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Perché l'Italia con tutte le sue contraddizioni potrebbe essere un modello di crescita per l'Ue anche rispetto alla Spegna

di Marcello Tansini pubblicato il
Ue anche rispetto alla Spegna

L'Italia, tra contraddizioni e resilienza, affronta la sfida della crescita in Europa. Modelli economici, finanza pubblica, ruolo delle riforme e possibili nuovi equilibri rispetto a Spagna e UE.

L'Italia si trova spesso al centro di dibattiti economici e politici per la sua peculiare combinazione di eccellenze produttive e fragilità strutturali. Questa tensione interna si riflette nelle contraddizioni che da sempre attraversano il tessuto sociale, dalle differenze Nord-Sud ai persistenti squilibri tra crescita e debito. Tuttavia, proprio questa complessità sta suggerendo alla società italiana nuove strade di sviluppo che attraggono l'attenzione europea, in particolare in un quadro continentale segnato da difficoltà di crescita e incertezze regolamentari. Se tradizionalmente le rigidità e le debolezze italiane sembravano ostacoli, oggi sempre più spesso vengono percepite come stimolo alla resilienza e alla ricerca di soluzioni innovative.

Bisogna quindi interrogarsi su come uno Stato con una storia così ricca di contrasti possa offrire insegnamenti agli altri membri dell'Unione Europea, specialmente rispetto a economie come quella spagnola che hanno seguito percorsi in apparenza molto diversi. L'esperienza italiana insegna che modelli monolitici o ricette uniche a livello europeo rischiano di rivelarsi inadeguati di fronte a realtà tanto sfaccettate: occorre piuttosto valorizzare le specificità nazionali e tradurle in leve di crescita condivisa.

L'evoluzione dei modelli di crescita europei: export, debito e domanda interna

Negli ultimi vent'anni, il sistema economico europeo si è confrontato con modelli di sviluppo profondamente diversi. La nascita dell'Eurozona, sancita dal Trattato di Maastricht, ha infatti inciso in modo significativo sulle modalità di crescita degli Stati membri, privilegiando una stabilità finanziaria spesso perseguita a scapito di investimenti e domanda interna. Due paradigmi si sono affermati: quello export-led trainato dalle esportazioni - tipico della Germania - e quello basato su debito e domanda interna - osservato in paesi come la Spagna:

  • Modello tedesco export-led: ha costruito la sua forza sul contenimento salariale, su industrie avanzate e una politica economica centrata sull'attivo commerciale. Dal 1995 al 2008, l'85% della crescita tedesca è stata attribuita all'export. Questa strategia ha sollevato la Germania come locomotiva continentale, ma l'ha anche esposta ai mutamenti della domanda globale: oggi, le difficoltà legate alla transizione verde e alla digitalizzazione stanno mettendo sotto pressione un modello che fatica a trovare nuovo slancio.
  • Modello spagnolo: negli anni 2000 la Spagna ha cavalcato la crescita della domanda interna e una politica espansiva del credito, favorita da tassi d'interesse bassi e dall'assenza del vincolo di bilancia dei pagamenti. Questo ha generato dinamismo economico, ma anche una vulnerabilità marcata quando la crisi finanziaria e dei debiti sovrani ha riportato l'accento sui limiti dell'indebitamento.
La coesistenza di questi modelli si è incrinata dopo la crisi dei debiti sovrani: la risposta europea, centrata sull'austerità, ha imposto politiche pro-cicliche che hanno colpito soprattutto i paesi più fragili, riducendo drasticamente la domanda interna e spingendo anche l'Italia verso una maggiore dipendenza dalle esportazioni. La BCE, fino al 2012, ha lasciato inoltre limitato spazio di manovra alle economie nazionali, irrigidendo il quadro.

Oggi, la stagnazione dell'Eurozona è riconosciuta apertamente anche dalla presidente della BCE Christine Lagarde, che pone l'accento sull'esigenza di mobilitare investimenti e riforme strutturali, piuttosto che seguire dogmi di rigore incapaci di generare sviluppo sostenibile. Emerge quindi la necessità di un approccio più flessibile, capace di integrare - senza imporre - peculiarità nazionali, come dimostra il percorso italiano di questi ultimi anni.

L'Italia tra resilienza economica, produttività e nuovi equilibri Nord-Sud

Nel decennio trascorso, la situazione interna italiana si è evoluta superando alcuni degli stereotipi che da sempre accompagnano la sua economia. L'ultimo triennio ha restituito l'immagine di un Paese resiliente alle crisi, capace di ritrovare slancio grazie a una combinazione di forza industriale, diversificazione settoriale e capacità di innovazione, anche in presenza di lacune storiche.

I dati raccontano di:

  • Una robusta crescita del PIL (2020-2024): superiore a Francia, Germania e Spagna nella fase post-pandemica, con un incremento reale del 6,1% contro una media UE nettamente inferiore. Questo risultato, secondo diversi economisti, rafforza la posizione della nazione tra le economie avanzate in ripartenza.
  • Occupazione ai massimi storici: con 24,2 milioni di lavoratori, anche il Sud ha sorpreso con una crescita dei posti di lavoro di oltre l'8% dal 2019, segnando un nuovo equilibrio territoriale che testimonia una maggiore inclusione delle regioni meridionali nei processi di sviluppo nazionale.
  • Produttività competitiva: ricalcolando i dati esclusivamente sulle imprese superiori ai 20 dipendenti, l'efficienza media italiana supera quella tedesca nelle industrie di punta (oltre 118 mila euro di valore aggiunto per occupato). La struttura produttiva flessibile, composta da una filiera di micro, piccole e medie imprese, resta un punto di forza nonostante gli storici limiti legati alla dimensione aziendale.
  • Export e turismo: le esportazioni hanno superato il Giappone e la performance turistica, in costante crescita (+17,7% arrivi rispetto al periodo pre-Covid), ha rafforzato il saldo della bilancia dei pagamenti.
Permanenza di contrasti: Se la posizione patrimoniale sull'estero e la ricchezza delle famiglie emergono tra le più solide d'Europa, persistono punti critici come il rischio sociale in alcune aree meridionali e un divario energetico che grava sulla competitività delle imprese.

L'esperienza più recente insegna però che la capacità di far sistema, la ricerca di innovazione e la coesione produttiva tra Nord e Sud stanno trasformando l'Italia da malato d'Europa a laboratorio di adattamento economico, suscitando interesse in un continente che cerca risposte alle proprie difficoltà condivise.

Finanza pubblica e debito: la posizione italiana rispetto a Spagna, Francia e Germania

Un'analisi comparata dei conti pubblici rivela come l'Italia si posizioni oggi in modo più solido rispetto a molte rappresentazioni passate, soprattutto se confrontata con altri grandi partner europei. Negli ultimi anni, la gestione prudente della spesa e la coerenza delle politiche fiscali hanno favorito un miglioramento della percezione sui mercati finanziari:

  • Deficit contenuto: il rapporto deficit/PIL è sceso a livelli prossimi al 2,8%, una soglia inferiore al limite comunitario e più bassa rispetto al recente deficit francese (quasi 6%). Questa performance ha ridotto lo spread tra titoli decennali italiani e tedeschi a 0,75 punti, meno della Francia (0,79), segnando così un sorpasso storico sulla solidità percepita a livello europeo.
  • Debito pubblico in mani italiane: circa il 19% del debito è detenuto da famiglie e imprese, un dato che, al netto degli oneri effettivi, abbassa l'esposizione netta del Paese a valori comparabili se non inferiori a quelli francesi. Questo favorisce la stabilità in caso di tensioni esterne sui mercati.
  • Prospettive di stabilità: se le eredità dei superbonus porteranno una crescita temporanea del debito/PIL, le previsioni indicano una stabilizzazione intorno al 137% entro il 2030, con un sorpasso atteso da parte degli Stati Uniti già nel 2029.
  • Mercati e rating: i giudizi delle principali agenzie di rating sono tornati positivi e la forza del sistema bancario sostiene la credibilità finanziaria internazionale, superando così l'immagine tradizionalmente pessimistica sulle prospettive del debito nazionale.
A differenza della Spagna, che ha beneficiato di una fase espansiva favorita da credito facile e investimenti immobiliari ma resta esposta alla volatilità, o della Francia, alle prese con un debito che supera il 113% del PIL e con forti tensioni politiche interne, la posizione italiana è percepita oggi come più stabile. Anche rispetto alla Germania, il cui modello di bilancio in equilibrio è stato abbandonato per rilanciare investimenti e difesa, Roma mostra una coerenza considerata rassicurante dagli osservatori finanziari.

Patto di Stabilità e nuove regole UE: opportunità e limiti per l'Italia

Il riassetto delle regole fiscali europee, avviato con la riforma del Patto di Stabilità e Crescita, offre agli Stati una maggiore flessibilità rispetto al passato, ma mantiene principi stringenti per la sostenibilità del debito. Per l'Italia, il cambiamento rappresenta una leva potenziale per alimentare la crescita, a condizione di una gestione coraggiosa delle riforme strutturali:

  • Contenuti del nuovo Patto: le soglie sul deficit (3%) e sul debito/PIL (60%) restano in vigore, ma si introducono strumenti che riducono il rischio di politiche procicliche e offrono margine d'azione in caso di crisi o per finanziare investimenti strategici.
  • Opportunità per l'Italia: la combinazione dell'uscita dalle procedure di infrazione europea e della stabilità politica permette oggi a Roma di allinearsi verso un percorso di riduzione del debito più sostenibile. Tuttavia, la riforma impone ancora scelte politicamente complesse come il controllo della spesa pensionistica e la revisione della spesa pubblica.
  • Criticità: rimangono i dubbi sull'efficacia immediata delle nuove regole, poiché la tempistica degli interventi potrebbe non essere pienamente allineata ai cicli economici reali, rischiando di conservare una certa prociclicità del sistema.
Secondo le analisi più recenti, il vero salto di qualità consisterà nella capacità italiana di completare le riforme già avviate (giustizia, pubblica amministrazione, lavoro) e di indirizzare la spesa verso settori con effettivo impatto moltiplicativo sulla produttività e sull'innovazione, sfruttando le nuove finestre di opportunità offerte dal quadro normativo europeo.

Investimenti, innovazione e il ruolo delle riforme per la crescita sostenibile

Per superare i limiti strutturali dell'area euro e agganciare la crescita globale, la strada - secondo molti osservatori - passa dall'aumento degli investimenti pubblici e privati, dalla promozione dell'innovazione e dalla prosecuzione decisa delle riforme strutturali.

La presidente della BCE ha più volte rimarcato la necessità di una sinergia tra politica di bilancio e politica monetaria, come avvenuto durante la pandemia, per stabilizzare e rilanciare le economie europee. In questo scenario, l'Italia mostra segnali di dinamismo interessanti:

  • Investimenti in transizione verde e digitale: i piani nazionali e il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) stanno contribuendo alla modernizzazione infrastrutturale e alla decarbonizzazione del sistema produttivo, anche se permangono sfide su efficienza e rapidità di spesa.
  • Riforme per il mercato del lavoro e la Pubblica Amministrazione: questi interventi, se completati, aumenteranno la capacità dello Stato di accompagnare le imprese nella trasformazione tecnologica e nei mercati globali.
  • Mobilitazione dei capitali privati: la reputazione riguadagnata sui mercati, unita a una base patrimoniale privata ampia e solida, offre margini per coinvolgere capitali domestici in progetti industriali e innovativi.
L'esperienza dimostra che settori chiave, come la manifattura avanzata, il turismo e le eccellenze del made in Italy, possono costituire la base per una crescita sostenibile e meno dipendente dalla volatilità dei mercati esterni. Il vero terreno di confronto con i competitor globali resta la produttività e la capacità di attrarre progetti ad alto valore aggiunto, anche attraverso una più chiara distinzione tra investimenti e spesa corrente nelle regole fiscali comunitarie.