebbe potuto averne 26.400. Una differenza di 11.500 euro che si traduce in una perdita secca di opportunità.

L'inganno dell'interesse composto

Uno degli assunti più potenti della finanza personale è il concetto di interesse composto: lasciando lavorare i propri soldi per anni, si può ottenere una crescita esponenziale del capitale. Ma questo principio funziona solo se il capitale non viene continuamente eroso.

Le commissioni dei fondi comuni, prelevate ogni anno, frenano l'accumulo e ne riducono il potenziale. Non è solo questione di pagare il 2% annuo. È che quel 2%, sottratto oggi, non potrà generare rendimento domani. E così, nel tempo, il capitale cresce meno, molto meno.

Se si investono 100.000 euro in un fondo che costa il 2,5% annuo, e il mercato cresce del 5% l'anno, dopo dieci anni ci si aspetta di aver guadagnato 62.889 euro. Ma in realtà, il risultato netto sarà di soli 26.455 euro. Con l'impatto delle tasse e dell'imposta di bollo, si scende a 17.297 euro. Più del 70% del rendimento potenziale viene perso, mentre il rischio resta tutto a carico dell'investitore.