Alcune professioni, anche in Italia, hanno beneficiato di una crescita salariale accelerata, trainata dall'aumento della domanda.
La crescita degli stipendi in Italia fino al 2025 è un fenomeno complesso, che merita di essere analizzato sia dal punto di vista nominale che da quello reale, ossia tenendo conto dell'inflazione. Se si osservano i dati diffusi da Istat, Inps e dall'Osservatorio JobPricing, emerge che tra il 2019 e il 2023 le retribuzioni medie lorde annue in Italia sono aumentate di circa il 7%, ma nello stesso periodo l'inflazione cumulata ha superato il 13%, erodendo di fatto il potere d'acquisto.
Tradotto in termini pratici, questo significa che se da un lato gli stipendi sono cresciuti sulla carta, nella vita quotidiana molti lavoratori si sentono più poveri rispetto a qualche anno fa. I rincari dell'energia, dei beni alimentari, degli affitti e dei trasporti hanno neutralizzato gli effetti positivi degli aumenti salariali, lasciando spesso inalterata la percezione del benessere economico personale. In alcune regioni del Nord come Lombardia ed Emilia-Romagna, il trend è stato più favorevole, mentre il Sud ha mostrato segnali di stagnazione, con una crescita salariale più lenta e discontinua.
Nel 2024 e nel primo semestre del 2025, secondo l'ultimo report Inps, le retribuzioni medie mensili dei dipendenti privati si attestano intorno ai 2.110 euro lordi, con un netto che varia molto in base al settore e al contratto collettivo applicato. In settori ad alta specializzazione si registrano retribuzioni superiori mentre i comparti a bassa qualifica restano ancorati a valori di poco superiori alla soglia minima contrattuale. Vediamo meglio:
Nel comparto IT i è verificato un vero e proprio boom: figure come il data analyst, il cloud architect o il cybersecurity expert hanno visto crescere i propri stipendi medi anche del 15-20% nel giro di quattro anni. Allo stesso modo, i project manager in ambito sanitario o energetico sono diventati molto più richiesti e meglio retribuiti rispetto al periodo pre-pandemia. La spinta arriva dalla digitalizzazione, dalla transizione energetica e dall'emergere di nuovi modelli organizzativi aziendali.
Anche il settore industriale ha mostrato segnali incoraggianti. Le imprese manifatturiere ad alto contenuto tecnologico, specie nel Nord-Est, hanno avviato percorsi di rivalutazione delle retribuzioni per trattenere personale qualificato. Si assiste così a una polarizzazione: da un lato, chi possiede competenze Stem e digitali ha potuto beneficiare di aumenti sostanziosi; dall'altro, chi opera in contesti tradizionali ha visto incrementi modesti, spesso inferiori all'inflazione.
All'opposto ci sono comparti che non hanno seguito l'onda della crescita salariale, rimanendo al palo o addirittura registrando una perdita netta in termini di potere d'acquisto. Tra questi spiccano l'ospitalità, la ristorazione, il commercio al dettaglio, i servizi alla persona e, in parte, anche il settore dell'istruzione privata non universitaria.
Nel turismo e nella ristorazione, le retribuzioni medie restano spesso vicine ai 1.000-1.200 euro netti al mese, con una forte stagionalità e una bassa incidenza di premi o welfare aziendale. Anche il settore del commercio è in difficoltà: la crisi dei consumi e la concorrenza dell'e-commerce hanno spinto molte catene ad abbassare i costi, congelando gli stipendi dei propri dipendenti. Il risultato è che commessi, camerieri, addetti alle pulizie, operatori call center e personale amministrativo di base fanno sempre più fatica a mantenere un tenore di vita dignitoso.
Una situazione analoga si registra in alcuni comparti pubblici, come la sanità territoriale e l'istruzione, dove le carenze strutturali di fondi impediscono aumenti retributivi allineati con il costo della vita. I rinnovi contrattuali hanno portato aumenti medi di circa 100 euro lordi mensili, che però, una volta tassati e rivalutati in ottica inflattiva, non bastano a riequilibrare dieci anni di stagnazione salariale.