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Rimborso spese gonfiato e irregolare richiesto da dipendente a determinate condizioni non cause licenziamento per Cassazione

di Marianna Quatraro pubblicato il
Sentenza Cassazione rimborso dipendenti

La Cassazione si esprime sul rimborso spese irregolare chiesto dal dipendente, chiarendo quando può condurre al licenziamento. Analisi dei principi giurisprudenziali, rilievo normativo, conseguenze disciplinari e procedurali

L’analisi delle dinamiche relative al rimborso spese irregolare esige una comprensione approfondita delle recenti decisioni della Corte di Cassazione, soprattutto in materia di sanzioni disciplinari nei confronti del dipendente pubblico o privato. Nel contesto normativo italiano, tale tematica riveste particolare interesse perché coinvolge questioni di trasparenza, di rispetto delle procedure amministrative e di tenuta dei rapporti di lavoro. Il rapporto tra spese gonfiate o non idoneamente documentate e le conseguenze lavorative, prima fra tutte, il licenziamento, è oggetto di dibattito sia tra i professionisti del diritto del lavoro sia tra operatori economici.

Il principio della Cassazione sul rimborso spese irregolare e licenziamento

La Corte di Cassazione ha assunto una posizione ormai consolidata in materia di rimborso spese irregolare richiesto dal lavoratore. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale, la richiesta di un rimborso gonfiato o privo dei requisiti richiesti non determina automaticamente, in presenza di certe condizioni, l’irrogazione del licenziamento per giusta causa. Ciò avviene specialmente qualora sia riscontrabile l’assenza di dolo, la marginalità dell’entità delle somme indebitamente richieste, o la presenza di un errore che non assuma carattere sistematico né incida in modo significativo sul rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente.

  • La sussistenza del dolo viene accertata sulla base del comportamento reiterato o particolarmente ingannevole del lavoratore;
  • La modicità dell’importo può condurre all’applicazione di una sanzione meno grave, come la sospensione o il richiamo;
  • L'errore materiale o la buona fede possono rappresentare fattori scriminanti.
Il principio elaborato dalla Cassazione valorizza l’analisi contestuale delle circostanze specifiche del caso. Non ogni irregolarità nelle note spese, quindi, è causa automatica di cessazione del rapporto: la valutazione compete ai giudici di merito, che devono soppesare la gravità della condotta in rapporto alla fiducia e agli equilibri aziendali. Tali decisioni sono fondate sulla ratio che il licenziamento rappresenta l'extrema ratio nell’ambito delle sanzioni disciplinari, coerentemente con quanto previsto dall’art. 55 del D.Lgs. n. 165/2001 per i pubblici dipendenti.

La giurisprudenza in materia di rimborso e onere della prova

Secondo l’orientamento delle Sezioni Lavoro della Corte di Cassazione, l’onere di dimostrare la regolarità della richiesta di rimborso spetta irrimediabilmente al dipendente, soprattutto qualora venga contestata la legittimità delle spese dichiarate. Ne deriva che la presentazione di documenti probanti, come scontrini, fatture e relazioni dettagliate, rappresenta un elemento imprescindibile.

La giurisprudenza ha chiarito che l’assenza di giustificativi o la presentazione di documentazione palesemente falsa o alterata costituisce una violazione significativa del vincolo fiduciario. Tuttavia, la stessa giurisprudenza invita all’analisi delle circostanze concrete:

  • Si valuta la natura e la reiterazione della condotta;
  • Viene considerata la portata economica delle somme irregolarmente richieste;
  • Si tiene conto di precedenti disciplinari e di eventuali segnalazioni pregresse.
Il principio cardine stabilito dalla Corte di Cassazione mira a garantire una proporzionalità della risposta disciplinare e a evitare il ricorso a misure eccessive in assenza di elementi gravi e inequivoci. Anche il datore di lavoro, qualora proceda a contestazione o sanzione, è chiamato a fornire elementi di prova specifici relativi al comportamento del dipendente.

La particolare attenzione alla prova e agli atti documentali protegge sia l’interesse dell’amministrazione o dell’azienda, sia i diritti di difesa del lavoratore, salvaguardando l’equilibrio procedurale riconosciuto dagli articoli del Codice Civile e dagli statuti dei lavoratori.

Effetti delle irregolarità sui rapporti di lavoro e sulle procedure disciplinari

L'emergere di irregolarità nei rimborsi spese produce effetti sia nella gestione ordinaria dei rapporti di lavoro sia nell’attivazione di procedimenti disciplinari. Secondo la recente giurisprudenza, elementi determinanti sono:

  • la gravità oggettiva della violazione rilevata,
  • le modalità con cui la richiesta di rimborso è stata formulata,
  • la pregressa condotta del lavoratore,
  • la prontezza di autocorrezione o di restituzione da parte del dipendente.
La Cassazione pone l’accento sulla proporzionalità e sulla correlazione fra danno potenziale e sanzione adottata. In assenza di dolosità, recidiva o mancata collaborazione nella fase istruttoria interna, le imprese dovrebbero prediligere provvedimenti correttivi meno impattanti del licenziamento, favorendo la cultura della compliance. Analogamente, occorrono controlli interni efficaci, come verifiche campionarie e applicazione di procedure interne certificate, utili per rafforzare la validità delle contestazioni ed evitare contenziosi legati a una gestione superficiale delle irregolarità.

Nelle procedure disciplinari diviene essenziale rispettare i tempi di contestazione previsti dalla normativa (Statuto dei Lavoratori), garantendo un contraddittorio leale. Questo bilanciamento mette al riparo sia il datore di lavoro, sia il lavoratore nei casi di rimborso spese irregolare, rafforzando la compliance organizzativa e la tutela dei diritti personali.

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