Le previsioni sui prezzi del petrolio per il 2026 segnano un punto cruciale per il mercato globale, con impatti diretti su diesel e benzina in Italia, già influenzati dalle recenti modifiche legislative sulle accise e dalle incertezze geopolitiche.
L’orizzonte petrolifero per il 2026 si profila attraversato da trasformazioni significative che riguardano non solo il valore del greggio, ma anche i costi finale per diesel e benzina alla pompa, soprattutto in Italia. Le novità normative sulle accise, il continuo confronto tra offerta e domanda globale e l’instabilità geopolitica disegnano scenari in cui analisti, operatori e consumatori si interrogano sull’evoluzione dei prezzi e sulle possibili ripercussioni per famiglie e imprese. Questa analisi, fondata su dati e proiezioni aggiornati, mira a presentare un quadro affidabile e multidimensionale, prendendo in esame le interpretazioni dei principali osservatori mondiali e fonti autorevoli del settore energetico.
Il 2026 rappresenta un anno nevralgico per il mercato petrolifero globale. Dopo un periodo segnato da volatilità e continue revisioni, le prospettive per il prossimo anno sono il risultato dell’analisi incrociata di istituzioni come OPEC, IEA ed i principali istituti finanziari mondiali. La produzione di greggio rimane elevata, sostenuta da Stati Uniti, Brasile e Guyana, mentre la domanda cresce ma con ritmo inferiore rispetto agli anni precedenti.
Secondo i più recenti rapporti, il prezzo del Brent dovrebbe oscillare tra i 58 e i 65 dollari al barile nella prima metà dell’anno, con possibilità di recuperi moderati solo in caso di eventi imprevisti che limitino l’offerta. Goldman Sachs stima per il 2026 un Brent medio attorno a 56 dollari al barile, WTI a 52 dollari, riflettendo uno scenario di surplus dovuto alla maggiore produzione e a una domanda sostenuta ma meno dinamica. D’altro canto, Bloomberg Intelligence sottolinea che la forchetta delle possibili valutazioni per il prossimo anno resta ampia: il Brent potrebbe muoversi in uno spettro compreso tra 60 e 75 dollari (45% di probabilità), scendere tra 50 e 60 dollari (35%), toccare livelli superiori ai 75 in caso di tensioni geopolitiche (10%) oppure scivolare sotto i 50 dollari (5%). Gli estremi, eventi connessi a shock come conflitti maggiori, possono temporaneamente sospingere il greggio sopra i 100 dollari.
L’interpretazione condivisa dagli osservatori qualificati è che ci si trovi davanti a una fase di equilibrio instabile, con potenziali di revisione rapida dello scenario alla luce di variabili politiche e produttive ancora aperte.
L’Organizzazione dei Paesi esportatori (OPEC) ha recentemente ridotto le proprie aspettative sulla richiesta globale, portando la previsione a 43 milioni di barili al giorno per il 2026, con un calo di 100.000 barili rispetto alle stime precedenti. Tale dato implica un eccesso di offerta potenziale di 20.000 barili/giorno se la produzione proseguirà sui livelli attuali.
Anche la IEA (International Energy Agency) ha confermato il surplus per il prossimo anno, pur indicando che la crescita della domanda subirà un lieve rialzo grazie al miglioramento delle prospettive macroeconomiche. Si evidenzia come la componente materie prime petrolchimiche – ad esempio plastiche e fertilizzanti – dominerà la crescita, mentre il gasolio e i combustibili meno “nobili” perderanno terreno a vantaggio di gas naturale e fonti rinnovabili.
La convergenza di stime tra OPEC e IEA consolida un quadro di eccesso di offerta moderato, venutosi a creare sia per l’aumento dei volumi estratti, sia per un’accelerazione delle politiche di transizione energetica. Le scorte mondiali si attestano su livelli massimi degli ultimi quattro anni, segnale di un mercato ben fornito.
Le oscillazioni del Brent e del West Texas Intermediate (WTI) vengono studiate con attenzione dagli analisti per anticipare i possibili riflessi sull’economia reale. Secondo i principali report provenienti da Bloomberg Intelligence e banche d’affari, lo scenario base vede prezzi in area 60-75 dollari al barile, ma con varianti molto significative.
Tra i fattori che potrebbero alterare repentinamente la traiettoria dei prezzi figurano:
In sintesi, la tendenza attuale indica una fase di relativa calma, con modeste oscillazioni attorno agli attuali livelli, ma con vulnerabilità estrema agli shock esterni.
L’andamento del mercato petrolifero si rifletterà direttamente sui prezzi del carburante in Italia, influenzando non solo i costi industriali ma anche l’intera filiera distributiva. Secondo l’ultima analisi fornita da Goldman Sachs, con Brent e WTI previsti su livelli inferiori rispetto agli anni passati, sono attese pressioni al ribasso anche sui listini di benzina e diesel lungo la Penisola.
Occorre però sottolineare che i carburanti italiani restano tra i più tassati in Europa: accise e imposte rappresentano una quota superiore al 50% del prezzo finale alla pompa. La recente tendenza verso una maggiore produzione globale dovrebbe portare a un calo dei costi all’ingrosso e, di riflesso, offrire spazi per una riduzione al dettaglio, purché non intervengano altri fattori a compensare questo vantaggio.
Ecco i principali elementi che incidono sui prezzi per automobilisti e trasportatori:
Il 2026 segna l’applicazione di una nuova disciplina sulle accise in Italia, introdotta per allineare l’ordinamento nazionale agli standard europei e per garantire una maggiore trasparenza fiscale. Il nuovo assetto prevede una rimodulazione delle aliquote con l’obiettivo di rendere più flessibile la componente fiscale rispetto alle variazioni di mercato e di limitare, almeno in parte, l’effetto domino degli aumenti internazionali sul prezzo finale.
Tra le principali novità introdotte, si segnalano: