L’ambiente lavorativo può influire profondamente sul benessere psico-fisico dei lavoratori. Fenomeni come l’eccessivo carico di lavoro o la presenza di situazioni stressanti possono far sorgere il dubbio se tali condizioni siano da considerare semplicemente disagio lavorativo o se possano essere considerate mobbing.
Tale termine fa riferimento ad una serie di comportamenti vessatori, sistematici e reiterati posti in essere da datori di lavoro o colleghi, finalizzati a ledere, isolare o emarginare il lavoratore. La definizione puntuale di mobbing deve, per legge, comprendere:
- Elemento oggettivo: una pluralità di atti ostili, protratti nel tempo e idonei a produrre un pregiudizio;
- Elemento soggettivo: la volontà persecutoria, volta a danneggiare il lavoratore nel contesto lavorativo;
- Nesso causale: connessione fra le condotte e la lesione alla salute o alla dignità del dipendente;
- Contesto lavorativo: gli episodi devono inserirsi nel rapporto di lavoro.
Si distingue il
mobbing, che richiede una costante ripetizione di condotte, dallo
straining, che individua situazioni in cui il lavoratore subisce uno stress forzato continuativo in assenza di atti molesti seriali. Ad esempio, può bastare un singolo evento di particolare gravità che generi condizioni lavorative insostenibili.
Tabella: Differenze tra mobbing e straining
Mobbing |
Sistematica reiterazione di atti molesti, intento persecutorio comprovato |
Straining |
Stress lavorativo perdurante, anche per effetto di un singolo episodio grave |
Quando lo stress lavorativo diventa mobbing: criteri giurisprudenziali
Non ogni situazione di carico di lavoro eccessivo o di generale malessere all’interno dell’ufficio può essere ricondotta al mobbing.
I giudici hanno elaborato alcuni criteri specifici per considerare alcuni comportamenti da parte di datori di lavoro da intendersi come mobbing:
- I comportamenti devono avere una direzione univoca e ripetuta ai danni di uno o più lavoratori;
- Devono essere non giustificati dall’organizzazione aziendale e non rientranti nei normali poteri gestionali;
- Un intento vessatorio deve risultare quanto meno presumibile dalle modalità e dalla persistenza delle condotte;
- È necessario il collegamento fra comportamenti e danno, dimostrato dalla presenza di patologie o disagio direttamente connesso allo stress professionale.
La sentenza della Corte di Cassazione n.14890/2025: nuovi chiarimenti sul mobbing lavorativo
La
sentenza n. 14890/2025 della Corte di Cassazione ha chiarito che
il mobbing non si configura automaticamente di fronte a situazioni di troppo lavoro, elevato affaticamento, stress o malessere, ma è necessaria la
presenza di condotte sistematiche e mirate che vadano oltre le normali dinamiche aziendali e l’imputazione di responsabilità scatta solo al ricorrere di elementi tipici: reiterazione, durata, intento perseguito e danno concreto per la salute.
Inoltre, viene riconosciuta una peculiare attenzione alla valutazione del contesto lavorativo. L’accento si sposta sulle condizioni complessive, non su singoli episodi di pressione lavorativa.
Ambienti stressogeni e responsabilità del datore di lavoro secondo il Codice Civile
Il Codice Civile impone al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure necessarie a preservare l’integrità fisica e morale dei dipendenti.
Anche in assenza di comportamenti apertamente persecutori, la creazione o la tolleranza di ambiente stressogeno rappresenta una violazione della normativa quando si manifesta in modo continuativo e determina effetti lesivi sulla salute dei lavoratori.
Le misure di prevenzione e intervento non possono limitarsi a un’osservanza formale delle disposizioni, ma devono essere calibrate in base alle caratteristiche specifiche del contesto organizzativo e produttivo.
Sono frequenti le ipotesi in cui la responsabilità datoriale emerga da:
- Mancata individuazione e gestione di situazioni di conflitto o stress patologico collettivo o individuale;
- Assenza di controlli e canali di segnalazione efficaci;
- Ritardi nell’attuazione di piani di miglioramento dei carichi di lavoro;
- Difetto di formazione e sensibilizzazione sugli effetti dello stress e sulle pratiche di prevenzione.
La stessa Cassazione ha precisato come anche atti apparentemente leciti, se inseriti in un contesto oggettivamente stressante, possano dare luogo a risarcimento.
Come riconoscere e dimostrare il mobbing: segnali e prove utili
Individuare tempestivamente comportamenti di mobbing è essenziale per tutelare la propria integrità ed esercitare i diritti previsti dalla legge. I principali segnali di rischio includono:
- Cambiamenti improvvisi e non motivati delle mansioni;
- Isolamento sociale o esclusione ripetuta da attività o comunicazioni aziendali;
- Attribuzione di responsabilità irrealistiche o sottrazione immotivata di incarichi;
- Censura eccessiva, critica continua o rimproveri sproporzionati davanti a colleghi;
- Deterioramento del clima lavorativo percepibile anche da terzi.
Per
dimostrare la sussistenza di mobbing, è consigliabile conservare:
- Documentazione scritta: e-mail, comunicazioni interne, ordini di servizio;
- Testimonianze di colleghi o altre persone coinvolte nei fatti;
- Referti medici che attestino il legame tra condizioni di salute e ambiente lavorativo;
- Eventuali rapporti o segnalazioni indirizzate alle risorse umane.
Tutela legale e risarcimento per le vittime di mobbing
Coloro che subiscono atti di mobbing in ambito lavorativo possono accedere a diverse forme di
tutela e agire per
ottenere un risarcimento dei danni. Le principali vie perseguibili sono:
- Presentazione di una denuncia presso gli organi competenti, come ispettorato del lavoro, sindacati o autorità giudiziarie;
- Rivolgersi ad un avvocato specializzato in diritto del lavoro per valutare le azioni più opportune;
- Raccolta di documentazione probatoria (diario degli episodi, referti medici, relazioni psicologiche);
- Richiesta di risarcimento danni, che può comprendere sia danni patrimoniali (perdita di reddito, spese mediche) sia non patrimoniali (danno biologico, morale, esistenziale);
- Eventuale ricorso a dimissioni per giusta causa, accompagnate dalla richiesta di indennità sostitutiva del preavviso e accesso alla NASpI, se sussistono i presupposti previsti dalla normativa.
Secondo l’orientamento della Suprema Corte, i danni da mobbing possono essere assistiti anche da indennizzo INAIL quando documentati disturbi psichici come ansia o depressione siano riconducibili all’attività professionale.