Alla base di tutta la discussione c'è il regolamento REACH, entrato in vigore nel 2007 e considerato uno dei sistemi più avanzati al mondo per la gestione delle sostanze chimiche.
Shein torna al centro del mirino, e questa volta il tema è chiaro: vestiti che violano i limiti chimici fissati dall'Unione europea e mettono sul tavolo interrogativi molto concreti sui rischi per la salute di chi li indossa.
Non è allarmismo astratto, ma il risultato di una nuova indagine di laboratorio che fotografa un problema strutturale: l'ultra fast fashion che corre troppo in fretta rispetto alle regole pensate per proteggere i consumatori europei.
Nel 2025 Greenpeace Germania ha pubblicato un nuovo report su 56 capi Shein acquistati online e analizzati in laboratorio secondo gli standard europei sulle sostanze chimiche nei prodotti tessili. Il risultato è netto: 18 capi su 56, quindi circa un terzo del campione, contenevano sostanze pericolose oltre i limiti fissati dal regolamento REACH, la grande cornice normativa UE che regola produzione e uso delle sostanze chimiche.
Non si tratta soltanto di un generico inquinamento di fondo: gli esperti hanno rilevato superamenti massicci, soprattutto nei capi tecnici e nei giubbotti, dove la promessa commerciale di essere idrorepellenti, antimacchia o resistenti alle intemperie spesso si traduce in un uso massiccio di PFAS, i famosi forever chemicals che il legislatore europeo sta cercando di eliminare progressivamente dai prodotti di consumo.
Secondo il report, sette giubbotti superavano i limiti UE per alcuni PFAS di fino a 3.300 volte rispetto alle soglie previste dal REACH, mentre quattordici prodotti contenevano ftalati oltre i limiti, con sei capi che li eccedevano di oltre 100 volte.
È un dato che da solo basta a spiegare il titolo dell'indagine: non siamo davanti a piccole deviazioni, ma a concentrazioni che, se confermate su larga scala, rendono quei capi semplicemente illegali sul mercato europeo. Dall'analisi emergono inoltre tracce di metalli pesanti e di formaldeide, sostanze conosciute da anni per i loro effetti tossici e irritanti, e già oggetto di restrizioni in numerosi settori, compresi i tessili.
Questo nuovo report non arriva nel vuoto. Già nel 2022 un'altra indagine di Greenpeace su Shein aveva rilevato livelli elevati di piombo, PFAS e ftalati in circa un quinto dei capi analizzati, compresi indumenti per bambini, con un giubbottino da toddler che superava i limiti di legge per il piombo.
Nel 2024, inoltre, le autorità di Seul hanno reso noto che diversi capi invernali per bambini venduti da piattaforme di fast fashion - tra cui Shein e Temu - contenevano ftalati, piombo e cadmio fino a centinaia di volte oltre i limiti consentiti, confermando che il problema delle sostanze tossiche nei vestiti low cost non è confinato all'Europa, ma è globale.
I PFAS (per- e polifluoroalchiliche) sono una famiglia vastissima di composti usati per rendere i tessuti idrorepellenti, antimacchia, resistenti al grasso. Proprio queste proprietà li hanno resi onnipresenti non solo nei vestiti tecnici, ma anche in abbigliamento casual, scarpe e accessori. Il rovescio della medaglia è la loro altissima persistenza: non si degradano nell'ambiente, si accumulano nelle acque, nel suolo, nella fauna e nel sangue umano.
Le principali agenzie sanitarie hanno associato l'esposizione cronica ad alcuni PFAS a tumori, alterazioni del sistema immunitario, problemi tiroidei, riduzione della fertilità, disturbi dello sviluppo nei bambini e aumento del colesterolo.
Non è un caso se la Commissione europea sta lavorando a una restrizione di ampia portata su questa famiglia di composti, con l'obiettivo dichiarato di eliminarli dai prodotti di consumo, salvo usi davvero essenziali per cui non esistono alternative tecnicamente praticabili.
Gli ftalati sono plastificanti usati per ammorbidire PVC e altri materiali, ma compaiono anche in stampe, rivestimenti e parti plastiche dei vestiti. Diversi ftalati sono classificati come interferenti endocrini, cioè molecole che alterano il funzionamento del sistema ormonale anche a dosi relativamente basse.
La letteratura scientifica li collega a problemi di fertilità maschile e femminile, alterazioni dello sviluppo genitale nei bambini, disturbi metabolici e possibili effetti su tiroide e sviluppo neurologico.
È per questo che l'UE ha introdotto limiti molto severi per certi ftalati in prodotti destinati all'infanzia e definito valori massimi di concentrazione in varie categorie merceologiche. Quando Greenpeace trova capi di abbigliamento che superano di cento volte il limite REACH, la conclusione è semplice: quei prodotti non rispettano le regole minime di sicurezza pensate per il mercato europeo.
I laboratori hanno rilevato anche la presenza di metalli pesanti come il piombo, spesso legato a pigmenti, accessori metallici o stampe. Il piombo è un neurotossico potente, particolarmente pericoloso in età pediatrica, dove può compromettere lo sviluppo del sistema nervoso, ridurre il quoziente intellettivo e aumentare il rischio di disturbi comportamentali; negli adulti è legato a problemi cardiovascolari e renali.
La formaldeide, usata storicamente per rendere i tessuti no stiro e fissare i colori, è classificata dallo IARC come cancerogeno di gruppo 1, quindi sicuramente cancerogeno per l'uomo, con evidenze significative per i tumori delle vie respiratorie. Anche a concentrazioni più basse può provocare irritazioni cutanee, eczemi, prurito, bruciore agli occhi e alle vie respiratorie, specialmente in ambienti chiusi e poco ventilati.
Il quadro che emerge dalla combinazione di PFAS, ftalati, metalli pesanti e formaldeide non è quello di una singola sostanza sbagliata, ma di un cocktail chimico che si somma alle esposizioni provenienti da altre fonti: alimenti, acqua potabile, aria, cosmetici, plastiche. Ed è proprio l'effetto combinato a preoccupare sempre di più i ricercatori, che sottolineano come i sistemi di valutazione del rischio siano ancora troppo centrati su singole sostanze considerate una alla volta.
Alla base di tutta la discussione c'è il regolamento REACH, entrato in vigore nel 2007 e considerato uno dei sistemi più avanzati al mondo per la gestione delle sostanze chimiche. REACH stabilisce che l'onere della prova spetta alle imprese: chi produce o importa una sostanza deve dimostrare che il suo uso è sicuro, e l'UE può imporre restrizioni o divieti quando le evidenze indicano un rischio non accettabile.
Per i tessili questo si traduce in limiti quantitativi molto precisi per determinate sostanze pericolose - tra cui diversi PFAS, ftalati, metalli pesanti e composti cancerogeni - al di sopra dei quali un prodotto non può essere immesso sul mercato europeo. Quando un ente indipendente dimostra che un capo supera questi limiti, il messaggio è chiaro: quella merce non è conforme e dovrebbe essere oggetto di richiami, sequestri o divieti di vendita.
Accanto al REACH, l'Europa sta accelerando su regole specifiche per i PFAS, proprio perché la loro persistenza e diffusione li rende un problema sanitario e ambientale di lungo periodo. Un gruppo di Paesi - tra cui Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia - ha spinto per una restrizione ampia su migliaia di PFAS, e la Commissione ha annunciato l'intenzione di bandirli progressivamente da gran parte dei prodotti di consumo.
Nel frattempo, singoli Stati si stanno muovendo in anticipo. La Francia, per esempio, ha approvato nel 2025 una legge che vieta produzione, importazione, esportazione e vendita di prodotti contenenti PFAS in cosmetici, tessili e scioline a partire dal 2026, con un'estensione graduale a tutti i tessili entro il 2030, salvo eccezioni per i dispositivi di protezione considerati essenziali.
Questa normativa rende evidente la direzione di marcia: un futuro in cui abiti e tessuti per il largo consumo dovranno essere PFAS-free, costringendo l'industria dell'abbigliamento a ripensare rivestimenti, trattamenti e catene di fornitura.
Il vero punto debole, però, è la capacità di far rispettare le regole in un contesto dove piattaforme come Shein immettono sul mercato europeo centinaia di migliaia di nuovi prodotti ogni settimana, con rotazioni velocissime e logistica frammentata. Le autorità doganali e i sistemi di allerta come Safety Gate possono bloccare solo una frazione dei prodotti, basandosi su controlli a campione che, per definizione, arrivano spesso dopo che gli articoli sono già stati venduti.
È in questo spazio che si inseriscono le indagini delle ONG e dei centri di ricerca: analisi indipendenti che provano a mettere a fuoco punti ciechi del sistema, mostrando come il modello dell'ultra fast fashion renda quasi impossibile garantire, in modo strutturale, il rispetto delle norme su salute e sicurezza dei consumatori.
Quando si parla di sostanze chimiche, si pensa subito a ciò che si mangia o si beve. Eppure la pelle è il nostro organo più esteso, e passiamo una parte enorme della vita avvolti in tessuti che contengono coloranti, ausiliari di tintura, finissaggi, plasticizzanti e rivestimenti. Una recente review scientifica sui rischi sanitari associati ai chimici nei tessili ha evidenziato come l'esposizione cutanea a ftalati, PFAS, coloranti azoici e metalli rappresenti un tassello significativo del carico chimico complessivo, soprattutto nei bambini e nei neonati, che hanno una superficie corporea proporzionalmente più grande e una pelle più permeabile.
I capi particolarmente problematici sono quelli a contatto diretto con la pelle per molte ore, come biancheria intima, pigiami, leggings, t-shirt aderenti, indumenti per lo sport e abbigliamento per bambini, che spesso vengono indossati a lungo e lavati con detergenti che possono favorire ulteriori interazioni chimiche.
Nel breve periodo, i rischi più visibili sono soprattutto dermatologici. L'esposizione a formaldeide, coloranti reattivi, residui di ausiliari di tintura e biocidi può provocare dermatiti da contatto, arrossamenti, prurito intenso, eczemi e peggioramento di patologie preesistenti come dermatite atopica e psoriasi. Nei casi più sensibili, un singolo indumento può essere sufficiente a scatenare una reazione violenta, soprattutto se il capo è nuovo, non lavato e indossato a contatto diretto con la pelle.
Alcuni composti volatili - in particolare formaldeide e altri VOC rilasciati dai finissaggi - possono inoltre contribuire a irritazioni delle vie respiratorie, tosse secca, senso di bruciore al naso e agli occhi, e in soggetti asmatici o allergici possono funzionare da fattore scatenante per crisi o peggioramento dei sintomi respiratori.
La parte più preoccupante, però, è quella invisibile e diluita nel tempo. L'esposizione cronica a PFAS e ftalati attraverso vestiti, ambiente e alimenti si somma in un effetto cumulativo che può incidere su funzioni dell'organismo. Le ricerche indicano che i PFAS sono associati a maggiore incidenza di alcuni tumori, alterazioni della risposta immunitaria, riduzione dell'efficacia dei vaccini nei bambini, disfunzioni tiroidee e problemi di fertilità. Gli ftalati, dal canto loro, sono collegati a disturbi dello sviluppo del sistema riproduttivo, alterazioni dei livelli ormonali, maggior rischio di obesità e sindrome metabolica.
È molto difficile attribuire un singolo caso di malattia a un determinato vestito comprato online, ed è per questo che spesso questi rischi restano statistici e poco intuitivi, ma l'evidenza complessiva va nella direzione di un messaggio semplice: più riduciamo le fonti superflue di esposizione, meglio è, soprattutto per i soggetti vulnerabili come bambini, donne in gravidanza e persone con condizioni preesistenti.
Shein è diventata il simbolo dell'ultra fast fashion: migliaia di nuovi modelli ogni giorno, prezzi bassissimi, algoritmi che intercettano i trend sui social e li trasformano in prodotti fisici nel giro di pochi giorni. Questo modello, da un punto di vista chimico, significa una cosa precisa: un flusso continuo di nuovi articoli, provenienti da fornitori diversi, con catene di subappalto complesse e spesso opache.
In un contesto simile, anche un sistema di controllo interno teoricamente robusto fatica a garantire che ogni singolo prodotto che finisce nel carrello di un consumatore europeo rispetti i limiti di legge. Ecco perché le indagini di Greenpeace e altri soggetti indipendenti, quando dimostrano violazioni gravi, mettono in discussione non solo i singoli lotti, ma la tenuta complessiva del modello di business rispetto ai requisiti di sicurezza europea.
Di fronte a queste accuse, Shein ribadisce di avere implementato milioni di test di sicurezza l'anno, sia tramite laboratori terzi accreditati sia tramite strutture interne, e sostiene di ritirare immediatamente i prodotti che risultano non conformi agli standard. Alcuni report recenti sottolineano anche che la maggior parte dei capi testati non contiene sostanze pericolose oltre i limiti, sottolineando un miglioramento rispetto al passato.
Tuttavia, il dato rimane: se un terzo dei capi analizzati risulta fuori norma, e se in più casi i limiti vengono superati di decine o centinaia di volte, significa che il sistema di controllo - interno ed esterno - non è in grado di prevenire in modo sistematico l'arrivo sul mercato di articoli non conformi al diritto europeo. La discrepanza tra i comunicati rassicuranti dell'azienda e i risultati delle analisi indipendenti alimenta una comprensibile sfiducia da parte dei consumatori e delle associazioni.
I rischi non riguardano solo chi compra i vestiti. La filiera tessile, soprattutto nelle fasi di tintura, stampa e finissaggio, è una delle principali fonti di inquinamento delle acque nei Paesi produttori, con scarichi che contengono coloranti, PFAS, metalli pesanti e altri composti difficili da trattare. Studi recenti hanno documentato come le aree vicine a distretti tessili intensivi presentino concentrazioni elevate di contaminanti nei corsi d'acqua e maggiore esposizione per le comunità locali e i lavoratori, spesso senza adeguate misure di protezione.
In questo senso, ogni capo super-scontato ha un costo che non compare sulla ricevuta d'acquisto: una parte viene pagata in termini di qualità delle acque, salute dei lavoratori, contaminazione degli ecosistemi che poi si riflette anche sulle catene alimentari e, in ultima analisi, sui consumatori di tutto il mondo.