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Quando si configura il mobbing sul lavoro? Le condizioni che devono esserci e conseguenze per sentenze Cassazione

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Mobbing sul lavoro

Il mobbing sul lavoro rappresenta un fenomeno complesso, riconosciuto dalla Cassazione secondo precisi requisiti. Definizioni, distinzioni giuridiche, responsabilit, conseguenze e tutele per lavoratori e aziende.

Mobbing è un termine entrato nel lessico giuridico e sociale italiano a partire dagli anni '80, per indicare forme di vessazione psicologica e morale sistematica all'interno del contesto lavorativo. Questa espressione identifica una sequenza organizzata di comportamenti ostili e ripetuti da parte di superiori o colleghi, che mirano a isolare, umiliare o costringere il dipendente all'abbandono del posto di lavoro. Tali condotte hanno rilevanza non solo sotto il profilo umano, ma anche giuridico, poiché incidono direttamente sull'integrità psico-fisica del lavoratore e sull'obbligo di tutela sancito dall'art. 2087 del Codice Civile, che impone all'imprenditore di adottare tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro (art. 2087 c.c.).

Il fenomeno ha assunto crescente rilievo, distinguendosi per la gravità delle ripercussioni sia sul benessere individuale che sull'efficienza aziendale. Negli ultimi decenni, la giurisprudenza ha progressivamente delineato i confini e le caratteristiche della violenza psicologica in ambiente lavorativo, riconoscendo nuove tutele e valorizzando le responsabilità correlate a tali condotte.

Le condizioni per configurare il mobbing secondo la Cassazione

Secondo gli indirizzi consolidati della Corte di Cassazione, la configurazione dello stato di mobbing presuppone la compresenza di specifici elementi, che il lavoratore ha l'onere di dimostrare:

  • Plurima e sistematica reiterazione dei comportamenti di natura persecutoria, anche se singolarmente non rilevanti penalmente, che si realizzano in modo prolungato nel tempo;
  • Intento vessatorio o persecutorio, cioè la presenza di un disegno unitario mirato alla mortificazione, esclusione o prevaricazione del lavoratore;
  • Danno alla salute psico-fisica, dimostrabile attraverso accertamenti medici e peritali;
  • Nesso causale tra le condotte e il pregiudizio subito dalla vittima.
La prova di questi presupposti è richiesta sia nei casi di mobbing orizzontale (messo in atto da colleghi di pari grado), sia in quelli di mobbing verticale (proveniente da superiori o dal datore di lavoro). In assenza di una delle condizioni indicate, non si potrà integrare il quadro persecutorio richiesto per il riconoscimento giuridico del fenomeno (Corte di Cassazione, ordinanza n. 29400/2024).

Distinzione tra mobbing, bossing e straining: caratteristiche e differenze

Nel contesto lavorativo italiano si distinguono varie forme di pressione psicologica che, pur con alcune analogie, presentano differenze sostanziali:

  • Mobbing: azione vessatoria collettiva o individuale, ripetuta e sistematica, con intento persecutorio.
  • Bossing: variante del mobbing perpetrata da parte di un superiore, spesso finalizzata a indurre le dimissioni del dipendente.
  • Straining: forma attenuata, caratterizzata da uno o pochi episodi che generano perduranti effetti negativi, senza che sia necessaria la reiterazione tipica del mobbing.
La giurisprudenza ha precisato che mentre per il mobbing sono imprescindibili il carattere della sistematicità e l'elemento soggettivo dell'intento persecutorio, lo straining si configura anche in assenza della continuità, purché gli effetti siano duraturi e causino una situazione di stress lavorativo prolungato (art. 2087 c.c.; Cass. 15957/2024; Cass. 3977/2018).

Provando a sintetizzare con una tabella:

Tipologia

Elementi tipici

Mobbing

Molteplici comportamenti sistematici, intento persecutorio, effetti dannosi prolungati

Bossing

Comportamenti vessatori da parte di un superiore, mira alle dimissioni del dipendente

Straining

Comportamenti anche isolati, ma con effetti psico-fisici duraturi, senza reiterazione necessaria

Elementi costitutivi e onere della prova nelle controversie giudiziarie sul mobbing

Per ottenere il riconoscimento giuridico del pregiudizio causato, il ricorrente deve fornire una prova rigorosa, articolata su diversi livelli:

  • Documentazione delle condotte: raccolta di testimonianze, email, messaggi o atti che attestino la sistematicità delle vessazioni;
  • Dimostrazione del danno: certificazioni sanitarie che provino il danno biologico subito;
  • Nesso causale: collegamento diretto tra le condotte descritte e le conseguenze dannose subite;
  • Intento persecutorio: difficilmente provabile, può emergere da un insieme coordinato di atti e non da episodi isolati.
La Corte di Cassazione, con diverse pronunce recenti, ha chiarito che il lavoratore è gravato dall'onere di allegare fatti precisi e circostanziati, dovendo dimostrare che la condotta datoriale o dei colleghi sia riconducibile a una strategia persecutoria (Cass. 29400/2024). Invece, il riconoscimento dello straining è meno oneroso dal punto di vista probatorio: anche una singola azione può essere sufficiente, purché abbia prodotto effetti permanenti e significativi sulla salute del dipendente.

Le responsabilità derivanti da comportamenti vessatori possono essere distinte come segue:

  • Responsabilità diretta del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.: obbligo di prevenire situazioni lesive, adozione di misure idonee e tempestiva gestione delle segnalazioni;
  • Responsabilità del collega o superiore: punibile in sede civile per illecito extracontrattuale, art. 2043 c.c.;
  • Responsabilità dell'azienda: ai sensi dell'art. 2049 c.c. risponde anche per i danni causati dai propri dipendenti a terzi nell'esercizio delle funzioni;
  • Responsabilità disciplinare e penale: sanzioni che vanno dalla sospensione fino al licenziamento, e in taluni casi perseguibilità per i reati di lesioni, minaccia o atti persecutori (art. 612 bis c.p.), secondo le pronunce della Cassazione.
La giurisprudenza conferma che la mancata attività di prevenzione, informazioni o gestione dei conflitti può estendere la responsabilità anche all'azienda, specie nei casi in cui resulti tollerato o ignorato un clima ostile e dannoso per la salute dei lavoratori.

Conseguenze per il lavoratore e per l’azienda: effetti psicofisici, disciplinari e risarcitori

L'impatto dei comportamenti vessatori può essere estremamente dannoso sia per la persona vittima che per la realtà aziendale stessa:

  • Sul lavoratore: insorgenza di disturbi ansioso-depressivi, stress cronico, burnout, fino a stati patologici gravi che possono giustificare la richiesta di risarcimento danni materiali e morali;
  • Sull'azienda: incremento del turnover, calo motivazionale, aumento di giorni di assenza, perdita di reputazione e possibili richieste di risarcimento ingenti;
  • Rischi disciplinari: il responsabile delle condotte può incorrere in sanzioni fino al licenziamento per giusta causa;
  • Rischi risarcitori: l'azienda può essere chiamata a rispondere economicamente per il danno arrecato al lavoratore, come ribadito anche da recenti sentenze dei Tribunali del Lavoro e della Cassazione.
Alcuni casi documentano come, oltre al danno biologico, sia possibile il riconoscimento di danni esistenziali o patrimoniali connessi alla perdita di opportunità di carriera o al peggioramento delle condizioni di vita del dipendente.

Tutele giuridiche ed evoluzione giurisprudenziale: orientamenti della Corte di Cassazione

Sebbene in Italia non esista una disposizione che punisca in modo autonomo il mobbing, la tutela giudiziale è ampia grazie all'integrazione di norme civili e penali.

Recenti pronunce della Corte di Cassazione (ad esempio Cass. 38306/2023; Cass. 15957/2024) hanno riconosciuto come le pratiche mobbizzanti abbiano rilievo anche in sede penale sotto la fattispecie dei maltrattamenti ex art. 572 c.p., e che la responsabilità del datore può configurarsi anche per tolleranza colposa o per mancata prevenzione di atteggiamenti ostili. Inoltre, viene chiarito che il giudice, a fronte di una domanda per danno da mobbing, può qualificare diversamente la fattispecie come straining se non ricorrono tutti gli elementi del primo, garantendo così comunque tutela al lavoratore.

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